Capitolo Uno

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Darth Thormen ­meditava.

Meditava sulla Forza, su quella Forza che era in grado di dargli tanto potere, ma che negli ultimi tempi aveva minacciato molte volte di tradirlo.

Era un fatto insolito. Meditare era da Jedi, non da Sith. I loro atti erano guidati da rabbia, da odio, da sensazioni, non da concentrazione e atti calcolati. Questo, quantomeno, era ciò che molti credevano. Ma secondo i Signori dei Sith, essi non erano guerrieri primordiali che si lanciavano in battaglia a capo basso e senza pensare. Dietro gli atti di ogni Darth o Lord vi erano macchinazioni, sotterfugi, piani diabolici per arrivare al potere.

Assetati di potere: questo erano i Sith.

E Thormen lo era, come tutti gli altri. Voleva il potere, ma il Consiglio Oscuro glielo aveva negato. I Sith che dovevano guidare l’Impero nell’attesa di un nuovo Imperatore erano stati così attaccati ai loro domini da voler scendere ai patti con la Repubblica, rischiando una nuova Coruscant, un nuovo saccheggio sfrenato, una nuova pace obbligata. Ma, questa volta, a danno dell’Impero.

Avevano perso completamente di vista il bene dei loro simili, pensando solo a se stessi. Un perfetto agire da Sith, ma non da Signori Oscuri dei Sith. I Darth non agivano in modo individuale, o meglio, mascheravano i loro atti volti a raggiungere il potere in modo che nessuno potesse capirli.

Lui era un vero Signore Oscuro. Il suo piano, simile a una qualunque protesta di un gruppetto di separatisti, era riuscito a debilitare l’intera macchina imperiale.

La missione di pace su Dantooine era fallita grazie a lui. I suoi alleati avevano di certo contribuito, ma il piano era stato macchinato da lui.

Adesso, comunque, si trovava in una condizione precaria: ricercato dall’Impero, odiato dalla Repubblica, e nelle mire quindi di gran parte della galassia.

La nave su cui si trovava, rubata per fuggire da Dantooine, era diretta su un pianeta in cui sarebbe stato impossibile scovarli: Kashyyyk. Si sarebbe nascosto lì, insieme ai pochi fedeli che gli rimanevano, e col tempo avrebbe creato una schiera abbastanza grande da riuscire ad abbattere il Consiglio Oscuro e far tornare l’Impero al suo splendore.

Sapeva comunque che ci sarebbe voluto tempo, ma era un Sith paziente. Avrebbe aspettato, e solo quando le sue forze sarebbero state pronte, avrebbe attaccato. Solo in quel momento.

La spia dell’iperguida iniziò a lampeggiare accompagnata da un pigolio invadente.

Portò subito la mano sulla leva d’attivazione e la tirò verso il basso, al che oltre la finestra della cabina vide il vortice striato scomparire e, al suo posto, apparve un pianeta verde.

Impostò momentaneamente la rotta verso un punto qualunque del mondo dalla lussureggiante forest e si allontanò dalla cabina di pilotaggio. Nel locale principale della nave trovò i suoi alleati: due soldati imperiali e Lord Verenge, il loro comandante, e un gruppo di Mandaloriani.

Non erano molti, ma da soli erano riusciti a sconfiggere la delegazione imperiale e a devastare quella repubblicana.

Il capo dei Mandaloriani, un’affascinante donna di nome Shae Vizla, sollevò la testa coperta dall’elmetto. “Siamo arrivati?” chiese con la sua voce sensuale nonostante il deformatore vocale.

Lui annuì, e lei svegliò con una scossa il guerriero che le era accanto. “Che c’è?” chiese quello preoccupato, e lei ripeté il messaggio. E poi la stessa scena si ripeté finché tutti e sei i Mandaloriani non furono in piedi.

Thormen passò allora ai due soldati di Verenge, quindi si occupò del suo Apprendista, ferito gravemente durante la missione. Il droide medico di bordo era però riuscito a rendere le sue condizioni stabili, e quando lo svegliò dichiarò di non provare dolore.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 21, 2017 ⏰

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