•Apatica•

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"Andiamo a far fronte agli eventi che ci si parano davanti"
-William Shakespeare

Avevo la maglia del pigiama aderente al petto e i capelli completamente bagnati, per via del sudore.
Il leggero lenzuolo nero, che prima mi ricopriva il corpo, era raggomitolato alla fine del letto e uno dei miei tanti cuscini si trovava a metà della mia stanza.
Non capii benissimo cosa fosse successo, ma molto probabilmente, durante il sogno, ho iniziato ad agitarmi e dimenarmi tra le coperte.
Senza pensarci e ancora sconvolta dal sogno surreale appena fatto, mi alzai e mi misi seduta sulla sedia posta, come sempre, davanti alla finestra.
Presi le mie cuffiette, il mio blocco nero da disegno e delle matite acquarellabili e iniziai a fissare impazientenmente l'orizzonte. 
Quando notai che dei fievoli raggi d'oro iniziarono ad illuminare l'immensa distesa verde smeraldo, mi sbrigai ad impugnare i miei colori, a spalancare il mio blocco da disegno sulle ginocchia e a mettermi le cuffiette nelle orecchie.
Quando intravidi la lucente sfera di fuoco levarsi, premetti play e inizia a disegnare.
Con Johann Sebastian Bach che mi pulsava nelle orecchie iniziai a ritrarre, con foga e velocità, lo spettacolo che avevo davanti agli occhi.
In pochi secondi, con il sole che accarezzava la mia pelle, riempii il foglio di carta ruvida con mille colori e dopo poco terminai il disegno.
Ogni mattina mi piazzavo lì, davanti alla finestra ad aspettare l'alba.
Non mi serviva una sveglia, ormai il mio corpo e la mia mente erano abituati. 
È come se avessi un macabro orologio interno, che ogni mattina mi sveglia poco prima dell'alba. 
Invidiavo e invidio tutt'ora il Sole, ogni giorno rinasce dal buio con la stessa bellezza e indifferenza verso la razza umana. 
Passato quel solito fatidico attimo, chiusi il blocco da schizzi e iniziai a riordinare i miei colori.
Lanciai, con mira e precisione, il mio telefono sul letto e lasciai cadere a terra il mio paio di cuffiette. 
Dopodiché, mi rimisi seduta sulla scricchiolante sedia nera e iniziai a fissare la mia camera.
Era completamente nera.
Nera come il buio o come il cielo stellato. 
Nera come l'abisso marino, come l'inchiostro per uno scrittore e come il carboncino per un'artista. 
Tutto era completamente nero.
Dai mobili alle lenzuola del letto.
Solo tre componenti della mia stanza erano colorati: i miei libri disposti in un'immensa libreria nera, i miei colori da disegnare racchiusi in una scatola nera e una foto incorniciata con una cornice nera.
Ritraeva io e il mio migliore amico. 
Lui che mi cinge la vita da dietro e io che sorrido alla fotocamera.
Mi ricordo come se fosse ieri quella serata.
Gli organizzai, esattamente 363 giorni fa, una festa a sorpresa per la sua imminente partenza.
C'erano tutti i nostri amici e ci divertimmo tantissimo.
Questa foto la tengo sempre vicino al mio letto, sul comodino e prima di addormentarmi mi giro sempre a guardarla per un'ultima volta, come se avessi il terrore di addormentarmi o morire nel sonno senza ricordarmi di noi due.
A questo pensiero le mie lacrime scure iniziarono ad inondarmi gli occhi, ma le ricacciai tutte indietro, senza farne scendere nemmeno una.
Continuando a fissare la foto da lontano pensai che quel tipo di sorriso e felicità mi è quasi impossibile da raggiungere.
Ma ripartiamo dall'inizio.
Mi chiamo Alice Campbell Carroll e ho 16 anni, vivo in una splendida villa dai tratti gotici in un piccolo quartiere nella periferia di Londra.
Non so se sia più strano avere due cognomi, avere lo stesso cognome dello scrittore che ha scritto la mia fiaba preferita o avere lo stesso nome della protagonista della favola.
All'età di 2 anni sono stata adottata da una coppia di sposini isterici.
La mia madre adottiva si chiama Stephanie e mi fa venire il mal di stomaco.
Non se ridere o piangere quando la vedo o la sento parlare.
È alta, ha i capelli biondo platino, due occhi grandi marroni e il corpo per il 99% rifatto.
Lavora per una famosa ditta di cosmetici, ma non fa comunque nulla tutto il giorno.
Il mio padre adottivo si chiama Ben ed è un bell'uomo.
È alto, leggermente muscoloso, occhi azzurro cielo con sfumature verdi muschio e ha dei capelli mossi e rossicci macchiati di biondo. 
È un famoso architetto Londinese.
È veramente bravo e alcune volte mi perdo nello sfogliare i suoi infiniti progetti.
Tra i due genitori è l'unico che comprende, per un minimo, la mia situazione.
Dopo 3 anni dalla mia adozione, è nata Elizabeth-Sophie, oltre al fatto che il suo nome sembri quello di una vecchia contessa muffosa, è veramente insopportabile.
Ha una voce così acuta che potrebbe mandare in mille pezzi tutte le collezioni di cristallo della casa ma la cosa peggiore è che si crede la reginetta della casa.
Potrebbe anche esserlo, con quel nome da duchessa incarnita.
Vorrei tanto scoprire chi siano i miei genitori naturali.
Ricordo a mala pena la chioma rossa e riccia di mia madre che mi pizzicava il candido volto quand'ero appena nata e ricordo vividamente le braccia possenti del mio vero padre che mi cullavano dolcemente mentre i suoi occhi blu notte mi scrutavano attentamente, per vedere se mi fossi addormentata o no.
Avevo spesso questi flashback e, all'età di 12 anni, i miei genitori adottivi si decisero a dirmi la verità raccontandomi che i miei genitori naturali mi lasciarono sugli scalini dell'orfanotrofio di Londra con una rosa nera all'interno del cesto, in cui ero ben raggomitolata, e un biglietto con scritto "Il suo nome è Alice, proteggetela dal male che questo mondo le recherà" ..
Diciamo che, fino all'età di 12 anni non avevo mai sospettato di essere stata adottata, data la stretta somiglianza tra me Ben.
Ma lasciamo perdere tuttto questo e parliamo della mia unica ragione di felicità.
Il mio migliore amico si chiama Niveck Lloyd.
È un bel ragazzo.
È molto alto e leggermente robusto, ha dei capelli riccioluti e neri come la pece che  odorano sempre di felce, qualcosa di magnifico.
E infine, ha due grandi occhi blu acceso.
Mai visto occhi più belli.
Sono due perle stregate, riescono ad incantarti maledettamente bene.
Lo conobbi all'età di 4 anni, al primo anno di asilo.
Ci divertivamo a fare i dispetti alle nostre maestre e a rovinare i disegni degli altri bambini.
All'epoca avevo ancora i capelli rossi mentre lui li aveva lisci come dei spaghetti.
Eravamo delle piccoli pesti.
Da lì non ci separammo più.
Siamo cresciuti insieme, fianco a fianco.
Lottando e affrontando l'uno i problemi dell'altro.
Crescendo ci siamo accorti che siamo nati lo stesso giorno, dello stesso mese e dello stesso anno.
Tutto questo ci ha legato ancora di più.
È la mia metà e lo sarà sempre.
Lui fa parte di me e io faccio parte di lui.
Se c'è lui, io sono felice apprescindere dall'ambiente intorno a noi. 
Con lui riesco ad andare avanti e a non bruciarmi con l'acido che questa vita mi tira continuamente addosso.
Adoro il suo senso dell'umorismo e non c'è mai una volta in cui l'ho visto triste o non sorridente.
È un ragazzo molto introverso e serio, ma con me si è sempre aperto.
Lo ricordo con il sorriso sempre stampato sulle labbra che metteva in evidenza i suoi denti bianchissimi e le sue adorabili fossette.
Mi ricordo ancora quando mi cantava le mie canzoni preferite.
O meglio, quando cantavamo insieme.
Suono la chitarra, anzi .. suonavo.
È da tempo che non "riabbraccio" più quello strumento.
Suonavo sempre o per lui oppure lo facevamo insieme.
La sua voce si intrecciava con la mia e le vibrazioni delle corde della chitarra rendevano il tutto più magico.
È un rockettaro come me.
Amiamo il rock classico e quando camminavamo fianco a fianco per strada, iniziavamo a scatenarci ascoltando Bon Jovi o Kurt Cobain nei loro pezzi migliori.
Ancora mi ricordo quando un giorno mi regalò migliaia di poster delle mie band preferite.
Entrai in camera mia dopo un lunga giornata di scuola, e BOOM.
Il pavimento nero era tappezzato di poster dai mille colori di tutte le mie band preferite e quando li vidi mi buttai a terra tirandoli in aria, come un bambino in una pozzanghera di coriandoli multicolori.
Lui che se ne stava sdraiato sul mio letto, con le braccia dietro la testa e i muscoli tirati, compiaciuto della mia reazione esplosiva.
Quei poster li tengo nello scantinato in una scatola siggilata e completamente nera.
Quando c'era lui la mia stanza era molto più colorata ma da quando non c'è più ho levato tutti gli oggetti che emanavano colore.
Tra cui quei poster.
Oggi è il 30 giugno ed esattamente un anno fa Niveck partì per il Sud-America, a causa del lavoro del padre.
Non me lo immaginavo in Sud-America, odiava il sole e gli piacevano le nuvole.
Insomma, un Londinese con i fiocchi.
Esattamente un anno fa alle 4 del mattino ero seduta sugli scalini dell'entrata di casa sua, con le lacrime agli occhi.
Quando aprì la porta di casa vidi che i suoi occhi erano pieni di lacrime.
Mi fece entrare e salutai il resto della famiglia.
Adoravo la loro famiglia, era particolare ed accogliente. 
Salutai anche il suo gatto nero Rufus, che mi strisciò tra le gambe emettendo un miagolio spezzato.
Come se non mi volesse lasciare.
Alla fine, ci abbracciammo forte e gli diedi una collana dello Yin e dello Yang.
Ci ritrovavamo molto in quel simbolo, perché io potevo esistere grazie a lui e lui grazie a me.
Ci scattammo un'ultima foto, che ho ancora salvata sul telefono. 
Ci abbracciammo forte e mi promise che ci saremmo sentiti ogni giorno.
Dal quel giorno la mia vita cambiò drasticamente.
Non ricevetti più sue notizie, non rispose più a nessuna delle mie chiamate, ai miei messaggi o email che gli inviavo quotidianamente.
Si cancellò da ogni social network in una velocità impressionante.
Sparì dal mondo e io, di conseguenza,  sparii dalla sua vita.
La mia vita si spense del tutto, perdendo ogni sorta di felicità e diventando incolore.
Lasciai la scuola, non potendo affrontare quell'ambiente senza di lui.
I miei vecchi 'amici', mi lasciarono da parte credendo che stessi diventando pazza da dolore.
Quindi, iniziai a frequentare dei corsi a casa.
Li frequento tutt'ora, ma finalmente sono arrivate le vacanze estive.
Mi alzai dalla sedia con le gambe intorpidite e pensai che questo giorno potrebbe essere simbolo di una nuova rinascita per me stessa, a differenza del 30 giugno dell'anno precedente che mi portò solo che ad una "morte apparente" ..
Quindi, mi diressi verso l'armadio nero e presi altrettanti vestiti neri.
Mi spogliai e buttai il mio pigiama nero in un angolo.
Rimasi semi nuda, davanti allo specchio.
Notai che dall'anno precedente il mio corpo era mutato incredibilmente, in peggio.
Ormai sono pelle ed ossa.
Sono spigolosa e debole.
La mia carnagione è bianca come la porcellana, con sfumature che vanno dal madreperla al grigio nebbia e le mie lentiggini sono sparite.
Il cambiamento più netto che il mio corpo ha subito è stato quello dei capelli.
Dal dolore e dalla disperazione per la sua  lontananza, hanno iniziato a cadermi e sono diventati bianchi.
Prima avevo una bella chioma, che adoravo, riccia e rossa, mentre ora sono bianchi.
I miei occhi sono rimasti li stessi, verdi con sfumature grigie e azzurre, ma sono privi di espressione.
Le mie labbra sono secche e marmoree mentre prima erano piene e rosa, come i petali di un fiore appena sbocciato.
Il mio viso è scarno e le vene del collo e del viso si sono amplificate ancor di più.
Faceva impressione vedere il mio corpo pelle ed ossa bianco in una stanza completamente nera.
Un contrasto che mi fece rabbrividire e quindi iniziai a vestirmi.
Misi dei jeans neri, una canotta nera, una giacca di pelle sintetica nera e le mie adorate Converse.
L'unica cosa colorata di quel completo, erano le bordature e le punte bianche delle scarpe.
Mi voltai e aprii il cassetto del comodino dove conservavo gelosamente una scatolina nera con dentro un ciondolo con incastonata una pietra nera, che Niveck mi regalò per il mio quattordicesimo compleanno.
Me lo legai al collo.
Legai i miei candidi capelli in una coda disordinata e mi rivoltai per guardarmi allo specchio.
Iniziai a toccarmi le clavicole.
Erano appuntite e veramente troppo sporgenti poi strinsi, con una forza sovraumana, il ciondolo che mi ricadeva a pennello sul busto.
Nella mano sentii un leggero calore e il ciondolo iniziò a scaldarsi sempre di più,  come se stesse iniziando ad emanare profondi respiri caldi.
La mia mano si bruciò e rimasi incredula del segno che rimase nella mano.
La ferita iniziò a sanguinare.
Un'altra particolarità della mia natura veramente strana, è che ho sia il sangue che le lacrime nere.
Fin da piccola sono stata sottoposta a migliaia di ricerche e cure, ma non hanno mai capito cosa non andava nel mio corpo.
Non ne faccio un problema colossale, ho solamente un problema con le reazioni della gente quando mi vede saguinare o lacrimare 'nero' ..
Non mi sento più umana, non riesco più a provare emozioni, neanche il dolore.
Non feci tanto caso alla ferita e quindi uscii dalla porta e la richiusi in silenzio.
Mi appoggiai alla porta e iniziai a pensare che oggi dovevo fare qualcosa.
Dare una svolta alla mia vita.
È come se quel sogno, come una secchiata d'acqua ghiacciata, mi avesse svegliato da questo eterno e cupo sonno.
Feci un profondo respiro e iniziai a scendere le imponenti scale che affacciavano sull'enorme portale decorato dell'ingresso.
Mi catapultai nella sala da pranzo dove tutta la mia 'famiglia' stava facendo tranquillamente colazione, come se io non fossi mai esistita.
Senza una minimo di preoccupazione per la loro figlia eternamente depressa e mortalmente sola.

                                                                             

           

The Angel of the Black Roses.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora