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Traccia (e grafica) gentilmente concessa da WitchHunter08: Corre l'anno 2020.
Il tuo mondo dopo anni di sanguinose guerre e conflitti si sta ricostruendo dalle fondamenta.
Tu sei una Dea superiore, un essere intervenuto per salvare la Terra da sé stessa. Tuttavia, nonostante la tua natura divina, covi un odio profondo per gli umani, che durante la guerra hanno ucciso il tuo compagno, il Dio della Speranza.
Ti troverai a dover scegliere tra la vita di 10 bambini nati dai frammenti del cuore del tuo amato, o la possibilità di riportare in vita la Speranza togliendo la vita ad altri 10 bambini nati sotto le bombe.

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La mano, ricoperta da tatuaggi di antiche rune, accarezzava con movenze lente la superficie dell'acqua che sotto il suo comando le mostrava il pianeta Terra

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La mano, ricoperta da tatuaggi di antiche rune, accarezzava con movenze lente la superficie dell'acqua che sotto il suo comando le mostrava il pianeta Terra. Dopo anni di sanguinose guerre la pace era finalmente giunta e dalle macerie gli umani cercavano di costruire un futuro migliore.

Storse il naso memore di come avessero guadagnato quella pace: col suo intervento.

Lei, Dea Suprema, ultima immortale: sostava nel suo palazzo ancestrale, rinchiusa per sua volontà in quella che una volta era la sua stanza preferita.

Sedette sul bordo di quell'ampolla d'acqua, lo sguardo dalle iridi con mille colori vagò su quel luogo amato a cui si accedeva da un grande doppio portone in oro con incisioni sulla creazione delle natura e i suoi animali; il pavimento di un marmo cangiante come le colonne, ai lati della lunga sala, sostenevano un soffitto a volta in cristallo, così che potesse ammirare in tutto il suo splendore il cielo e i suoi astri. La stanza si univa con un'altra, più piccola e circolare, un giardino con numerose specie vegetali con al centro una fontana dalle acque cristalline ricoperte di ninfee dai colori sgargianti. Abbassò le palpebre per  non vedere com'era in realtà. L'odio, la rabbia e il rancore avevano preso il sopravvento, tutto appariva buio, non c'era più nulla di cangiante o puro, le piante erano avvizzite come il suo cuore; l'ampolla d'acqua, da cui osservava il mondo rialzarsi dalle macerie, era ora ricoperta di una melma verdastra, le ninfe morte da tempo, come il suo amore per la razza umana. Aveva dato loro un pianeta ricco di vita, così magnifico da piangere di meraviglia alla sua sola vista. L'avevano distrutto, coprendo la terra con cemento e asfalto, massacrando gli animali solo per ricavarne denaro, ettari di foreste distrutte per avidità e ingordigia, l'aria pura resa insana da ciò che loro chiamavano "progresso". E insoddisfatti da ciò avevano preso a uccidersi a vicenda, per cosa? Avidità, sete di potere e il desiderio di dominare sugli altri. Sospirò recuperando dalla sua lunga tunica, scarlatta con intarsi in oro, un frammento di cristallo rosso, tutto ciò che le era rimasto della suo amore, il suo compagno in quella vita immortale. L'avevano ucciso, Dio della Speranza, per secoli sempre al fianco di quegli esseri indegni donando a loro una scintilla di sé. Più la guerra andava avanti e più si faceva sanguinosa, non vi era spazio per sperare e, incapace di accettarlo, era sceso su quella terra ferita dai bombardamenti ritrovando in essa la morte. Aveva percepito il dolore patito dal suo amato come se fosse stato il suo, l'aveva udito sussurrare il suo nome in un'ultima preghiera di risparmiarli e aveva percepito il suo ultimo sospiro di vita. Il dolore per tale perdita era incalcolabile. Colpì con violenza l'acqua come se così facendo potesse spazzare via quel mondo che tanta sofferenza le aveva procurato.
Udendo il suo tormento interiore, il suo caro Jakua, le si avvicinò strofinando il muso contro la sua gamba. Gli sorrise a fatica, gli occhi lucidi di lacrime mentre accarezzava la sua testa squamosa contornata da tre sporgenze collegate da una sottile membrana. La sua ultima creazione, ciò che aveva permesso la fine di quella guerra insensata. Ne aveva creati a migliaia, esseri dal corpo agile di giaguaro, le zampe poderose di un leone, la coda velenosa di uno scorpione, le fauci irte di zanne velenose. Percepivano un animo corrotto, l'avidità, il desiderio di uccidere o rubare: sentivano il male in ogni forma. Individuata la preda si avventavano sopra a essa e di quelle emozioni si cibavano, la vittima veniva mandata in un limbo dove le sue più grandi paure prendevano vita e soffriva, urlava, piangeva, finché il Jakua non gli strappava l'anima.
"Mia Dea, nostra luce e oscurità, accetta in dono questi giovani e risparmiaci dai Jakua" infinite le preghiere che giungevano a lei, diversi i santuari creati in suo nome nella speranza di venir risparmiati, pallidi tentativi di sfuggire alle sua creature, ma, qualcosa la spinse a seguire quella richiesta. Svanì in una nube nera insieme al suo Jakua per apparire in quel tempio la cui sua curiosità aveva destato, apparendo davanti a loro generando stupore, terrore e ammirazione. Inclinò il viso facendo tintinnare le gocce di cristallo che adornavano il suo copricapo, celando alla vista altrui la sua chioma candida come la neve.
Il sacerdote capo si gettò ai suoi piedi facendo ringhiare e scattare il Jakua, che gli si avventò contro annusando qualcosa di gustoso, ma, a un cenno della sua padrona tornò al suo fianco. «Per quale motivo osate disturbarmi?» chiese la Dea la cui attenzione fu rapita dalla presenza di venti bambini; dieci di loro possedevano qualcosa di famigliare. I loro occhi puntati a terra, nessuna speranza a infiammare l'animo rassegnati a morire per il volere altrui.
«Mia Dea, Unica Dea, concedeteci l'onore di uccidere questi fanciulli per riportare a voi il vostro amato...» illustrò il sacerdote senza alzare il capo da terra estendendo il braccio verso quel gruppetto di bambini alla sua sinistra.
A quelle parole il suo cuore accelerò, perché non vi aveva pensato? Una morte per una vita e, in quel caso trattandosi di un Dio, dieci vite per una. L'idea la tentava, poteva rivedere il volto amato, udire ancora la sua voce ammaliante, sentire il tocco delle sue carezze. Avanzò lentamente con portamento fiero, nessuno di quei bimbi osava alzare lo sguardo, avevano accettato il loro destino pur non desiderandolo. Si sentí osservata e ricercò colui che si azzardava a bearsi della sua vista. Le iridi rosse per l'ira incontrarono un paio di gemme blu notte con pagliuzze dorate. Le sue labbra carnose non poterono evitare di schiudersi per la sorpresa avendo riconosciuto quegli occhi di cui si era innamorata, erano gli stessi del suo compagno; occhi che mai più avrebbe visto, che gli mancavano come l'aria per respirare e sempre più scavavano un vuoto nel suo cuore. «Chi sono questi giovani?» domandò senza far trasparire il suo turbamento.
Il sacerdote si avvicinò ma senza alzare il viso. «Sono bambini nati dal frammento del cuore del Dio della Speranza, un dono per voi» aggiunse facendo qualche passo indietro, così da permetterle di avvicinarsi per osservarli.
Sono figli suoi... Notò che ognuno di loro possedeva una caratteristica appartenuta al suo amato. Cosa doveva provare per loro? Odio perché avevano dentro di loro un pezzo di lui? Rabbia perché la loro nascita era avvenuta con la sua morte? Stranamente non sentiva nulla. Si avvicinò a quel giovane che con tanto coraggio sosteneva il suo sguardo. Posò le mani con delicatezza ai lati di quel viso, smunto e sporco, tirandolo leggermente a sé per posare un casto bacio sulla sua fronte e donargli la sua benedizione mentre una lacrima sfuggiva al suo controllo. Lo lasciò andare distogliendo in fretta il viso per non farsi vedere debole; tornò a quel gruppo di fanciulli il cui sacrificio le avrebbe permesso di riportare a sé il pezzo mancate del suo cuore. Scosse il capo facendo tintinnare i cristalli. «Rimandate questi giovani a casa» ordinò facendo sussultare il sacerdote e, come se fossero un unico corpo, i giovani posarono gli occhi su di lei, iridi precedentemente vacue ora luminose di quella scintilla da molti anni perduta. «Il Dio della Speranza non accetterebbe mai di risorgere sacrificando dei bambini, egli è morto perché gli umani hanno smesso di sperare e ciò l'ha indebolito» spiegò con voce lieve. «Oggi vi concedo la vita e in cambio dovrete tornare a sperare, anche per le più piccole cose, solo così egli vivrà nell'animo di tutti» aggiunse con tono più alto raggiungendo il Jakua. «Ritirerò la mia armata, ma, al primo cenno di guerriglia o spargimento di sangue loro torneranno» li avvisò svanendo in una nube di nebbia tornando nella sua dimora, dove un piccolo germoglio di fior di Campanula, pianta simbolo della speranza, spiccava verde brillante tra quella selva defunta. 

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