Thomas Eliot diceva che il genere umano non può sopportare troppo la realtà.
Eppure io ci vivo, ancorata saldamente, con quattro piastre bullonate sotto i piedi.
é una realtà fatta schemi precisi, di mattoni, di 50 sfumature di calcestruzzo -e non sto parlando di parodie – di capriate da calcolare, piastrelle da posare, case da progettare. Un’ angosciante e stridente allitterazione che mi ricorda di continuo che vivo per fare, appunto.
Per cui, di tanto in tanto, provo a uscire da quel rigido sistema che é la mia vita quotidiana, dal momento che la mia seconda identità con velleità artistiche urla e smania per esprimersi.
Scrivo, leggo, scarabocchio, canto, suono -stono-, ascolto, parlo, vedo, osservo, annuso. Sento.
Per fuggirci, da questa realtà che a volte mi sta un po’ stretta. Per staccarmi dalle piastre che mi tengono arpionata alla vita, altrimenti chissà dove finirei. Per ricordarmi che, a questo mondo, esistono ben più di cinquanta sfumature di colore e che sono tutte a mia disposizione.
Per dimenticare di essere un essere umano come molti, che sognava una vita come pochi, ma che alla fine ebbe Ingegnegnia.
Edile.
Architettura.
Perché poi, alla fine dei conti, ritorno a essere la solita, precisina rompipalle.
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