Era come se avesse ricevuto una fitta acuta dentro di sè, un forte dolore passeggero, ma che gli avrebbe lasciato qualcosa di indelebile nel tempo.
Quel senso di colpa l'aveva invaso a tal punto da pensare a cosa sarebbe accaduto se non lo avesse fatto, se non avesse reagito d'istinto. Solo quel passo indietro nel momento giusto avrebbe evitato quel senso di vuoto, un vuoto che sapeva di amaro, ma un amaro davvero amaro, così doloroso e lesivo, aspro, che non ti lascia più andare, non ti lascia più da solo, in pace.
Man mano che quel buco nero cresceva sempre di più, che solo la scelta esatta poteva rimpiazzare, l'atteggiamento di autocondanna e il riconoscimento della propria colpa, che nel tempo cresceva sempre di più, la maschera lo invitava, ogni giorno, a nascondersi dentro di lei e a chiedersi se un giorno sarebbe finita quella sensazione bruciante, quel veleno che gli scorreva nelle vene, che lo stava trasformando e che gli stava cambiando il colore del sangue rosso.
Sarebbe finita davvero, un giorno?
Ma un bel giorno, intendeva. Un giorno da ricordare: magari sarebbe andato a correre tra i prati, avrebbe aspirato il dolce sapore dell'aria e del vento che gli avrebbe scompigliato i capelli, fatto svolazzare gli angoli della maglietta, socchiudere gli occhi per la troppa voglia da parte del vento di farsi sentire sulle sue palpebre.
Oh Dio, ma cosa stava pensando?
L'istinto l'aveva tradito, un'altra volta. Gli aveva lasciato l'anima malata e lo sguardo grigio, grigio e spento, che gli aveva provocato paura, paura del male del senso di colpa e di cosa sarebbe potuto diventare se fosse passato altro tempo.
La speranza moriva piano piano, e, con lei, piano piano, anche lui.
PENTIMENTO.