-Angelica, che diamine, quante volte ti ho detto di mettere apposto il caricatore portatile quando lo usi?!- Urlo, sventolando la mano in direzione dell'altra stanza, dove puntualmente mia figlia si rifugia beata nel suo mondo virtuale.
Non credo nemmeno mi abbia sentito dato che evita di rispondermi, quindi non posso far altro che sbuffare da quell'ennesima mancanza di rispetto.
Cammino velocemente in direzione della ciabatta posta proprio di fianco al mio letto, sul comodino, dove lo collego alla presa nel tentativo di farlo "riprendere".Ormai sono anni che ripeto a quella ragazzina le stesse e identiche cose e lei si rifiuta di ascoltare una singola parola che esca dalla mia bocca. Beh, dopotutto, l'adolescenza è così, di certo non posso cambiarla.
-Hai detto qualcosa, mamma?- Urla improvvisamente lei dall'altra stanza, e io rispondo con un occhiataccia che non può vedere.
-Non importa, lascia perdere!- Le rispondo infastidita, iniziando a sistemare i vari vestiti raggomitolati come al solito sulla sedia per metterli in lavatrice.
Butto uno sguardo sull'orologio al mio polso che porta le sei di sera; sono fortunata che sia Sabato, almeno ho tutto il tempo per riposarmi un po' dal mio lavoro stressante, nonostante la figlia decisamente irriverente che mi ritrovo.
Dai rumori provenienti dalla cucina capisco immediatamente che come al solito sta gironzolando avanti e indietro con la musica nelle orecchie: lo fa fin da bambina, ancora non capisco da chi possa aver preso un vizio del genere dato il rumore incredibile che fa sbattendo i piedi sul vecchio pavimento.
Certe volte mi piacerebbe svuotare questa casa mezza rotta e andarmene il più lontano possibile da questo quartiere, questa città e, in generale, da questo mondo.
Mi avvicino successivamente alla cucina, confermando i miei sospetti. Effettivamente Angelica sta ancora saltellando in giro bonificando parole a caso, probabilmente presa dalla canzone che sta ascoltando, ma quando mi vede entrare dalla porta si blocca subito, guardandomi con un sopracciglio alzato.
-Cosa c'è?- Mi chiede annoiata, appoggiandosi al tavolo da pranzo dietro di lei.-Io adesso mi preparo per andare in Chiesa, vuoi che ti vada a comprare la pizza per cena?- Domando, avvicinandomi alla ragazza.
-Sì, ma adesso posso ballare in pace?- Chiede sarcastica, probabilmente infastidita dalla mia intrusione, riuscendo solo nel tentativo di farmi ridere. A volte sono molto buffe le espressioni che fa, con quel nasino arricciato e gli occhi rivolti al cielo ha proprio la faccia di una bambina.Presa da un impeto di tenerezza mi avvicino per riempirla di baci, cosa che ovviamente la infastidisce ulteriormente.
-Dai, mamma, non ho cinque anni!- Si lamenta tra le mie braccia, ma alla fine si arrende abbracciandomi a sua volta come se costretta, regalandomi due pacche sulle spalle.
-Mamma, non ho cinque anni!- Le ripeto a pappagallo, facendola sbuffare.
-Dai, tesoro, fra poco torno con una bella pizza Margherita come piace a te, non fare la schizzinosa come sempre.- Ridacchio, stringendola un'ultima volta.Angelica annuisce, poi si allontana da me per ricominciare a ballare nel suo mondo, allora io ne approfitto per prepararmi in modo da risultare almeno presentabile. Dopotutto è sempre la Chiesa il posto in cui sto andando.
Opto allora per un maglioncino giallo e dei pantaloni di pelle neri, intonati a degli stivaletti marroncini con un tacco mediamente alto. Mi guardo allo specchio per un istante, e sinceramente fatico a riconoscermi: degli ultimi anni sono dimagrita tantissimo e nonostante continui a ritenermi abbastanza apprezzabile fatico ancora ad accettare questa condizione del mio corpo, che solitamente le mie amiche invidiano.
Ormai ho cinquantadue anni pieni, di certo non sono più la solita ragazzina protagonista dei libri romantici, le storie d'amore sembrano non rientrano più nelle mie priorità, almeno non dopo quell'idiota del mio ex marito che un giorno ha deciso di rovinarmi la vita senza motivo.
Sono passati ormai otto anni da quel divorzio, eppure ancora mi chiedo cosa mai posso aver fatto per meritarmi una fine del genere. Una volta ero la prima a credere nel vero amore, ma a quanto pare si è rivelato totalmente al di fuori delle mie aspettative.
Faccio una smorfia infastidita a quel pensiero, fissando il mio riflesso con riluttanza, prima di spruzzarmi qualche goccia di profumo ed afferrare la borsa con tutte le cose che mi servono.
Lascio un saluto a mia figlia che probabilmente nemmeno sente ed esco finalmente fuori di casa, respirando a pieni polmoni l'aria fresca della sera.
Quando mi avvicino all'auto noto un volantino proprio sul parabrezza, che probabilmente avrà messo qualche deficiente per il solito circo di città.Lo afferro quindi senza nemmeno guardarlo, buttandolo nel bidone lì a fianco, per poi accomodarmi all'interno della mia Citroën C3 di seconda mano e avviarmi verso la Chiesa più vicina del paese in cui vivo.
Non appena ci sono davanti parcheggio immediatamente l'auto, per poi avviarmici all'interno con disinvoltura.Ispiro a pieni polmoni uno strano e piacevole profumo floreale che sprizza tra le mura, e mi accomodo al mio solito posto, la terza panca a destra.
Di solito le persone evitano di sedersi al mio fianco, probabilmente per i vari pregiudizi sulle donne dall'aspetto giovanile che circolano per le strade, purtroppo è il brutto di vivere in una piccola città come quella, ma questa sera sembra esserci qualcosa di diverso.
Mentre leggo il solito foglietto, una presenza si fa largo proprio al mio fianco, costringendomi ad alzare gli occhi. Voi ovviamente non potete vedere la mia espressione, ma credo vi basti sapere che alla vista che mi ritrovo davanti la mia mascella casca immediatamente sul pavimento.
Un metro e novanta di altezza, probabilmente persino di più, spalle larghe e bicipiti allenati e solo alla vista duri come il marmo. Capelli scuri tirati elegantemente indietro da un filo di gel per uomo e due occhi verdi da far invidia agli smeraldi più pregiati, per non parlare delle gambe fasciate da dei semplici pantaloni bianchi che sembrano quelle di un calciatore professionista.
Egli si volta verso di me, probabilmente accorgendosi del mio sguardo insistentemente puntato su di lui, e mi regala uno dei sorrisi più belli che abbia mai visto in vita mia.
Ecco, ecco. Quello è stato l'inizio di questa dannatissima storia che ho intenzione di raccontarvi e si può riassumere solo in una frase:
Che sfiga!
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Non Chiamarmi Ballerina!
RomanceStress, stress totale, era esattamente in questo modo che Matilde poteva definire la sua vita. Tra una figlia adolescente perennemente infastidita e irrispettosa e un lavoro da estetista sottopagato in una piccola città della Campania non sapeva cos...