1. The Girl Who Lived

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Non ho mai creduto ai fantasmi, malefici o cose del genere.
Mi sono sempre ritenuta una ragazza razionale e sono sempre riuscita a trovare una spiegazione a tutto con la logica.
Ho sempre considerato sciocchi e un po' ingenui quelli che credono alle storie di paura o quelli che continuano a provare angoscia anche dopo che un film horror si è concluso. E ho sempre considerato pazzi quelli che farneticavano di aver visto dei mostri o roba simile.
Mi ergevo sopra di loro e mi consideravo più intelligente grazie alla mia logica infallibile.
Quel giorno, però, tutte queste mie convinzioni, insieme alla mia tanto amata razionalità, crollarono.

*Rapporto-luglio 2018, prefettura di Saitama.
Un'intera abitazione nel distretto di Iruma è andata distrutta a causa di un incendio. Sono stati rinvenuti tre cadaveri. La causa della morte è difficilmente identificabile a causa dello stato dei corpi. La famiglia Suzuki, che abitava in quella casa, è rimasta coinvolta. C'è un'unica sopravvissuta, Suzuki Noriko, la figlia primogenita di 20 anni, che, in quel momento, non si trovava lì. L'incendio è scoppiato a causa di una fuga di gas.
Caso concluso e archiviato*

Questo era quello che era successo. O, almeno, questa era la versione ufficiale della polizia.
In pochi giorni avevano analizzato i resti della casa, mi avevano fatto qualche domanda e avevano concluso che si trattasse di un incidente.

"Signorina, ci dispiace molto per la sua perdita. Si faccia forza"

Ecco cosa mi era stato detto al termine delle indagini.
Mio padre, mia madre, mio fratello più piccolo. Erano morti.
La mia logica non riusciva a spiegarlo. Ed è stato in quel momento che nelle mie ferree convinzioni si insinuò una crepa che sarebbe stata destinata a crescere sempre di più.

Dall'incidente avevo smesso di frequentare le lezioni dell'università. Avevo appena iniziato il terzo anno e avevo anche dei buoni voti, ma, di quelle cose, ora, non mi importava assolutamente nulla. Forse, se mai fossi riuscita a stare meglio, avrei continuato. Ero andata a vivere con mia zia, la sorella di mio padre, una signora affettuosa ma molto impegnata, una vera e propria donna d'affari. Lavorava molto, quindi, spesso, mi trovavo a casa da sola, ma non gliene facevo una colpa.
Non mi ero ancora abituata a quegli spazi. Non riuscivo a sentirli nemmeno un po' familiari. Quella non era la mia casa, non la consideravo tale.
Io non avevo più un posto in cui stare.
Per questo motivo mi capitava spesso di tornare nel luogo dell'incidente, che distava solo qualche isolato a piedi.

Ogni volta, prima di svoltare l'angolo, speravo sempre che quello fosse stato solo un brutto sogno e pregavo che la sagoma bianca della mia vera casa fosse ancora lì.
Ma così non era.
Al posto di un bell'edificio candido c'erano solo rovine scurite dalle fiamme. Queste sarebbe state sgomberate tra qualche giorno, non era stata considerata un'operazione così urgente.
Così, quel giorno, per l'ennesima volta, mi trovavo a guardare quell'ammasso di macerie.
Ancora non avevo accettato quello che era successo. Dicevano che ero nella fase della negazione. Poco importa, per me era ancora impossibile credere a tutto ciò.

Una fuga di gas?
Era colpa mia?

Io non c'ero, ero uscita la mattina presto per un incontro deciso all'ultimo con delle compagne dell'università. Avevo usato i fornelli per preparare la colazione, ma ero sicura di aver chiuso tutto per bene una volta finito. Lo avevo davvero fatto?
Ero convinta di questo, ma forse, lo ero solo per non sentirmi responsabile?
Secondo la polizia il gas aveva iniziato a diffondersi velocemente per tutta la casa e poi, sfortunatamente, era partita una scintilla dagli stessi fornelli, probabilmente per un guasto. Tutta la mia famiglia stava ancora dormendo quando ci fu l'esplosione.

Il dolore e il senso di colpa mi stavano facendo impazzire, ma la cosa peggiore di tutte era il non sapere se fossi stata io o meno. Comunque, colpevole o no, loro erano morti.
Per cercare di stare meglio, ora mi trovavo lì, da sola, a spostare con un bastoncino la cenere, per cercare qualsiasi cosa che mi ricollegasse alla mia famiglia.
Cocci, pezzi di piastrelle, piccoli frammenti di legno sopravvissuti alle fiamme, prendevo e conservavo con gelosia tutto quello che mi ricordava la mia vita prima dell'incidente.

Avevo appena trovato il manico giallo della tazza preferita del mio fratellino, Daiki.
Le lacrime iniziarono a scendere senza che me ne rendessi conto, lavando quel coccio dalla cenere.
Daiki era un bimbo davvero pieno di vita e, contrariamente a me, credeva a qualsiasi cosa. Gli piacevano tantissimo le storie dei fantasmi o degli alieni e si divertiva a esplorare tutti i posti che visitava. Avrebbe compiuto 10 anni tra qualche settimana.
Con cura arrotolai quel manico in un fazzoletto e me lo infilai in tasca, per poi proseguire nella mia ricerca.

Angolo Autrice
Ebbene sì, abbiamo un inizio super triste. D'altronde però non puoi essere un personaggio di Jujutsu Kaisen se non hai subito una maledizione, o se i componenti della tua famiglia non sono morti o anch'essi maledetti, o semplicemente, se non hai una sfiga assurda!
Spero che questo inizio vi abbia incuriosito almeno un po' e vi spinga a continuare!

Alla prossima!

-Vale🐯

Lost In Paradise (Jujutsu Kaisen xOc) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora