Parigi, 4 gennaio 1660.
Il freddo impietoso gli azzannava i polmoni, i piedi nudi, si insinuava sotto l'inconsistente veste da notte. Tentò freneticamente di scostare i rami secchi e neri durante la fuga, ma era arduo evitarli nel pieno della boscaglia e nel tentativo di farlo si ferì più volte i polpastrelli.
Non aveva più fiato e le lacrime iniziarono a cadere, acuendo la sensazione di freddo sulle guance, mentre si spingeva fino alla sorgente e al piccolo lago, tramutati in immobili specchi dal ghiaccio.
Si arrestò inorridito alla vista del teatro di morte e il suo urlo di dolore si stagliò contro il silenzio, vuoto testimone della barbarie appena compiuta. Crollò in ginocchio, scosso da violenti tremiti, e tentò di trascinarsi a carponi verso il corpo senza vita, arrancando sulla superficie gelida e nera e graffiandosi le ginocchia.
Levò gli occhi verso il cielo alabastrino, catturato dagli artigli secchi dei rami, e si accorse che nuovi fiocchi stavano cominciando a cadere, lenti, come a voler rendere l'innocenza alla vita appena portata via.
Si risollevò a fatica e traballò sul ghiaccio per raggiungerla, annientato dal tormento di essere arrivato nuovamente troppo tardi.
Lei era sempre nello stesso posto, al centro del bacino gelato. Immobile, riposava eterna sotto una lastra di ghiaccio cristallino. Gli occhi turchesi erano sbarrati, vacui, e le labbra piene e semi dischiuse lasciavano intravedere i denti perfetti. Le braccia erano aperte, come quelle di un sacerdote su un altare, e le chiome scarlatte ondeggiavano placide e sciolte nell'acqua sottostante, disegnando spirali attorno agli avambracci.
Le dita affusolate stringevano le corolle di numerosi gigli variopinti che ornavano le acque del lago solidificato. Avrebbe potuto considerarla come un'estatica visione, se non fosse riuscito a scorgere il riflesso dello stiletto impreziosito da rubini piantato al centro del cuore di lei.
Provò a rompere la lastra a pugni, ma non ottenne alcun risultato. Minuscoli tagli vermigli comparvero sulla superficie delle sue nocche, ma non si arrese e continuò a sferrare i colpi.
Tutt'a un tratto, inspiegabilmente, lei riprese vita. La bocca si spalancò in un grido muto, i tratti deformati dall'orrore dell'acqua gelida che le riempiva i bronchi. Lui ricadde indietro, atterrito e sgomento da quell'innaturale risveglio.
Sentì il rumore delle unghie della giovane graffiare convulse il ghiaccio e si precipitò per aiutarla.Qualcosa di malvagio la stava afferrando e la stava trascinando inesorabilmente verso il fondo del lago.
Vide l'espressione di lei spegnersi di nuovo nell'imminenza della fine, le braccia marmoree protendersi inutilmente verso la superficie mentre cercava disperatamente di tirarla fuori...
Louis si risvegliò sussultando, con il fiato corto. Impiegò qualche secondo a realizzare che si trovava nella sua camera da letto al Louvre. Ricadde con gli occhi chiusi sul cuscino e afferrò tremando le coperte che doveva aver spinto di lato durante l'incubo. Si passò una mano sulla fronte per asciugarsi il sudore che gli imperlava le tempie, cercando invano di imbrigliare le proprie emozioni e di mettere un freno alla propria improvvisa debolezza.
«Sire, va tutto bene?»
«Sì, La Porte» mentì il re, sforzandosi di ignorare i colpi di martello che il cuore continuava a infliggergli nel petto. «Portatemi dell'acqua, subito» ordinò poi cercando di suonare padrone di se stesso, ma con voce ancora in parte rotta dall'affanno.
Il valletto si inchinò e uscì dalla porta di servizio per eseguire l'ordine; Louis cercò di riprendere sonno, ma ben presto capì che era inutile e si alzò, indossando da solo la veste da camera. La Porte lo trovò seduto, immerso nella penombra davanti alla poltrona di fronte al camino di marmo, il volto inquieto illuminato solo dalle flebili fiamme aranciate.
«È ancora quel sogno a turbarvi, Maestà?»
Louis annuì, prese il calice che il valletto gli porgeva e lo vuotò tutto d'un sorso. Aveva la bocca secca e impastata come il deserto e i piedi gelati come se fosse davvero fuggito nella boscaglia.
«Non riesco a capire cosa mai possa significare, La Porte. Forse sto semplicemente impazzendo.»
«Siete davvero sicuro di non averla mai vista prima, Maestà?»
«Ne sono certo. Eppure nel sogno ho la sensazione di conoscerla bene, di doverla salvare, a qualsiasi costo. E vederla lì, sotto la superficie del lago mentre si dimena con un pugnale piantato nel petto è... atroce, sì. Non saprei come altro definirlo.»
La Porte annuì lentamente e riprese il calice dalle mani del suo padrone.
«I sogni, Maestà, sono un regno mai conquistato dall'uomo» mormorò carezzevole, per rassicurarlo. «Ma hanno un loro significato celato nei meandri della nostra mente, che quasi mai è quello che crediamo che sia e che quasi sempre si rivela proprio quando meno lo attendiamo.»
Louis gli sorrise. Considerava La Porte più come un educatore che come un servitore. Gli era impossibile non provare un moto d'affetto verso l'uomo che si era sempre preso cura di lui fin da quando aveva memoria, salvandolo da ogni potenziale pericolo, compreso quello rappresentato da se stesso. La Porte era stato forse l'unico baluardo di spensieratezza nell'infanzia che i suoi stessi parenti gli avevano sottratto. Per la Francia intera, lui era il re donato da Dio. Per La Porte, solo il ragazzino scapestrato che voleva ad ogni costo fare il bagno tutto sudato lungo le sponde della Senna e che preferiva le cavalcate, il disegno e la musica alle tediose lezioni di latino, greco e spagnolo.
«Siete un uomo saggio, La Porte, ma la filosofia e la poesia mi servono a poco. Questa visione... mi sta togliendo ogni cosa. Il riposo, la calma, perfino il respiro.»
«Dovreste parlare con i vostri medici, Maestà, e anche con il cardinale» gli suggerì allora il valletto, ma Louis scosse la testa, in veemente disaccordo.
«E perché dovrei?» replicò, alzandosi dalla poltrona e cominciando a passeggiare avanti e indietro di fronte al camino. «I medici non mi hanno dispensato altro se non inutili torture fino ad ora, e Sua Eminenza ha già abbastanza grattacapi con gli affari di Stato a cui deve provvedere, non serve che lo gravi anche del peso delle bizzarrie della mia fantasia. Inoltre la sua salute è abbastanza vacillante negli ultimi tempi e la cosa mi preoccupa non poco.»
Il servitore sospirò, incerto su come fare a dissuadere il re da quella che stava diventando un' inspiegabile e alquanto sinistra ossessione. Uno sguardo rapido alla camera da letto reale gli fornì una soluzione che lo spirito competitivo del suo signore non avrebbe mai potuto rifiutare.
«Maestà, mi concedereste l'onore di una partita a scacchi? Se il sonno non arriva e la mente si ostina con la veglia, tanto vale indirizzarla verso occupazioni più appropriate.»
Louis si voltò nella direzione indicata da La Porte e notò le fiamme riflettersi anche sulla scacchiera di legno tirata a lucido. Gli venne quasi da ridere al pensiero di come la sua definizione di "occupazioni appropriate" e quella del suo valletto non fossero affatto coincidenti. Il suo primo impulso fu quello di rifiutare la proposta e di chiedergli di vestirlo per uscire dal Palazzo, senza sapere in realtà neanche quale fosse la meta, ma un'occhiata alla tempesta di neve che infuriava fuori dalle finestre bastò per dissuaderlo. E non era neanche la notte adatta per le sue scorribande licenziose nel letto della bella Olimpia, per quanto gradevoli potessero essere. Così, a malincuore, si arrese per una volta alla ragione.
«Avete ragione, La Porte. Che partita a scacchi sia: forse stanotte riuscirò finalmente a battervi.»
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Fleur De Lys
Historical FictionFrancia, 1660. Luigi XIV è pronto a dimenticare la sanguinosa Fronda dei principi ribelli e a consolidare il suo trono sposando l'Infanta di Spagna con l'appoggio della regina madre, Anna d'Austria, e dell'enigmatico cardinale Mazzarino. Ma una scia...