[𝟓] 𝐬𝐜𝐫𝐞𝐰 𝐟𝐚𝐭𝐞- 𝐢'𝐥𝐥 𝐟𝐢𝐠𝐡𝐭 𝐭𝐨 𝐛𝐫𝐢𝐧𝐠 𝐲𝐨𝐮 𝐡𝐨𝐦𝐞

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Kageyama non aveva mai pensato che potesse esistere un sole tutto per sé, che lo riscaldasse e gli rischiarasse le giornate più nere. A dir la verità, gli era capitato più volte di desiderarlo, ma col tempo si era rassegnato all'idea di non trovarlo mai.

Eppure, in quel preciso momento, in quella palestra, aveva finalmente capito di aver avuto il sole lì, davanti a lui, per tutto quel tempo, e l'unico motivo per cui non lo vedeva era il suo stesso rifiuto.

«Questa sera te ne andrai» mormorò improvvisamente Tobio, non accennando minimamente a lasciarlo, come se se ne rendesse conto solo in quel momento.

«È così...» confermò il più basso, stringendo il tessuto della sua maglia tra le dita, con ostinazione. «Non voglio andare. Ho paura di non rivederti più.»

Quelle parole fecero ancora più male del previsto al ragazzo corvino, probabilmente perché era la stessa cosa che stava pesando lui in quel momento.

"Ti prego non andare, ti prego", ma decise di non dare voce ai propri pensieri, fin troppo impaurito dell'unica risposta possibile: non c'è modo.

«...Tre anni» sussurrò Kageyama, con voce a malapena udibile. «Tre anni e finirò la scuola. Solo tre.»

Hinata strinse i pugni; sapeva a cosa stava alludendo, in quel momento, ma si rifiutava di accettarlo. Avrebbe dovuto aspettare tre anni, va bene, ma per cosa? Cosa avrebbe fatto, allora? Sarebbe tornato a casa? Se era davvero così, aveva dimenticato completamente il proprio futuro ancora prima che iniziasse.

Tobio sembrò leggergli negli occhi le sue riflessioni, e quasi stentò a credere che il ragazzo che aveva davanti era lo stesso che conosceva così bene un paio di anni prima.

«Chi ti ha detto che dovrò aspettare tre anni per rivederti?» sbottò il ragazzo dai capelli arancioni, portando le mani sulle sue spalle quasi per bisogno di contatto fisico. Lo fece chinare alla sua altezza e portò la fronte contro la sua, con forza, quasi per dargli una testata e così ammonirlo.

Il corvino socchiuse gli occhi, mentre il suo volto attraversava una vasta gamma di espressioni, dalle sfaccettature tutte diverse, fino a quando non assunse un lievissimo sorriso, appena percettibile ma che Hinata riusciva a vedere bene.

«Non dire a nessuno che ci siamo incontrati», si limitò a borbottare, facendolo suonare come un ammonimento, anche se più che quest'ultimo era una preghiera. Non era sicuro di voler tornare così improvvisamente alla sua vita di un tempo; nonostante ciò che dava a vedere, a modo suo era un tipo sensibile, e voleva riabituarsi mano a mano a quella sensazione di tepore e calore che aveva riavvertito da troppo poco tempo. Shouyou prese un bel respiro e, a malincuore, annuì.

«Se non vuoi, non lo farò. Però devi promettermi che prima o poi tornerai con me. A casa.»

L'ex alzatore sentì di nuovo una luce abbagliante travolgerlo, e non poté fare a meno di mimare con le labbra quella stessa parola, il cui vero significato gli era quasi estraneo.

La determinazione di quel ragazzo era rimasta la stessa, e Kageyama in fondo lo sapeva, e lo aveva sempre saputo: si conoscevano da un tempo relativamente breve, ma a lui era sembrata un'eternità, e aveva imparato a riconoscere ogni particolare del suo ex compagno di squadra; l'unica cosa che non era mai riuscito a percepire di lui, prima di quei giorni che gli avevano scombussolato tutto, era la luce di tutti quei soli che avevano appena ripreso ad ardere di fronte a lui. Hinata brillava di luce propria, ma non se n'era mai accorto. Ed adesso, che gli proponeva di tornare a casa prima o poi, lì davanti alla propria figura, con le braccia tese verso di lui – pronto ad accoglierlo, pronto a perdonargli tutto e a stringerlo a se –, non poté fare a meno di chiudere di nuovo gli occhi, quasi di scatto, per poi stringerlo con forza, nascondendo il volto nell'incavo del suo collo.

«Torneremo a casa al più presto.»

Per un attimo gli parve di baciare il sole.

*

Grigio era tutto ciò che riusciva a vedere. Nuvole perenni offuscavano ormai anche la propria mente, e tutto ciò – mano a mano – stava anche iniziando a risultargli familiare.

Ma ecco che, improvvisamente, in mezzo alle nuvole dai colori più oscuri ed opachi, cominciò a intravedere uno spiraglio di luce; fendeva le nubi ed era come se stesse cercando proprio lui.

Dovette sporgersi di poco, far notare la propria esistenza, ma l'impegno fu subito ripagato; e si ritrovò in un mare di luce, circondato da decine, centinaia, migliaia di soli, tutti concentrati in un unico minuscolo corpo.

And I hush [kghn]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora