☫ 16.ᴅᴇɴᴛʀᴏ ʟᴀ ꜱᴜᴀ ᴘᴀᴢᴢɪᴀ ☫

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La stanza era bianca. Una bianchezza accecante che sembrava prendere possesso di ogni angolo, come una verità troppo assoluta per essere sopportata. Le pareti spoglie, il pavimento lucido e freddo, l'aria impregnata da una mistura di candeggina e formaldeide, quell'odore che gli stringeva la gola ogni volta che respirava. Jimin si trovava lì, nel cuore di una struttura che non aveva niente di umano, lontano dalle ombre dei corridoi di Aberdeen, da quella goticità che sembrava essere il suo rifugio. Qui non c'erano i toni caldi del legno, le finestre che riflettevano la luce morbida della luna, né il suono del vento che si infiltrava nelle fessure. C'era solo il bianco, che invadeva la sua mente, la sua anima, tutto ciò che era stato e che sarebbe potuto essere.

Si sedette su una poltrona di pelle chiara, come un'inquietante distorsione nel paesaggio, cercando di nascondere la propria ansia. Non poteva fare a meno di stringere le mani, intrecciando le dita in un gesto nervoso. La stanza sembrava comprimersi sempre di più, mentre il silenzio tra lui e la psicoterapeuta si faceva sempre più pesante. Lei, immobile, lo guardava con quegli occhi che non giudicavano, ma che facevano sentire il peso di ogni parola non detta. La sua presenza era calma, serena, ma Jimin si sentiva come se quella tranquillità gli strappasse pezzo dopo pezzo l'illusione di poter vivere senza svelare i suoi demoni. La psicoterapeuta non aveva bisogno di parlare per farlo sentire intrappolato.

"Jimin..." La sua voce era morbida, ma allo stesso tempo ferma, un appiglio che lo tirava fuori dal vortice dei suoi pensieri. "Mi hai detto che stai evitando una persona . Cosa succede?"

La domanda risuonò nella sua mente come un eco che non riusciva a dissiparsi. Jungkook. Jimin sentì un vuoto che si apriva in mezzo al petto. Un vuoto che non sapeva come colmare, ma che, allo stesso tempo, sapeva essere inevitabile. Ogni volta che pensava a lui, quel nome diventava una cicatrice che non si rimarginava. Ogni volta che sentiva la sua voce, ogni volta che incrociava il suo sguardo, tutto il suo corpo reagiva come se stesse ricevendo una scossa. Ma non riusciva a permettere che ciò accadesse.

In quei giorni, Jimin aveva evitato Jungkook con una determinazione che lo sconcertava. Ogni volta che Jungkook cercava di avvicinarsi, che provava a fissarlo o a parlare con lui, Jimin reagiva come se stesse scappando da una forza invisibile. Camminava più velocemente, nascondeva lo sguardo, si rifugiava in angoli vuoti dove il mondo sembrava sparire, almeno per un momento. Ma non era solo paura. Era un disperato bisogno di protezione, di evitare il contatto, di evitare che qualcosa dentro di lui si rivelasse. Non voleva sentire quel richiamo, non voleva che Jungkook lo toccasse di nuovo.

Ogni volta che Jungkook provava a raggiungerlo, Jimin si sentiva come se stesse affondando in un abisso. Quell'abbraccio, quel bacio, quei gesti che sembravano innocenti eppure avevano il sapore di un tradimento. Ogni volta che si avvicinava a lui, Jimin sentiva la sua mente vacillare, come se fosse sopra un filo troppo sottile per camminarci sopra senza cadere.

"Perché...?" La psicoterapeuta interruppe i suoi pensieri, il suo sguardo fermo su di lui. "Perché non hai voluto confrontarti con lui? Perché questa fuga?"

Jimin chiuse gli occhi, il cuore che batteva in modo irregolare, come se volesse uscire dalla gabbia del suo petto. "Perché... perché ho paura. Paura di quello che potrebbe succedere. Paura di quello che lui rappresenta. Paura di me stesso."

Le parole uscirono come un sussurro, ma avevano il peso di un'intera vita. La paura di Jungkook non era solo il terrore di un sentimento non controllato, ma il terrore di se stesso. Di come, a volte, la sua mente sembrava tradirlo. Di come, in quei momenti di solitudine, l'immagine di Revi non lo lasciasse mai davvero andare. Come un'ombra che lo seguiva ovunque, che lo riportava sempre a quel passato di cui non riusciva a liberarsi.

Lui, Revi, era il suo demone. Non c'era altra definizione che potesse rendere giustizia a quella sensazione che lo straziava ogni notte. Era il volto che vedeva al buio, il corpo che sentiva al suo fianco, la voce che gli sussurrava parole che non riusciva a dimenticare. E ogni volta che Jungkook si avvicinava, quei frammenti di passato si facevano sempre più forti, come se la sua vita fosse diventata un ponte tra due mondi che non riuscivano a coesistere. Eppure, Jimin sentiva che doveva andare avanti, che doveva riuscire a mettere tutto a posto. Ma come? Come si poteva mettere a posto qualcosa che non si era mai davvero rotto? Come si poteva sfuggire a un ricordo che non era altro che il suo stesso dolore?

"Non riesco a staccarmi," disse, la voce bassa, spezzata. "Non riesco a lasciarlo andare. Ogni volta che lo faccio, sento di tradirlo. Ma ogni volta che sono con Jungkook... mi sento come se stessi tradendo me stesso. È come se il mio cuore fosse diviso in due, e nessuna delle due metà riesca mai a stare al suo posto."

La psicoterapeuta lo guardò, il suo sguardo gentile, ma indagatore. "Jimin," disse con dolcezza. "Quello che stai vivendo è un conflitto che nasce dentro di te, ma che non riguarda solo Revi o Jungkook. Hai bisogno di capire cosa sta succedendo dentro di te, senza fuggire da chi sei."

Ma Jimin non voleva sentire quelle parole. Non ancora. Non ora. Non quando l'unica cosa che voleva era che tutto finisse, che il peso della sua esistenza fosse finalmente rilasciato, come se fosse stato un fardello che aveva portato troppo a lungo. Ma le parole della terapeuta si infilavano nella sua mente, creando un vuoto in cui non sapeva se ci sarebbe mai stato posto per una soluzione.

"Io..." Jimin si fermò, come se avesse paura di ammettere ciò che pensava. "Io non so come fare a viverci. Non so come fare a convivere con il fatto che il mio cuore è ancora tutto per lui, e che il mio corpo, la mia mente, stanno cercando disperatamente di non cedere a Jungkook."

La psicoterapeuta non rispose subito. Sembrava ponderare le sue parole, come se cercasse di trovare il modo giusto per rispondere. Alla fine, disse con calma, ma con una profondità che Jimin non avrebbe mai immaginato: "Perdonare te stesso è il primo passo, Jimin. Senza perdono non puoi né guarire né vivere. E senza vivere, non puoi andare avanti. Ma devi farlo per te stesso, non per qualcun altro."

Le parole rimasero sospese nell'aria, come una verità che Jimin non riusciva ancora a comprendere.

"Jimin, dobbiamo aumentare le dosi delle tue cure "

ᴀʙᴇʀᴅᴇᴇɴDove le storie prendono vita. Scoprilo ora