Caro Jason,
mi manchi.
Mi manchi come l'aria quando stai combattendo e vorresti solo un ultimo respiro, un'ultima boccata per poter trafiggere il nemico ma senti che l'elmo ha risucchiato via tutto.
Mi manchi come manca l'alba quando sei sulle mura, con l'oscurità tutto intorno e l'armatura addosso, che ti soffoca, e aspetti di veder arrivare una minaccia e al contempo preghi non arrivi col sudore sulla fronte e la lancia stretta in mano.
Mi manchi come ti mancano le abitudini dell'infanzia: camminare sulle mattonelle senza pestarne le linee, giocare a nascondino, correre per strada, fare parlare le bambole, il pranzo della domenica e le giornate a mare.
Mi manchi come ti manca il tuo letto quando sei stato tanto tempo via, come ti manca l'odore delle vie della tua città e il sapore del tuo piatto preferito che sanno fare bene sono nel ristorante dove vai sempre.
Mi manchi come mancano i vizi, le cattive abitudini, come fare girare l'anello attorno all'indice quando penso o accarezzare i miei levieri quando sto crollando a pezzi.
Mi manchi da impazzire.
Sei già scomparso una volta, nel nulla, la sera prima mi avevi dato un bacio sulla guancia e mi avevi augurato la buona notte con un sorriso dei tuoi e la mattina dopo puff, non c'eri più, avevi lasciato un posto vuoto affianco al mio a mensa e i passi pesanti, in corsa, della Legione che ti cercava ovunque.
Hai lasciato gente che urlava il tuo nome a squarciagola per la strada, visi che si guardavano confusi, gente che piangeva per te, il suo Pretore, il figlio di Giove dall'animo gentile e dagli occhi dolci. Hai lasciato un vuoto fisico, il tuo trono che fissava impotente i centurioni, in Senato, seduti sulle tribune, e uno più mio, un vuoto nel petto che si portava via tutto e quando arrivava la sera sembrava allargarsi fino a risucchiare la stanza e farmi diventare nulla, abitante del nulla, pensatrice del nulla.
Però sai cosa, Jason? Io ho sempre saputo che eri vivo.
Forse era mia madre che cercava a modo suo di consolarmi, forse era una felibile speranza a cui mi aggrappavo, forse era il fatto che hai sopportato l'addestramento di Lupa a due anni, forse era solo perché non ti ritenevo capace di morire.
Ma io lo sapevo.
E anche se ogni sera piangevo con la faccia schiacciata nel cuscino e la mattina usavo il correttore un po' più di quando eri con me, io sapevo che un giorno mi avresti stretto forte tra le tue braccia e poi saremmo tornati a parlare di quel viaggio per visitare i luoghi in cui era stato Diocleziano.
E poi sei tornato. Eri cresciuto, il taglio che ti eri fatto da bambino sul labbro inferiore era ancora lì e il tuo sorriso splendeva come sempre. Avevi due o tre cicatrici in più sulle braccia, ma gli occhi azzurri brillavano della solita gentilezza che il mondo, per quanto crudele fosse, non ti aveva mai strappato. Stringevi la mano ad una ragazza, la guardavi come si guardano gli dei che compaiono in terra ed eri circondato da gente che ti trattava come un fratello.
E io ti guardavo, temo che ti guardassi anche io come si guardano gli dei, ma gli dei che non posano mai piede sulla terra, che puoi venerare da lontano e basta.
Ti guardavo come un lupo guarda la luna.
Eri con una nuova famiglia, con gente che ti sorrideva, ridevi alle battute di quel tuo amico con le orecchie a punta, hai mostrato Nuova Roma alla ragazza che ti teneva per mano, hai stretto la mano a Perseus e ti sei fatto tirare un mattone in testa pur di assicurarti che i tuoi compagni andassero via sani e salvi.
E solo qualche volta hai posato lo sguardo su di me e mai per guardarmi oltre il ruolo ufficiale che ricoprivo. Avevi distrutto la famiglia che ci eravamo creati, composta da me e te, avevi dimenticato come avevamo imparato ad amare insieme, perché nessuno ce lo aveva mai insegnato prima.
Eppure sai cosa? Non mi importava.
Eri lì, sorridevi, parlavi, muovevi la mano, scrutavi tutto, gustavi il cibo al mio tavolo e i capelli erano pieni di sole. Eri felice e io non potevo fare altro che essere felice per te.
Poi sei partito, sono partita, siamo tornati e ci siamo ritrovati, abbiamo reimparato a volerci bene, ci siamo abbracciati e ho sentito le tue dita callose che piegavano la mia maglietta, abbiamo trovato una nuova famiglia e poi l'abbiamo fusa alla nostra.
Eravamo insieme e ci sorridevamo, di nuovo complici.
Poi Piper ti ha lasciato, mi hai chiamato in lacrime e quella è stata l'ultima volta che ho sentito la tua voce, perché poi la comunicazione è stata interrotta. Quanto avrei voluto sentirti felice e non distrutto, in quella stupida chiamata che mi mostrava il tuo viso sopra una pergamena.
E poi sei morto.
Hai fatto quello che hai sempre fatto: mettere gli altri prima di te stesso e adempiere al giuramento fatto agli dei. Lester ci ha cantato le tue gesta, ci ha detto di come eri pacato, di come non temessi la morte e di come fossi un eroe. Ci ha detto di come le tue ultime parole, i tuoi ultimi pensieri, non siano stati rivolti a tuo padre, a te stesso, al posto in cui saresti andato, ma ai tuoi amici. Ci ha raccontato di come hai ordinato a Tempesta, il tuo ventus, di salvare tutti. Ci ha narrato della lancia che ha trafitto la tua schiena e di come gli hai chiesto, prima della battaglia, di portare il modellino con i nuovi templi da aggiungere alla Collina al Campo Giove.
E tutti piangevano. Versavano lacrime, si dibattevano, guardavano il cielo. Persino Frank al mio fianco singhiozzava. E io avrei tanto voluto farlo, davvero, ma non ci riuscivo. Era come se ogni parola mi avesse rotta così tanto che non riuscivo a pensare, a respirare, a gridare, a sbattere la testa al muro, ad accasciarmi al suolo. Poi sono riuscita solo a dirmi che dovevo realizzare i tuoi sogni.
Alla fine ho pianto nel pomeriggio, quando il tuo nome si è infilato in ogni ferita aperta del mio corpo, sempre più velocemente, come truppe che invadono il campo nemico, e lo ha riempito fino a farmi esplodere.
Ho pianto così tanto da aver vomitato, Jason. Credo che piangerò gridando il tuo nome in eterno. E se così non fosse gli dei mi maledicono perché tutto il mondo deve soffrire per la perdita di Jason Grace.
Sai, persino Lupa, la nostra mentore, la dea che divora i semidei meno promettenti e addestra gli altri ad essere lupi, è venuta a piangerti. Era arrabbiata per tutto il dolore che stava provando e affamata di vendetta. Il branco, il nostro branco, guaiva nel salutarti.
Che persona megnifica che eri, Jason. Tutto il mondo lo sapeva.
Però a volte penso che nessuno ti abbia conosciuto meglio di me e lo so, è tremendamente egocentrico da parte mia.
Tu sei stato grande, il più grande fra di noi e non perché il tuo gladio mietesse più vittime, ma perché il tuo animo era pieno di virtù.
Eri gentile, dolce, serio come si addice ad un soldato che ha le sorti del mondo in mano e sapevi ridere della morte come solo un ragazzo sa fare. Eri sempre disponibile, pronto a farti in dieci per chi ti stava intorno, capace di voler bene persino al tuo nemico e non potevi fare altro che provare a far stare bene anche chi ti aveva ferito. Avevi sempre il sorriso sulle labbra, dispensavi consigli a chiunque te ne chiedesse uno e non tolleravi di stare con le mani in mano, anche se eri in fin di vita. Sapevi che il mondo fa schifo e invece di rassegnarti hai provato a cambiarlo fino all'ultimo respiro, mettevi al centro gli altri e mai te stesso ed eri sempre dalla parte dei più deboli. Ti sei sempre sacrificato, da quando ti conosco, e quando te lo rimproveravo mi dicevi che ti faceva stare bene più che fare qualcosa per te, avevi un senso dell'umorismo tutto tuo ed eri modesto. Non hai mai passato un giorno senza che onorassi gli dei, rispettavi il tuo dovere ed eri comprensivo, sincero, accogliente. Sapevi far sentire tutti a casa e dare speranza, eri un impavido soldato, un buon condottiero, un valoroso stratega e un ottimo leader. Avevi anche tu le tue paure e forse era l'unica cosa che mi ricordava che eri umano come me, e non un dio: temevi di non essere abbastanza, di rimanere solo, di dimenticare di essere te stesso e di diventare solo il pretore perfetto, di perdere la tua famiglia, di fare un errore che avrebbe portato tutti alla rovina, di non essere una buona persona.
Amavi il mondo e, ne sono convinta, il mondo amava te.
Una volta, qualche tempo fa, mi hai detto che l'uomo è fortunato quando può decidere come morire. E io sono felice che almeno in questo Fortuna sia stata tua amica.
Potrei dire altre mille cose, ma sono tutte nella mia anima e scriverle su carta, renderle mortali, sarebbe un grave peccato.
Sappi che ti amo, ti amo come si ama il regalo che aspettavi da tempo e ora stai stringendo fra le mani.
Spero tu sia felice e stia bene, forse hai scelto di reincarnarti o forse ci stai aspettando nell'Ade, mentre parli con i grandi eroi che hai sempre venerato e loro ti ascoltano come si ascolta un pari, perché è quello che sei: un eroe pari a quello dei miti. Noi continueremo a combattere, con i pugni stretti, gli occhi chiusi in una fessura e l'adrenalina che ci squassa il petto e urleremo il tuo nome per farci forza, per imporci di essere come te quando correremo verso il nemico con le armi tese; e quando cadremo con il viso a terra, nella melma, con il corpo rotto, gli arti a pezzi, il sangue ovunque e l'arma a un passo da noi ma che sembra irraggiungibile ripenseremo alla tua risata e ci alzeremo in piedi.
Sarai la nostra forza, il nostro esempio, le madri narreranno le tue gesta per fare addormentare i figli, i padri ti invocheranno come un dio e ogni bambino vorrà essere Jason Grace.
Vivrai nelle leggende e, se lo vorrai, nel mio cuore.
Ti faccio una promessa, solo una e basta, perché sai che odio le promesse ma con te sono inevitabili.
Ci penserò io alle cose che amavi e hai lasciato quaggiù.
Ave Jason Grace, figlio di Zeus e pretore di Nuova Roma, che la morte sia per te solo un territorio di nuovi successi.
Ti voglio bene,
Reyna.
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Atque in perpetuum, frater, ave||Jason Grace
Fanfiction{Contiene spoiler de "Il Labirinto di fuoco" e "La tomba del tiranno"} Jason Grace è morto. Ha sacrificato la sua vita per salvare quella dei suoi amici e permettere ad Apollo di concludere la sua impresa. Reyna Avìla Ramìzer-Arelano, distrutta dal...