Non era un sogno.
Nessun incubo da cui mi sarei potuta svegliare per poi tirare un respiro di sollievo e ridere di me stessa, del mio essere fifona e troppo lenta.
Non l'avrei mai raccontato a Mark ricevendo lamentele sul fatto di averlo sacrificato di nuovo soltanto per salvarmi il posteriore.
Non avrei passato l'intero pomeriggio a cercare di non pensarci per riuscire a scordarmelo del tutto, scrollandomi di dosso l'ansia insistente.
Non sarei stata in grado di aggiustare la situazione, e non era ancora finita.
"Tutto bene, cara?"
La donna minuta tornò a sfiorarmi una guancia dolcemente.
"Sarebbe stata molto meglio se non avesse trascinato la morte fin qui."
Ripeté l'uomo nel chiaro tentativo di farmi sentire ancora più di merda, ma, dopotutto, non avevo aperto io: doveva prendersela soltanto con se stesso.
"Patrick..."
Lo ammonì Margaret, prendendomi le mani tra le sue.
"I-o... i-o...non lo so," balbettai.
Ognuno reagisce in modo diverso al dolore.
Chi come Liz, buttandosi a capofitto nelle lacrime fino a prosciugarsi completamente.
Chi optando per la vendetta, sperando così di trovare un po' di pace.
Chi facendola finita, perché reggere quel peso è insopportabile.
E poi... c'ero io.
Non ero mai stata brava a vivere, accettare o convivere con la sofferenza.
Era sempre troppo per me, mi rendeva debole, ma nello stesso tempo impediva di mostrarlo agli altri. Spesso passavo per insensibile, quando in realtà dentro mi stavo disintegrando.
" È morto..."
Dissi, quasi assente, mentre un peso invisibile sembrava premere sul mio petto, impedendomi di respirare.
Mi piegai in avanti, una mano andò a posarsi sul ginocchio e l'altra ad alleviare il dolore che provavo all'altezza del seno.
Non ebbi il tempo di piangere dentro, perché un colpo forte mi fece trasalire sotto la mano di Margaret, che si era spostata sulla mia schiena per darmi conforto.
Il contatto assordante tra due metalli freddi fu seguito da alcune grida più lontane, ma tanto agghiaccianti da far sussultare la donna accanto a me.
Mi avvicinai alla finestra in punta di piedi, probabilmente guidata da un istinto suicida che in quel momento non riuscivo a comprendere.
Liz si portò le mani alla bocca e si appiattì contro il muro grigio, dietro una delle statue deformate. L'uomo che non aveva fatto fatica a mostrare tutto l'odio che provava nei miei confronti spostò lo sguardo su un dipinto gigante che ricopriva lo spazio sopra in camino. Incollò gli occhi al fucile da caccia, ben posizionato su due piccoli ganci color oro, che fino a quell'istante pensavo facesse parte del disegno.
Sfiorai con dita tremolanti le veneziane in alluminio fino a creare una minuscola fessura. Il mio respiro caldo e muto andò a posarsi sulla pelle ghiacciata della mano.
Il petto prese a mitragliare con violenza quando dietro le grate esterne di ferro rividi la mazza, quella sporca di sangue ormai secco e ricoperta dell'altro fresco.
"Ora toccherà a noi."
Questa volta l'uomo parlò con un filo di voce e non mi sembrò nemmeno l'individuo burbero che mi aveva rivolto la parola poche volte e soltanto per sottolineare come io avessi portato la distruzione in casa sua.
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