Atto I - Clair de Lune

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[ATTENZIONE: uno dei due personaggi in questo racconto indosserà vesti piuttosto... insolite. Se non siete amanti del genere, vi chiedo cortesemente di fermarvi qui e di non continuare la lettura. Grazie.]


Su Darkover c'è un detto: soltanto gli uomini ridono,
soltanto gli uomini danzano, soltanto gli uomini piangono.
(M.Z.Bradley – L'esilio di Sharra)



"Oh, why can't we rise again?
When all the days go by a firelight
we'll never fade out in the night.
And we are estranged, we're drawn to the flame,
we are like fire to the rain."



Londra, Ministero della Magia, 31 gennaio 1913



Un'oscura notte d'inverno, screziata da cento milioni di stelle.

La donna compare all'improvviso, fasciata da una lunga veste di raso che sembra rubata ai cangianti cieli del Nord e le aderisce al corpo come una seconda pelle. I capelli, folti e biondissimi, sono a stento trattenuti da un fermaglio tempestato di gemme preziose, e ricadono in morbide ciocche sul collo longilineo, adornato da un vezzoso nastro di seta blu; boccoli lucenti, ribelli, danno risalto a spalle candide e finemente tornite, dritte e imperlate da un sottile velo translucido. Bagnata dal riverbero ambrato dei candelieri, che si posa quasi con stupita riverenza sopra la sua figura elegante e slanciata, la sconosciuta, pallida e sensuale, si muove lenta fra gli astanti, senza guardarsi attorno, e avanza nella penombra con calma studiata, simile a una nuvola rapita dal vento, circonfusa da un alone luminoso ed etereo, sovrannaturale, magico.

Un mormorio sorpreso percorre la grande sala – chi è? La conoscete? Sarà straniera, indubbiamente –, tutti smettono di ballare, e i violini d'un tratto non suonano più. È da tempo immemore che al ballo in maschera del Ministero, organizzato ogni anno in occasione del sabba di Imbolc[1], non capita di ricevere un'ospite tanto raffinata e affascinante. Gli inviati della Gazzetta del Profeta, finora intenti a gustarsi l'abbondante rinfresco, si sfregano soddisfatti le mani, ansiosi di scoprire se e in che modo la bella sconosciuta ravviverà la mise en place di un banchetto solitamente avaro di condimenti piccanti.

Un'enorme scalinata di marmo, ricoperta da opulenti tappeti rossi e fiancheggiata da corrimano intarsiati d'oro, domina il salone delle feste, anch'esso riccamente addobbato. La donna solleva il mento, algida e fiera, e inizia a scendere piano – incede, affronta gli ampi gradini sfoggiando un altero disprezzo, perfettamente a suo agio e conscia di aver attirato su di sé l'attenzione di tutti i presenti, compiaciuta – forse – di essere l'incantevole oggetto di sospiri raccolti, di languidi sussurri, di pensieri sfacciati e inopportuni.

Come i tuoi.

Non hai bisogno di avvicinarti, o di levarle la maschera che a malapena le copre il volto, per sapere con assoluta certezza a chi appartiene il ciondolo che ingentilisce il taglio geometrico della scollatura, per svelare, senza timore di essere smentito, cosa si cela dietro quegli occhi liquidi e ambigui, sfuggenti, bistrati di kajal nero e ombreggiati da ciglia scure e ricurve.

Ti congedi dal Primo Ministro con un breve cenno del capo – qualunque sia l'importantissima questione di cui vuole discutere, adesso, dovrà necessariamente attendere – e ti affretti a raggiungere Gellert Grindelwald – fuorilegge, sobillatore, rivoluzionario[2] – al centro esatto della pista da ballo.

Sei qui per danzare, Grindelwald, o per farci saltare in aria tutti quanti?

Non comprendo il tuo sarcasmo, Professore. Sbaglio, o è divertirsi, innanzitutto, lo scopo di partecipare a un evento simile?

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