08

505 41 0
                                    

Alle cinque e quarantacinque di sabato mattina, Lydia Graham era già sveglia a prepararsi del caffè. La donna si strinse nell'accappatoio di spugna, l'odore caldo della bevanda la riscaldò e rilassò la sua testa martellante. Prese a spalmare del burro d'arachidi sulle fette di pane appena tostate.
Nel preciso istante in cui il caffè fu pronto, il fax emise un sonoro bip.
Masticando, Lydia si diresse dall'altra parte della cucina, lasciando sul parquet chiaro le impronte bagnate dei suoi piedi. Leccò la punta di un dito, per togliere del burro di arachidi, e attese che il foglio uscisse per intero prima di sfilarlo via dall'apparecchio.
Sulla carta bianca, a poco a poco, compariva lo schizzo di un volto. Il volto di una ragazza dai lineamenti delicati, grandi e tondi occhi che osservavano lo spettatore con profonda apatia, carnose labbra e lunghi capelli lisci. Era un identikit, era servito per ritrovare la ragazza scomparsa circa otto anni prima a Salem.
Lydia si ricordava a malapena di quel caso di scomparsa; in quel periodo Olivia aveva quindici anni e lei stava per concludere il suo primo anno di lavoro all'obitorio di Salem.
Tolse il foglio e lo guardò meglio.
Ricordava quella ragazza: abitava accanto alla casa dei suoi genitori e a volte, quando non c'era nessuno a casa, le faceva da babysitter.
Chissà se Olivia se la ricordava ancora, pensò, mentre raggiungeva la macchinetta del caffè.
Dopo tutto questo tempo non si hanno ancora notizie di dove sia andata a finire. Lasciò la casa dei genitori quando aveva quasi vent'anni, non lasciò nessun biglietto per i genitori, non andò da nessun amico, non andò nemmeno alle lezioni dell'università. Scomparve nel nulla e basta, come se non fosse mai esistita e fosse solo frutto della loro immaginazione.
Prese un sorso di caffè bollente, scottandosi la lingua.
Lydia Graham era convinta di averla vista in giro per Forks, per questo l'altra sera aveva convinto Liane Rosewood a spedirle ciò che riusciva a trovare sulla ragazza. Aveva la netta sensazione che, ovunque si girasse, vedesse il volto di Amber Holmes: la timida ragazza che abitava accanto ai suoi e, che per pagarsi gli studi, faceva la babysitter.
La patologa forense bevve gli ultimi sorsi del caffè, piegò il foglio e lo infilò nella sua borsa.

La campanella del locale tintinnò sopra la sua testa.
Liam Forrest, borsa a tracolla appesa a una spalla e berretto di lana calcato sui capelli scuri, varcò la soglia del Mint Hill Cafè; il bar vicino alla Forks High.
L'odore di caffè appena pronto e dei dolci appena sfornati lo avvolse come una coperta calda.
Il ragazzo si diresse, come al solito, al bancone, sedendosi di fronte a una alzatina su cui era posata l'ultima fetta di una caprese al limone. Lanciò un rapido sguardo al suo viso stropicciato, riflesso nel vetro della cupola protettiva.
- Liam - lo salutò il proprietario del locale; un uomo alto e dinoccolato sulla trentina, dalla testa rasata e dal tono cavernoso.
- Joe, come va? - ricambiò il nottambulo, togliendosi il cappello e riponendolo in borsa.
- Il solito - rispose alzando le spalle.
Pulì con uno straccio leggermente umido il bancone e poi si rivolse di nuovo al ragazzo: - Caffè doppio? -
Liam sorrise e annuì.
Joe si voltò, dandogli le spalle, e azionò la macchina per il caffè.
Il nottambulo si rivolse all'ambiente circostante, quasi vuoto. Guardò verso la libreria che occupava un intera parete. Pensò di prendere un libro e stravaccarsi su uno dei divanetti a leggere, ma poi la sua attenzione cadde su una testa bionda.
La ragazza era seduta a un tavolo, accanto alla parete di vetro che dava sulla strada, aveva la testa china sul cellulare e un tazza grigia posata davanti. Quando alzò lo sguardo per prendere la tazza, i suoi occhi incrociarono quelli di Liam.
Il ragazzo venne distratto da Joe che posava la sua ordinazione sul bancone.
Liam lasciò cadere i soldi sul piano lucido, ringraziò l'uomo che era intento a servire un altro cliente, e si alzò dallo sgabello con la tazza stretta tra le mani.
- Ciao - disse avvicinandosi al tavolo.
Olivia Graham alzò lo sguardo su di lui.
La ragazza si tolse le cuffie e, velocemente, mise via il cellulare.
Liam trovò un po' strano quel comportamento, ma non ci riflettè molto.
- Ciao - lo salutò, indicandogli timidamente il posto vuoto di fronte a lei.
Liam non ci pensò due volte: scostò la sedia dal tavolo e si lasciò cadere sopra.
La borsa di pelle marrone venne posata con delicatezza sulla sedia accanto a lui.
La figlia del patologo forense lo osservava da sopra il bordo della tazza, lui notò che aveva delle minuscole macchioline aranciate sui dorsi delle mani.
- Volevo scusarmi per l'altra volta: sono stato davvero una parola che inizia con la "s" - iniziò, accennando alla prima volta che si erano visti; quando Sabrina li aveva rapidamente presentati. Quando quella ragazza timida e misteriosa, dalle gote rosate e dai folti capelli biondo cenere, così somigliate alla ragazza scomparsa, era apparsa a Forks.
Liam si portò la tazza color panna alle labbra, il sapore amaro del caffè bollente lo distrasse per qualche secondo da quei pensieri.
- Ci sono molte parole che iniziano con la "s", per descriverti - commentò in maniera derisoria lei.
Olivia posò con cautela la tazza sul sottobicchiere in sughero e, quando alzò nuovamente lo sguardo sul ragazzo, sorrise.
- Sciocco? - rise Liam, buttando giù il caffè.
La ragazza parve pensarci su un secondo, per poi uscirsene con: - Non è la parola che avrei usato - lo derise di nuovo.
Liam Forrest alzò entrambe le sopracciglia, sorpreso dalle parole della nuova arrivata. Olivia, accortasi dell'espressione del suo interlocutore, si apprestò ad aggiungere: - Scherzo! Tranquillo, non hai nulla di cui scusarti: piacere a prima vista non è il mio obiettivo -.
-... Ma era quello di Aline - si ritrovò a pensare ad alta voce il ragazzo.
Liam Forrest non sapeva perché si fosse fatto sfuggire un pensiero simile, ma nemmeno sapeva perché avesse formulato quel pensiero.
Il nottambulo si ritrovò ad abbassare lo sguardo sul tavolo in legno scuro e a portarsi la tazza alle labbra, mentre si chiedeva inconstantemente perché avesse pensato ciò.
- Davvero curioso come quella ragazza salti fuori a ogni discorso - commentò lei.
Liam la osservò da sopra il bordo della tazza, mentre prendeva un grosso sorso di caffè ormai freddo.
Olivia aveva lo sguardo perso nel vuoto, posato al di sopra della spalla di Liam,  diretto verso la cittadina avvolta nella penombra.
- Era così anche quando era qui, con la sola differenza che era presente anche fisicamente - sospirò lui.
Olivia riportò lo sguardo sul nottambulo: la sua espressione era ritornata seria, come quando guardava sul cellulare.
Liam notò che aveva la fronte aggrottata, non poté fare a meno di chiedersi a cosa stesse pensando. Dove fosse in quel preciso momento.
- Come ti trovi qui a Forks? - chiese, cambiando discorso.
La ragazza parve rilassarsi. Battè le palpebre, come svegliata da un sogno, e inclinò la tazza da caffè. Quando scoprì che il caffè era finito, allontanò la tazza da lei. Si strinse nelle spalle e, prima di rispondere, accennò un sorriso.
- Il mio trasferimento poteva iniziare nei modi migliori, ma sto cercando di ambientarmi -.

IL CASO OLSENDove le storie prendono vita. Scoprilo ora