Capitolo 1

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I rumori in sottofondo erano come lame taglienti nelle orecchie. In qualsiasi direzione  c’erano stormi di persone urlanti in estasi per l’imminente partita. 'l’evento della stagione' , l’avevano definito così i giornali. Ada Chiara Malfoy di certo non concordava con quella descrizione.

“È un ammasso di gente urlante in estasi per una palla voltante, ecco cos’è”.
Il tono era particolarmente scocciato. Per ogni lato positivo le venivano in mentre altre cinque cose da criticare.
“Ti stai lamentando troppo, non è una punizione”.
Dall’inizio della giornata questa era stata la frase più usata dalla madre. 'Non è una punizione', eppure perché sembrava tanto lo fosse? Ne lei ne la madre erano particolarmente entusiaste di svegliarsi all’alba per una partita di Quidditch ma a differenza sua, Narcissa, non si era mai lamentata di esser lì. Aveva perso il conto del numero di persone che guardandole avevano fatto commenti sulla loro somiglianza: stessi capelli neri con ciocche biondo platino, stessi occhi verdi e lo stesso fare protettivo nei confronti delle persone che amano.
Per quanto le somiglianze fossero tante però, Ada Chiara non riusciva a sentirsi più diversa. Tante volte si era ritrovata a desiderare la calma della madre invece della sua impetuosa emotività. Per quanto ci provasse non riusciva mai a nascondere quello che provava.

“Dobbiamo salire ancora molto?”
Se c’era una cosa che apprezzava meno delle partite di quidditch era l’altezza.
“È un’altra lamentela?”
Questa volta il tono della madre non ammetteva repliche. Era il tipico tono da 'un’altra parola e dovrai subirti un discorso interminabile su come ci si comporta in pubblico' e dato l’andamento della giornata era l’ultima cosa di cui aveva bisogno. Avevano già avuto un primo sermone mattutino sulla fortuna di essere seduti vicino al primo ministro, quello sull’educazione poteva attendere.
Quando finalmente finirono di salire scale interminabili si ritrovarono davanti ad un’estensione di sedili che si distinguevano dagli altri per il color oro intenso. Gli spalti erano per lo più vuoti, fatta eccezione per un paio di maghi dall’aria cupa che parlavano fitto tra loro e un’Elfa domestica che sedeva lateralmente per non dover guardare di sotto. Evidentemente non era l’unica a non tollerare le altezze. Per qualche secondo i loro sguardi s’incrociarono e si ritrovò a sorridere leggermente davanti a quegli enormi e impauriti occhioni celesti. Ricordava vagamente Dobby ma sapeva non potesse essere lui. Nonostante quello che dicesse suo fratello, gli elfi domestici non si assomigliavano affatto tra loro.
“Posso sapere almeno chi tifiamo?”
“Pensavo fosse evidente dalla sciarpa. Irlanda.”
Prima di ora non si era nemmeno accorta che suo fratello indossasse una sciarpa, e men che meno che fosse legata ad una squadra.
“E io che pensavo stessi indossando una sciarpa dei serpeverde per aumentare il tuo ego”.
Per qualche secondo Draco aprí la bocca per replicare ma, ancor prima che riuscisse a formulare una degna risposta, si zittí sentendo una voce conosciuta.

“Ah, Lucius!”
Dalla direzione opposta si stava avvicinando un omino basso vestito di tutto punto.
“Cornelius, grazie dell’invito”.
Cornelius Fudge era il ministro della magia, la massima autorità del mondo magico, ma c’era davvero qualcnuno che non lo considerasse un totale idiota?
Per quanto si sforzasse di nasconderlo sapeva per certo che nemmeno suo padre lo apprezzasse come persona ma era una persona potente, per qualche strano motivo, ed era una caratteristica altamente apprezzata nella famiglia.
“Hai già conosciuto mia moglie, Narcissa. Questi sono i nostri due figli, Draco ed Ada Chiara”.
I gemelli si scambiarono un’occhiata eloquente. Prima di allora non avevano mai incontrato di persona Fudge ma Draco aveva passato ore a sentire gli sproloqui della sorella sull’incompetenza del loro primo ministro.
Lo sguardo che le aveva lanciato era più che eloquente, era un chiaro “contieniti”. Non avevano bisogno di parole, pochi sguardi tra loro bastavano a capirsi. E se lei era più impulsiva e non sapeva quando tacere, c’era sempre lui a ricordarglielo.

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