Prologo

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Il silenzio.

Un corpo inerte a terra, la mano sinistra ustionata su cui cadevano gocce, figlie di una stalagmite.

Un calore improvviso cominciò a sciogliere il ghiaccio che si credeva eterno.

Il cigolio di una porta di legno sospinta dal vento, ruppe il torpore. La mano dell'uomo cominciò a muoversi, le dita si piegavano accarezzando le assi di legno del pavimento.

Avvolto in un maglione imbottito, l'uomo aprì gli occhi. La mente confusa da ricordi spezzati.

Chi era? Dove si trovava? L'oscurità era l'unica risposta.

Ricercò la forza interiore per rimettersi in piedi. Ci vollero alcuni minuti per riconquistare la posizione eretta, eredità di milioni di anni d'evoluzione.

La testa ovattata e un ronzio risuonava nelle orecchie.

Si guardò attorno, alla ricerca di un appiglio per la memoria. Si trovava in un casolare dall'arredamento spoglio, una stufa in ghisa era l'unico elemento rilevante.

Un tavolo di legno con alcune sedie gettate a terra, i capelli bianchi per la cenere che fluttuava nell'aria.

La sua attenzione ricadde su un libro dalla copertina e le pagine bruciate. Non erano necessarie conoscenze bibliografiche per capire che si trattava di una vecchia bibbia in latino.

Non ricordava ancora la propria identità ma sentiva comunque di non essere mai stata una persona religiosa.

Lasciò il libro sul tavolo e si avvicinò a una cassa posizionata accanto alla porta cigolante, all'interno un cumulo di carbone, nutrimento per la stufa.

Appeso, un cappotto che una volta indossato lo avvolse in una sensazione di torpore.

Passando le mani tra le tasche, sentì qualcosa all'interno della fodera. Estrasse una Mauser C96, vecchia pistola di origini tedesche.

Si stupì di aver riconosciuto così bene l'arma, gli provocò un ricordo lontano. Immagini di rivolta, di una guerra per la libertà a cui partecipò.

Accese una vecchia lanterna a gasolio e trovò il coraggio di abbandonare il rifugio.

L'oscurità lo accolse, potente come il vento gelido siberiano.

Ora rammentava, Oleg Volkov, ingegnere dell'insediamento minerario di Noril'sk. Era il suo nome, era il suo lavoro da quasi cinque anni.

Aveva abbandonato Pietrogrado con l'illusione di un futuro migliore. Ottenendo solo ossa gelate.

Il campo era una piccola cittadina i cui unici abitanti erano solamente minatori e loro famigliari.

Più di duecento persone, una comunità di lavoratori di regime, indefessi.

Il vento spingeva uno strano fetore nell'aria. Oleg non era un medico ma riconobbe immediatamente l'odore di carne umana bruciata. Altro ricordo della rivoluzione d'ottobre.

Avanzava con il braccio proteso in avanti, la lanterna diffondeva un tenue bagliore, perfettamente inutile per illuminare la strada.

L'ingegnere avanzava grazie alla memoria, in fondo, il villaggio erano quattro casolari identici.

Uguali nell'aspetto ma dalle funzioni ben distinte.

Gli scarponi sprofondavano nella neve, rendendo difficoltoso ogni passo.

Dove erano tutti? Possibile che di tutti i minatori, nessuno gli si fosse ancora palesato?

Forse, nel dormitorio, qualcuno stava ancora dormendo. Che ore erano? La cognizione del tempo era sfuggita.

ALLA FINE DEL MONDODove le storie prendono vita. Scoprilo ora