Quando Cupido realizzò di non sapere cosa fosse l'amore

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Il giorno in cui Cupido si rese conto di non avere la più pallida idea di che cosa fosse l'amore, stava passeggiando, come tante altre volte, in incognito sulla Terra, come sempre in compagnia del suo aiutante. Un semidio dalle fattezze di un ragazzino bisbetico e l'aria impertinente, con il volto scavato, il broncio perenne e i capelli rossi che gli arrivava sì e no all'altezza della spalla destra – per chi non lo sapesse, sì, anche Cupido ha una spalla più alta dell'altra –. Forse per celare questa sua caratteristica, sulla testa portava sempre un cappellaccio logoro, regalatogli chissà da chi decenni prima e di cui non sembrava per nulla intenzionato a liberarsi.

Dopo una vita trascorsa a lavorare gomito a gomito, non si può certo dire che il rapporto che legava i due fosse di natura strettamente professionale. Spesso, in mancanza di una compagnia migliore, si trovavano a condividere un drink o un bicchiere di vino in silenzio il venerdì sera, più per noia che per necessità. Ma il loro non poteva neanche essere definito un rapporto amichevole, dal momento che l'uno dell'altro non conoscevano quasi nulla di personale, se non l'identità divina a scopi puramente lavorativi.
Quel che era evidente agli occhi di tutti – gli dei del pantheon, si intende – era il fatto che quei due agissero come una vecchia coppia di sposi: conoscevano il reciproco modo di pensare, i punti di forza e le debolezze e il più delle volte i loro continui battibecchi sembravano un modo come un altro per passare il tempo.

Di recente era stato loro ordinato di adottare nomi terrestri al fine di confondersi tra gli umani e caso vuole che a Cupido, proprio in quei giorni, fosse saltato tra le mani un libro di poesie, vagamente tristi e cupe, di un certo Chūya Nakahara, morto in Giappone non molti anni prima.
Se quello non era un nome adatto per il suo amico petulante!
Ovviamente al diretto interessato non era piaciuto, ma da quel giorno Cupido non aveva più smesso di utilizzarlo, allungando in particolar modo la u quando lo pronunciava, Chuuuya. Si divertiva a vederlo rabbrividire appena quando lo sentiva, tanto che a volte dubitava che si trattasse solamente di un impulso dettato dall'irritazione che gli provocava l'udire il nome che gli era stato ormai appioppato.
Per quanto riguardasse il proprio, sempre scartabellando in biblioteca in un giorno particolarmente uggioso, si era imbattuto in un secondo libro interessante, il cui autore altri non era se non Osamu Dazai, altro scrittore conoscente del suddetto Nakahara. Aveva deciso di adottare solamente il cognome, Dazai, trovando che risultasse più carismatico se associato al volto di un dio. E che suonasse molto divertente sputato fuori dalla bocca di Chūya quando lo riprendeva, il che era all'ordine del giorno.

Ad ogni modo, in quel giorno come tanti, i due colleghi si stavano trascinando per una via poco trafficata, senza essersi scambiati una parola da mezz'ora a quella parte, quando Dazai disse: - Ehi Chūya, guarda, ne ho colpito un altro -, con voce atona, senza sforzarsi più di tanto di fingere un entusiasmo che non provava ormai da qualche secolo nel trafiggere esseri umani con il suo piccolo arco dispensatore di conquiste amorose. Per di più, quello era il giorno di San Valentino, il giorno più faticoso dell'anno, in cui lo sforzo si triplicava.

- Mh mh - rispose il suo aiutante, che camminava al suo fianco con lo sguardo basso, perso nei propri pensieri e silenzioso come non era mai stato fino a un paio di secoli prima. Aveva sempre avuto la brutta abitudine di lamentarsi, quel piccoletto, sgridandolo per qualsiasi cosa neanche fosse stato mandato dall'inferno apposta per tormentarlo. E Dazai doveva ammettere che la sua voce, per quanto fastidiosa, gli mancava terribilmente, dandogli l'impressione di aver perso l'unico passatempo che nel corso delle loro lunghissime vite erano stati in grado di inventarsi.

- Uff - sbuffò, scoccando una nuova freccia senza curarsi di chi o cosa avrebbe colpito.

E dopo aver visto milioni, no, miliardi di persone colpite dalla magia dell'amore che risiedeva nelle frecce con cui lui stesso le trafiggeva e cadere nei più dolci tormenti, dopo millenni in cui l'unica cosa di cui si fosse occupato era proprio l'amore, in quell'istante, come colpito da un fulmine dell'Olimpo, si rese improvvisamente conto di una verità che mai, prima di quel momento, l'aveva sfiorato: lui, Osamu Dazai, Cupido in incognito, non aveva idea di cosa fosse l'amore.

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