Estratto dal Prologo.

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Layla


Mi son sempre sentita diversa, un po' spostata dal mondo, ma a quattro anni non ne coglievo il senso.  Anzi, io la vedevo più come una specie di punizione divina che tolta qualche bugia per cui chiedevo scusa, -assicurandomi un posto nella "lista dei buoni" di Babbo Natale-, non credevo di meritare. Era un mercoledì. Ora, non ricordo esattamente, ma l'asilo era già iniziato da qualche giorno. Io e Cloe, insieme ad altri bambini, eravamo stati smistati in sezioni. Più o meno con lo stesso riguardo con cui il postino imbucava le lettere di prima mattina, quindi con gli occhi chiusi e senza assicurarsi che la cassetta fosse quella giusta. Non era raro ricevessimo la posta dei vicini. 

Salutai mamma sulla porta, sfuggendo al fiume di raccomandazioni che uscivano dalla sua bocca, e mi piazzai su una delle sedie, facendole un largo sorriso.

Il suo sguardo mi accompagnò ancora per qualche istante, mentre mi alzavo per chiedere un foglio alla maestra e poi scomparve, assieme a quello strano solletico che mi veniva dietro il collo. Titubante, lanciai uno sguardo alla mia amica che annuì, incoraggiandomi a prendere posto tra gli altri bambini. Erano tutti già intenti a disegnare.  Chi, case con tetti aguzzi e finestre sproporzionate, chi, margherite e razzi spaziali futuristici. 

Mi morsi il labbro, fissando a lungo il foglio bianco sotto il mio naso e dopo aver afferrato un pastello e tirato fuori la lingua, in una sorta di rituale meditativo, iniziai. Lasciai che il colore fluisse sulla carta, abbozzando il profilo della collina su cui io e Cloe ci sdraiavamo per guardare le piccole luci. Quelle che lei chiamava stelle.

Ogni sera, sotto il grande tappeto blu, mi raccontava un po' di loro. Io l'ascoltavo trattenendo a stento la curiosità, tra risate a crepapelle per qualche parola strana che le avevo sentito pronunciare e domande a non finire. Ne ricordo una tiepida di fine luglio, in cui mi spiegò che c'è n'erano molte più di quante ne potessimo vedere all'interno della galassia di latte che ospitava il nostro universo e a quel punto, le mie pupille dovevano essersi così dilatate da aver risucchiato completamente il verde dell'iride. 

«Galassia di latte, dici?!» Lei annuì, indicando un punto preciso sopra le nostre teste. Seguii il suo dito e sollevai le sopracciglia incredula. 

«Uooooh» esclamai, sforzandomi di immaginare più di quel che riuscissi a vedere.

«E allora quante?» Domandai ancora. Cloe sorrise, mi conosceva bene e sapeva che tutte quelle informazioni non mi sarebbero bastate, ma soprattutto che se non mi avesse risposto all'istante, le avrei girato il pollice all'ingiù.

«Milioni di miliardi» precisò dopo qualche attimo di silenzio che a me parve durare un'eternità.

«Wow...»feci in un sussurro.

Non sapevo dove le trovasse, ma Cloe sembrava conoscere tutte le risposte, probabilmente perché a differenza mia, sapeva leggere. Alzai lo sguardo sul tappeto blu, facendole eco, e rimasi per un tempo indefinito a girarmi quelle parole in bocca, finché non divennero che un mugugno di lettere senza significato. Milionidimiliardi.

Certo, a pensarci, dovevano essere proprio tante. Mi domandai come avesse fatto Cloe a contarle tutte. Superavano certamente le ventitré, cifra che allora segnava il mio limite di conto. Avevo da poco imparato a superare due volte dieci e ne andavo piuttosto fiera. Mi esercitavo con nonna la mattina, mentre mi tagliava a striscette la focaccia per poi dividerla in tanti quadratini piccolissimi, che a me piaceva affogare nell'orzo-caffè.

«Sono davvero brillosissimeee...eh Cloe?!»

Piegai la testa di lato in attesa di conferma, ma la mia amica non rispose, incantata a fissare quel punto. Mi zittii imitandola, anche se non capivo cosa ci trovasse. Io quella Via del Latte non la vedevo proprio. Raccolsi le ginocchia al petto e vi poggiai sopra il mento, sospirando.

Volevo essere un girasole -CopyrightDove le storie prendono vita. Scoprilo ora