ℂ𝕒𝕡𝕚𝕥𝕠𝕝𝕠 𝕤𝕖𝕥𝕥𝕖

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HINATA

<<TOBIO>>

<<Vieni qui, rilassati…>>

Un flash bianco…

KAGEYAMA

La pioggia addolorata e insistente inzuppò il mio completo nero elegante, insieme alle mie lacrime silenziose e dolorose, che riscaldavano le mie goti con i loro sfoghi persistenti.

Hinata era morto.

Le mie braccia, che dovevano proteggerlo da tutto e da tutti, non sono bastate a tenerlo in vita.
Il mio amore, non era bastato a tenerlo in vita.

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Perse le forze, all’improvviso, nel pieno della notte, un urlo straziato e spezzato da parte del mio Shoyo riempì l’ospedale prima silenzioso.
Non era mai successo, i medici non se lo spiegarono.
Cercavo di tenerlo sveglio scuotendo le sue spalle, controllando i polsi e il collo e rassicurandolo, ripetendogli di non doversi addormentare. Le scene erano talmente veloci che non mi resi conto che allo stesso tempo ebbi un attacco di panico.

Ricordo solo le mie urla disperate, mentre con gli avambracci tenevo il suo corpicino tremante e sempre più debole. Lo sentivo sempre più pesante, le forze lo stavano abbandonando, fino al punto in cui non riuscì nemmeno a tenere il capo alzato. Lo sentiva pesante, come un macigno.

Prima di lasciarmi qui, sulla Terra, da solo, mi rivolse un ultimo sguardo amorevole.

Gli occhi erano pieni di lacrime amare, ma le labbra erano inarcate in un sorriso. Sospirò, lui sospirò, un sorriso che accese nel suo cuore un’ultima fiamma di soddisfazione. Lui era felice, finalmente non poteva soffrire più. Quelle lacrime, erano luminose, contenevano tutti i ringraziamenti che mi avrebbe voluto dare in vita. Contenevano gioia, in quei piccoli attimi indelebili riuscì a trasmettermi tutto ciò che provava e aveva provato, facendomi sentire ancor più abbandonato al buio della mia solitudine.

Non ebbe più il controllo sui suoi arti e sul suo capo, e poco prima che i medici arrivarono di corsa nella stanza, allarmati, morì con un piccolo sorrisino quasi commosso, mentre le mie lacrime ricadevano sul suo viso ormai rilassato.

Inarcai anch’io le labbra, in un riso distrutto: “avrei voluto dirti un ultimo ti amo”

-

In quel lungo momento, ero l’unico a poter distinguere le mie lacrime dalla pioggia.
I miei capelli gocciolavano, ed era come se il sole fosse triste per aver perso il suo raggio più bello, più luminoso, e più vivo.
La mia bocca non emetteva alcun suono, tra le labbra gonfie e umide.

Non sentivo il diritto di parlare senza prima aver ascoltato di nuovo la sua voce, quella voce che mi mancava già.

L’avrei riascoltata. Ne ero certo.

Nel frattempo, non udivo le urla disperate di Natsu e della signora Hinata, non sentivo i pianti di tutte le persone a noi care, concentrando le mie iridi ancor più spente su un punto indefinito della lapide. Rivivevo tutti i nostri momenti assieme, mentre le gocce salate che cadevano dal cielo mi accarezzavano le guance, proprio come facevano le sue dolci mani.

Come se fosse stato un flash bianco, la mia mente ricordò una scena ben precisa…

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<<NON SONO COSÌ PESSIMO, ANDIAMO, ALMENO PROVA UN ALTRO BOCCONE!>> si lamentò il mandarino con la sua voce stridula, battendo i pugni sul tavolo in segno di offesa.
Io ero seduto esattamente di fronte lui, con un piatto di pancake a dir poco terribili davanti, cucinati da lui.

<<Sono terribili, idiota.>> lo punzecchiai, anche se il mio palato non mi dava assolutamente torto. Erano amari e leggermente bruciati, sembrava di mangiare del carbone.

<<UFFA!>> ribatté il minore, andando a piccoli passi dietro di me e iniziando a darmi pugnetti sulla schiena, mentre io ridacchiai per la sua infantilità.

<<Smettila, idiota, non è colpa mia se non sai cucinare.>> ribattei.

<<Allora quando vivremo insieme cucinerai tu!!>> con un minuto salto, si sedette delicatamente su una mia gamba, e io non potei far a meno di arrossire e avvolgerlo con le mie braccia. I nostri nasi si toccavano, e io sentivo molto meglio il suo buon odore di arancia, che portava entrambi in un mondo tutto rosa e giallo, di rose e fiori.

<<Pensi già a quando vivremo insieme?>> chiesi, avendo ormai intuito la risposta.

<<Ovvio!! Quando avrò compiuto diciott’anni ti trascinerò in un appartamento che condivideremo!! Io volevo cucinare però!!!>> affermò il più piccolo, mettendo un finto broncio adorabile a parer mio.

<<Bene, vuol dire che mangerò i tuoi pancake fatti male.>>

<<No! Imparerò a farli!! Così quando sarò grande magari cucinerò anche il pranzo e la cena per te!! Sarebbe un sogno! Però promettimi che mangerai tutto!! Altrimenti mi offendo! Per non parlare dei soldi sprecati e altro…aspetta, guadagneremo abbastanza con la pallavolo?! Io credo di si!>>

<<Shoyo->>

<<Se non ci basteranno i soldi chiederemo a Sugawara-san di ospitarci! È stato lui a proporlo!!>>

<<Shoyo!>>

<<No aspetta!! Ma per trovarmi un lavoro devo finire gli studi!! E adesso come farò?! Faccio schifo in tutte le materie!! Ci sono, diventerò un cuoco!! Che ne->>

Lo interruppi con un bacio, anche avrei potuto ascoltare i suoi discorsi senza senso per ore, guardandolo con uno sguardo che riuscivo a fare solo se rivolto a lui. Ogni volta che ci pensavo, mi sembrava incredibile che quel bambino troppo cresciuto mi avesse rubato il cuore così, come se nulla fosse, e si sarebbe preso cura di questo come se fosse un cristallo.

<<Fermo…per ora impara a fare i pancake…poi mangerò anche il resto, te lo prometto.>> ripresi il discorso, mentre sul suo viso si formò un grosso sorriso.

<<Bene!! Non vedo l’ora di diventare grande e poter cucinare per te, Tobio, adesso ancora di più visto che so che mangerai tutto!!!>>

<<Certo…quando saremo grandi non ti farò mancare nulla.>> affermai, iniziando a strusciare il naso contro il suo collo, con un piccolo sorriso sulle mie labbra.

<<TOBIO SMETTILA, MI FAI IL SOLLETICO!!>> la sua risata genuina riempì la stanza.
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Non vedevo l’ora di mangiare i suoi pancake fatti male.

|𝐖𝐚𝐫𝐦 𝐓𝐨𝐮𝐜𝐡| - 𝙺𝚊𝚐𝚎𝚑𝚒𝚗𝚊Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora