Speranza

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Il suono acuto della campana sancì la fine delle parole e diede inizio al silenzio. Un silenzio fragile e distante dalla realtà; poiché nei bisbigli, sussurri e nelle frasi che passavano di bocca in bocca come polline tra i fiori, si poteva udire la potenza di tanti boati che si susseguivano come fuochi d'artificio nella notte. Roberto poteva sentirli. Li poteva sentire chiaramente, mentre invadevano le sue orecchie ed esplodevano di prepotenza nella sua testa. Gli pareva di sentire persino il proprio nome tra tutte quelle parole che ormai non avevano più un senso.

Chiuse semplicemente gli occhi per proteggerli da quella luce fin troppo viva persino per lui, che di vivo non sentiva più niente, tranne che il desiderio di scomparire. Improvvisamente i boati tacquero definitivamente, come dissolti nella quiete, mentre ciò che rimaneva era solo una terribile e fastidiosa emicrania. Con molta probabilità, era rimasto solo.

Passò la mano sul proprio volto e si accorse di come fosse ancora bagnato delle lacrime che aveva precedentemente versato in un impeto di dolore e frustrazione. Lacrime che avevano avuto luce sotto gli occhi sbigottiti di tante persone, troppe persone, e che ora gli avevano lasciato nient'altro che vergogna.

Si era mostrato debole e fragile in un contesto in cui bisogna essere imperturbabili, rigidi come blocchi di metallo; lui, però, si era piegato come un vecchio ramo di quercia in procinto di spezzarsi.

Che razza di Ministro era? Si chiese. Che razza di uomo era? Per essere così patetico in una situazione simile?

Aprì finalmente gli occhi e una lacrima sfuggì solitaria dalle ciglia ancora umide. Difronte a sé comparì la sala vuota, così immensa in confronto alla propria figura così infinitamente piccola. E seduto da solo a quel tavolo circolare, provò un forte senso di abbandono, come se tutti i suoi colleghi fossero spariti per magia e fosse rimasto solo lui a risolvere quel rompicapo da incubo.

"Sei ancora qui."

Ma non era davvero solo.

"È tardissimo, fra quattro ore dovremmo svegliarci."

Come in un sogno, vide Giuseppe Conte spuntare dal retro dello stipite della porta, mentre lo guardava con occhi in cui leggeva un flebile guizzo di preoccupazione. Si avvicinò a lui con passo cadenzato, tenendo le mani avanti in una posa che potesse rassicurarlo. "Stai bene?" Gli chiese ad un paio di metri da lui.

Roberto annuì, tirando rumorosamente l'aria col naso, cercando di scogliere quel peso bloccato nel petto che non gli permetteva più di respirare. "Sì, sto bene."

Il Presidente lo fissò brevemente per poi fare un'espressione poco convinta, prima di sedersi su una delle sedie, lasciandone una in mezzo a separarlo dall'altro uomo.

"Hai fatto un buon intervento prima."

"Ho pianto."

"Era comunque un buon intervento."

Roberto quasi volle ridere a quella affermazione. Si leccò appena le labbra, voltandosi per guardalo e incontrò la sua espressione estremamente seria e risoluta, quella che solitamente utilizzava nei momenti più critici e che aveva imparato a temere, quasi invidiare. Giuseppe Conte era imperturbabile come la roccia più dura e per questo, in quelle settimane, aveva cominciato a rispettarlo.

"Sono stato ridicolo." Tirò fuori, come se quell'uomo non fosse nient'altro che uno dei tanti. "Ridurmi così durante un consiglio dei ministri, porca miseria! Mi... mi..." Si fermò, scacciando un sospiro affranto, e accolse subito la testa fra le mani che portò fin dentro i folti capelli. Il mondo gli stava crollando di nuovo addosso come era successo qualche ora prima. L'impatto con la realtà era duro e doloroso, soprattutto quando essa non ti dava alcuna via d'uscita. Sentiva di star cedendo di nuovo alle proprie emozioni, ma le frenò con l'urgenza di farsi forte, di farsi forte soprattutto difronte a lui.

Conte aveva dato prova di saper attutire gli impatti in una maniera incredibile e lo mostrava anche lì, mentre raccoglieva le sue parole di sfogo in un muto ascolto.

"Forse dovrei davvero andare a dormire." Disse infine Roberto alzandosi dalla sedia. "Sto facendo perdere tempo anche a te."

"Ti sbagli." Disse invece lui, alzando i suoi profondi occhi scuri su di lui. "Su tutto."

"In che senso?"

"Nel senso che non sei stato ridicolo, né stupido e né altro. Sei stato umano."

Roberto rimase stupito. Era la prima volta che il Presidente gli parlava in quei termini, senza quella patina di professionalità a cui era sempre stato abituato. Lo fissava dritto negli occhi, imperterrito, con il respiro che si faceva sempre più greve al di sotto della mascherina, e Roberto si ritrovò nuovamente seduto sulla sedia, quasi per paura di una sua reazione.

"È comprensibile quello che provi." Continuò, il più anziano. "E penso che nessuno intorno a questo tavolo potrebbe capirlo meglio di me." Prese una breve pausa per posare il gomito sul tavolo e appoggiare la testa sul palmo della mano. Era stanco, infinitamente stanco, ma era lì e non sembrava avere l'intenzione di andarsene così facilmente e Roberto capì che in quelle parole c'era davvero l'intenzione di tranquillizzarlo.

"Sai, quando mesi fa mi proposero il tuo nome per il Ministero della Salute, ebbi diverse perplessità. Pensai che tu non fossi all'altezza del ruolo e che tu fossi semplicemente un nome come tanti messo lì per riempire un vuoto, per accontentare le parti. Capii che mi sbagliavo, quando pronunciassi il giuramento a memoria guardando Mattarella dritto negli occhi, con una serietà che non avevo visto in nessun altro ministro. Ero sbalordito. Mi resi conto che davanti non avevo più un signor nessuno, ma un uomo con le idee chiare, che aveva fatto della politica la propria missione di vita." Si fermò, concentrando lo sguardo sulla superficie liscia del tavolo, cercando di sviare l'attenzione da quel velo di malinconia che aveva ormai coperto i suoi occhi. Roberto, quasi incredulo da quello che aveva appena sentito, provò a rispondergli, ma non ebbe nemmeno il tempo poiché l'altro ritornò a parlare. "Io penso che la vita sia un insieme di eventi e di scelte che portano ad un susseguirsi di cause ed effetto, come in una catena, e niente è dovuto davvero al caso. Il caso non scatena guerre, non causa malattie e, soprattutto, non ci avrebbe mai portati qui, seduti nella Stanza dei Bottoni a prendere decisioni impossibili durante una Pandemia mondiale, ne sono convinto. Questo è solo un altro anello della catena."

C'era saggezza nelle sue parole, ma anche rassegnazione. Il più giovane si rese conto che lui era davvero l'unico che potesse capirlo, al di là di tutto. Quell'uomo dall'aspetto rassicurante, dalla parlantina sicura e dall'intelligenza acuta, nascondeva una tale fragilità da non poter essere compresa da nessuno, né all'interno di quell'ambiente né al di fuori, ma lui in quel momento lo capì e si sentì onorato di quell'intimità.

"Tu sei forte. Sei stato il motore delle ultime azioni di Governo. Senza di te non avremmo fatto certe scelte, non avremmo mai potuto avere il coraggio di trarre certe conclusioni e per questo ti ringrazio, Roberto." Gli disse, ritornando di nuovo a guardarlo negli occhi per infondergli davvero quel senso di gratitudine. "Forse l'Italia lo capirà troppo tardi, ma è davvero fortunata ad averti come Ministro in un periodo simile, dico sul serio."

E fu in quel momento che Roberto cedette di nuovo come una montagna che crolla dopo aver tenuto, per troppo a lungo, insieme le zolle di terra attraverso le radici degli alberi. Crollò anche lui, ma stavolta fu un pianto diverso, un pianto pieno di nuove speranze, perché quelle parole gli avevano dato una forza nuova e una voglia di riscatto che non sentiva da anni. E tra le lacrime lo ringraziò come mai aveva fatto con nessuno in tutta la sua vita.

Giuseppe ascoltò silenziosamente ciò che usciva dalla sua bocca, per poi posare una calda mano sulla sua spalla, in un gesto paterno. "Ora riposa, Roberto. Fra poco sarà l'alba e inizierà un nuovo giorno, facciamo in modo che sia migliore di quello precedente, è così che riusciremo ad andare avanti."

Uno straniero a PalazzoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora