Erano rimasti abbracciati, sospesi nel tempo e nello spazio, dentro la loro bolla, ascoltando i respiri e i loro battiti sincronizzarsi. Quando si erano ripresi e lentamente rivestiti, avevano raggiunto l'auto di Mark ed erano ritornati a casa. Avevano dormito da Jake, l'opzione "dormire da soli", non era ammessa. Appena sveglio, Jake, si ritrovò a contemplare il viso del suo amante addormentato accanto a lui. Notò che quando dormiva, e i suoi muscoli facciali erano rilassati, il suo viso aveva ancora un che di fanciullesco. Probabilmente, questo era legato alle lunghissime ciglia di cui madre natura l'aveva dotato, ma anche i riccioli castani scomposti, che gli circondavano l'ovale perfetto, contribuivano a dare quell'illusione. Era un fascio di muscoli il suo Mark, dormiva su un fianco, poteva gustarsi la visione del suo ventre piatto e muscoloso, le braccia forti il bacino stretto e il suo sesso che, anche a riposo, mostrava le sue notevoli dimensioni. Si massaggiò il fondo schiena, al solo pensiero di quante volte lo avevano fatto la notte precedente. Era stato così coinvolgente praticare il sesso senza protezioni, la sua "prima volta"... sentire la sua carne calda e dura penetrarlo, gli aveva provocato sensazioni mai provate, era stato come nascere per la prima volta. Doveva averlo pulito quando era praticamente collassato dopo l'ultimo orgasmo. Lo amava, ora gli era chiarissimo, Mark era l'altra metà della mela.
«Mi sento osservato...» Jake sussultò, non si aspettava che fosse sveglio.
«Hai assolutamente ragione. Mi dispiace di averti svegliato.» Mark lo attirò a sé e aprì gli occhi, assaporando uno dei risvegli migliori della sua vita.
«Voglio svegliarmi così sempre.» gli disse mentre lo attirava contro di sé.
«Lo sai che ore sono?» gli disse Jake, mentre sentiva qualcosa di duro strusciare sul suo ventre.
«No, e sinceramente non m'interessa.» Jake lo spinse lontano, rimproverandolo con lo sguardo.
«Non pensarci neppure per un secondo! Punto primo, ho una fame da lupo. Punto secondo, dobbiamo metterci al lavoro.» Mark crollò sulla schiena e si mise il cuscino sulla faccia.
«Fatti una doccia fredda, ti aspetto in cucina.» Jake balzò giù dal letto lasciandolo solo, era rimasto serio, ma in realtà ora che non lo stava più guardando, sorrideva. Mark si alzò poco dopo e pigramente si fece una doccia calda. Rivestito con la sua tuta preferita, si affacciò nella cucina, dove Jake era impegnatissimo a tentare di preparare una colazione sostanziosa per entrambi.
«Le uova...» Jake si precipitò sulla pentola che conteneva le uova, che erano in procinto di diventare carbonizzate, salvandole all'ultimo minuto. Le ripose su un piatto, insieme alla pancetta fin troppo abbrustolita.
«Ti avevo avvertito che non sono un cuoco sopraffino, vero?» Mark si servì nel piatto un po' di uova e pancetta, e prese una fetta di pane abbrustolito, pure quello prossimo alla carbonizzazione.
«Non si può chiedere troppo al fato, sai fare cose meravigliose in altri campi, a far da mangiare posso pensarci io.» malgrado tutto, pensò Mark, il cibo era commestibile, e lui aveva davvero molta fame.
«Cosa ne sai di quali siano le cose che so fare meglio?» Mark sorrise sornione.
«Ad esempio, so che fai i pompini migliori che io abbia mai ricevuto.» Jake gli tirò addosso una fetta di pane che lo prese in pieno volto.
«Cretino.» gli rispose arrossendo.
«Allora, di cosa dobbiamo parlare agente speciale #tirisucchiolanima?» la risata di entrambi riempì l'ambiente. Appena Jake riprese il controllo, bevve un lungo sorso di caffè e raccolse le idee.
«Quando hai l'incontro con Svetlana Popov?» Mark mandò giù il boccone che aveva in bocca.
«Martedì prossimo. Ho indetto un consiglio di amministrazione per il cambio dell'amministratore, e ci devono essere tutti i soci. Cosa devo fare?» Jake aveva finito di mangiare, e continuava assorto a sorseggiare il suo caffè.
«Saresti disposto a farti mettere addosso dei microfoni? È rischioso, se mi dicessi di no io...» Mark lo interruppe.
«Prima mettiamo un punto a questa storia, e prima io e te potremmo progettare il nostro futuro insieme, perciò non hai che da chiedere.» Jake, dovette fare forza su tutta la sua professionalità per non saltargli al collo dalla felicità che avevano innescato quelle parole.
«A una condizione però...» Jake attese che gliela illustrasse.
«Non dovrai più lavorare per Vinnie. Potrei impazzire se qualcuno ti mettesse le mani addosso.» Jake rimase a bocca aperta. Come poteva smettere in quel momento! Semplicemente non poteva farlo, faceva parte del piano.
«Sai di stare chiedendomi una cosa impossibile vero? Si tratta di lavoro, capisci? Non posso buttare all'aria mesi da infiltrato solo perché tu sei... geloso.» ma mentre pronunciava quell'ultima frase, si rese conto di quanto invece fosse logica la sua richiesta, e di quanto dolore potesse provocare al suo uomo quella situazione.
«E se l'unico cliente che avessi fossi io?» Jake sorrise, quanto era ingenuo il suo amante.
«Sarebbe il modo migliore per fare insospettire Vinnie.» gli rispose Jake «a meno che...» improvvisamente a Jake venne un'idea.
«A meno che...?» lo incalzò Mark.
«Potresti prenotarmi ogni volta con un nome diverso. Ma mi rendo conto che preparare un profilo falso ogni volta, sarebbe difficile, e non credo che tu ci possa riuscire.» il nome Akashi, rimbombò nella testa di Mark come se fosse un'insegna al neon.
«Non è un problema, ho qualcuno che mi può aiutare. Come credi che abbia fatto per far scattare l'allarme antincendio nell'hotel?» Jake non aveva avuto tempo per domandarselo, ma pensandoci bene non poteva avere agito da solo.
«Un hacker?» Mark annuì.
«Quanto ti fidi di lui?» Akashi lavorava per lui saltuariamente da almeno cinque anni. L'unico che conosceva la sua vera identità era Brian. Sapeva che Brian l'aveva conosciuto ai tempi del liceo e che erano rimasti in contatto. Sapeva anche che, quando frequentavano l'università. Akashi aveva violato i sistemi di sicurezza della Federal Reserve, non per rubare, solo per diletto. Ma da quel giorno era stato costretto a nascondersi, viveva sotto falsa identità e nessuno a cui elargiva i suoi servigi, ne conosceva il volto o la voce. L'unica persona che lo conosceva era Brian e lui era morto, sapeva che suo marito l'aveva aiutato in più di una occasione, ed era per questo che Akashi era ancora disponibile ad aiutarlo. Sì, poteva fidarsi di lui.
«Molto. Se sei d'accordo lo contatterò domani stesso. Ti prego, riuscirò a strappare loro tutte le informazioni che vi servono per incastrarli, ma tu concedimi di rimanere tranquillo.» come poteva negargli una cosa del genere!
«Ok, contatta il tuo uomo. Ma se la cosa non mi convince, o al minimo sentore di sospetto da parte di Vinnie, salta tutto.» Mark annuì sorridendo.
«In settimana dovrei fare vaccinare Minù, posso venire in ambulatorio? Ma davvero sei abilitato a fare il veterinario o rischio che me la fai fuori?» Mark assunse un'aria di superiorità.
«Tranquillo, se si tratta di una visita di controllo e di vaccinazioni ci posso pensare io, se avessimo bisogno di un consulto c'è comunque il mio socio Kayden, lui è un vero veterinario.» Mark si alzò dalla sedia e, avvicinatosi a lui, gli prese la mano appoggiandola sul suo bassoventre.
«Agente speciale Johnson, si metta in ginocchio. Ho davvero bisogno delle sue doti speciali.» Jake sorrise mentre ubbidiva a quell'ordine, e gli faceva scendere i pantaloni della tuta al ginocchio.
«Signor Cook, la sua pistola è di un calibro vietato. Mi sa che ha ragione, devo fare un'ispezione accurata.» gli rispose mentre lentamente aveva iniziato a massaggiarlo dalla base alla punta.
«Apri la bocca e fammi felice agente speciale Johnson.» tutta la giornata passò così, tra uno spuntino, una doccia e tanto tanto sesso.
La mattina del lunedì si separarono davanti al portone, entrambi avrebbero avuto una giornata davvero impegnativa. Mark, appena arrivato in ufficio, decise che la sua priorità sarebbe stata contattare Akashi. Sperava solo di non farlo arrabbiare usando il canale delle urgenze. Fece la solita domanda in chat e, pochi minuti dopo, il suo telefono si mise a suonare.
«Richiamami, sarà lunga.» Akashi non gli rispose neppure, un quarto d'ora dopo lo richiamò.
«Spero che sia davvero urgente o questa sarà la nostra ultima conversazione.» Mark non aveva mai sentito quel tono nella sua voce.
«Devo creare almeno una decina di false identità, forse di più, non lo so ancora. Mi serviranno per prenotare Amber Honey, questo è il nome che c'è scritto sul sito. Devono essere controllabili e verosimili. Sei l'unico che può fare questo in così poco tempo.» Akashi rimase in silenzio per qualche secondo.
«Sai, Brian sorriderebbe vedendoti così preso da un'altra persona.» era la prima volta che lo sentiva parlare di Brian.
«Credo che avrebbe voluto che fossi felice e credimi, Jake mi rende felice. Per questo mi sono lasciato coinvolgere in questo casino. Voglio che finisca tutto presto, e non voglio che qualcuno gli possa mettere le mani addosso.» sentiva già, in sottofondo, il rumore dei tasti schiacciati dalle dita di Akashi.
«La prima identità sarà pronta tra un paio d'ore, questa la offro io, per le altre ti farò sapere la tariffa nel solito modo. Ti scriverò un numero di telefono al quale potrai contattarmi sempre. Non so perché, ma temo che ne avrai bisogno. La prima te la invio alla tua mail personale. E Mark...stai attento.» due ore dopo, come promesso, arrivò una sua e-mail con tutto ciò che poteva servirgli per prenotare i servigi di Amber, cosa che Mark fece immediatamente.
MARK – Hey, sei occupato? – voleva avvertirlo di avere già messo in opera il piano previsto.
JAKE – Vado ora a prendere un caffè. – ne aveva davvero bisogno, era stanchissimo e la schiena gli faceva ancora male.
MARK – Volevo dirti che riceverai "un invito" da un certo Signor Robert Sullivan, imprenditore di passaggio, texano. – gli scrisse lasciando trapelare una certa soddisfazione.
JAKE – Detto fatto signor Cook. Ti ho preso appuntamento per la vaccinazione; mercoledì alle 18,30. Sei il mio ultimo appuntamento, così dopo possiamo tornare a casa insieme, sempre che tu non abbia altri impegni, s'intende.» Mark si appuntò l'appuntamento nell'agenda.
MARK – Penso che, per un bel po' di tempo, l'unico impegno inderogabile che avrò sarai tu, e il tuo stupendo culetto.» Jake d'istinto si massaggiò la parte bassa della schiena.
JAKE – Senti un po' #marktrivellacook vedi di calmarti un po', a questo ritmo il mio culetto credo non resisterà a lungo. – Mark sorrise, quella sera stessa lo avrebbe massaggiato per bene.
JAKE – Ora devo andare, ci vediamo stasera a casa. Non cucinare compro io qualcosa per strada. – Jake fece una smorfia, non avrebbe mai pensato che una cosa così semplice, come decidere a quello che avrebbero mangiato la sera, potesse renderlo così felice.
Jake passò una giornata abbastanza tranquilla al lavoro, ricevette la comunicazione di Vinnie per l'appuntamento del venerdì e, verso sera, in un momento di pausa, chiamò Loren.
«Capitano...Hai ricevuto il mio rapporto?» Loren l'aveva sulla sua scrivania, lo sapeva a memoria ormai.
«Sì. Ci siamo davvero vicini, non dobbiamo commettere errori questa volta.» una fitta di dolore raggiunse il suo cuore, la colpa non lo abbandonava mai.
«Domani Mark incontrerà Svetlana Popov, mi ha dato il permesso di mettergli il microfono.» Loren aveva voglia di vederlo, e non solo.
«Avete fatto pace?» gli chiese cercando di sondare la situazione.
«Ti ho già detto che non sono affari tuoi?» Jake davvero non capiva come stesse sviluppando quell'ossessione per lui, aveva avuto la sua occasione e l'aveva buttata nel cesso.
«Voglio che parliamo di noi, ti prego Jake, poi se davvero vorrai, ti lascerò in pace.» gli stava rendendo davvero le cose difficili, ma forse era l'unico modo per fargli capire che era davvero finita.
«Ti prometto che lo faremo, ma ora sono troppo concentrato sulla missione.» Loran si sarebbe accontentato, per ora.
«Ci conto. Hai riagganciato Vincent per venerdì?» per un secondo Jake pensò di confessargli che cosa avevano deciso lui e Mark, ma l'istinto gli suggerì di non farlo.
«No, evidentemente non ho fatto colpo, ho appuntamento con un Texano di passaggio.» sperò ardentemente di non pentirsi, se non fosse andata bene la missione sarebbe fallita, e la colpa sarebbe stata ancora sua.
«Mercoledì vengo a prelevare le registrazioni per farle trascrivere, non so per che ora riuscirò, tu aspettami, ok?» si salutarono e Jake si accinse a chiudere l'ambulatorio. Mentre ritornava a casa si fermò in un take away che vendeva cibo messicano. Non conoscendo ancora a fondo i gusti del suo compagno, prese un po' di tutto. Arrivato a casa mandò un messaggio a Mark che, un'ora dopo, suonava alla sua porta.
«Mister Cook...» lo fece entrare e gli si buttò addosso assaporando le sue labbra.
«Mi sei mancato.» gli disse affondando il viso nel suo torace.
«Anche tu bel culetto.» gli rispose Mark, strizzandogli le natiche con entrambe le mani.
«Ho preso messicano, spero che ti piaccia.» Mark non amava particolarmente il cibo messicano, ma per quella volta si sarebbe accontentato.
«Andiamo a mangiare, dopo mi spieghi cosa dovrò fare domani.» finita la cena, Jake sparì in camera, per ritornare con una valigetta nera rigida, che appoggiò sul tavolo.
«Abbiamo due opzioni per domani. La prima, come ti avevo detto, è microfonarti. Il microfono e il ricevitore vanno messi addosso, attaccati al tuo torace. Tramite un segnale radio, sarò in grado di sentire tutta la conversazione e la registrerò. Oppure, possiamo mettere delle microspie all'interno dell'ufficio e nella sala riunioni.» Mark lo stava ascoltando con attenzione, ma non sarebbe stato in grado di scegliere quale fosse l'opzione migliore.
«Quello che decide il mio agente speciale preferito va bene, sono nelle tue mani.» Jake non aveva dubbi, l'opzione migliore, almeno per quella volta, era microfonarlo. Di sicuro Svetlana Popov non si sarebbe avvicinata a lui, non erano in confidenza e non era pericolosa quanto ad esempio, uno come Vincent.
«Per questa volta preferirei microfonarti, per le prossime valuteremo. Domani mattina, prima che tu vada al lavoro, lo farò personalmente, purtroppo dovrai tenerteli addosso tutto il giorno, mi spiace.» Mark lo attirò a sé.
«Così potrai spiarmi in ogni momento della giornata...» Jake gli tirò i capelli, facendogli buttare indietro la testa.
«E chi ti dice che io già non lo faccia?» Mark si morse il labbro inferiore.
«Non ti temo, agente speciale Johnson. Come sta il tuo culetto?» gli chiese massaggiandogli la parte bassa della schiena.
«In sciopero.» Mark lo guardò sconfitto.
«Netflix?» Jake rise.
«Netflix con massaggio alla schiena incorporato.» era la prima volta che passavano una serata di semplici coccole da innamorati, e Jake, aveva intenzione di godersela fino in fondo.
La sveglia suonò mezz'ora prima del solito, Jake non voleva fare le cose in fretta, non voleva che si potesse anche solo sospettare di Mark. Quella era gente pericolosa, e Mark era troppo prezioso per metterlo in pericolo. Andarono nell'appartamento di Mark per scegliere i vestiti più appropriati. Dopo venti minuti che Jake guardava le sue camice, Mark, spazientito, ne prese una a caso.
«Ma stai scherzando!» gli disse Jake strappandogliela di mano.
«Mi spieghi qual è il problema? È una camicia!» Jake gliela infilò e ne chiuse i bottoni centrali, poi lo mise davanti allo specchio.
«Ecco qual è il problema! TU HAI SOLO CAMICE TRASPARENTI!» senza scomporsi minimamente, scostò Jake, e prese dall'armadio un gilet.
«Così va meglio?» gli chiese stampandogli un bacio sulla guancia.
«Avrei preferito una camicia più "coprente", anzi, il prossimo regalo che ti farò sarà proprio un set di camice colorate e molto molto coprenti.» gli disse facendolo scoppiare a ridere.
«Stai tranquillo, con il gilet e la giacca sopra, non si noterà assolutamente nulla. E poi tu sarai a un isolato di distanza armato fino ai denti no? Non può succedermi nulla.» si lasciarono davanti al portone di casa, ormai era diventata una routine. Jake sarebbe andato all'ambulatorio nel pomeriggio, quella mattina doveva tenersi libero. Mark gli aveva detto che Svetlana e Vinnie sarebbero arrivati circa alle dieci di mattina. Vide da lontano Mark che si allontanava in macchina, sapeva che prima di andare in ufficio doveva prendere contatto con Akashi, ma non aveva voluto svelargli nulla. Non poteva fidarsi così, a scatola chiusa, di uno che Mark non aveva mai visto in faccia. Prese la moto che aveva fatto parcheggiare in strada da un suo collega e, due minuti dopo, stava tallonando la macchina di Mark. lo seguì e dopo pochi minuti lo vide entrare nel parcheggio di un supermercato. Parcheggiò anche lui un po' distante, scese e lo seguì senza farsi vedere, era facile per lui, anche se si sentiva un po' in colpa. Dentro il supermercato era disponibile un servizio di caselle postali, Mark stava andando in quella direzione. Lo vide aprire uno degli sportelli e infilare un plico all'interno, doveva stare attento, Akashi poteva essere lì in quello stesso momento, doveva cercare di rimanere trasparente per tutti. S'infilò in un angolo della caffetteria, fingendo di leggere il menù e si mise ad aspettare. Quando ormai aveva deciso di andarsene, visto che si stava facendo tardi, qualcuno si avvicinò alla postazione delle caselle e aprì quella di Mark, prese quello che trovò all'interno, infilandoselo nel giaccone di pelle, richiuse e se ne andò velocemente. Il cappuccio della felpa che portava sotto il giaccone, copriva quasi tutto il viso, questo non permetteva a Jake di vederne i tratti. Sicuro, Jake si alzò pedinandolo, portava i guanti, questo escludeva la possibilità di raccogliere impronte o DNA, era alto quasi quanto lui, magro. Appena uscì dal supermercato, un'auto si fermò per farlo salire. Jake memorizzò la targa NYC 5220, era una Chevrolet Silverado degli anni 80, molto ben tenuta, di colore blu. Soddisfatto si diresse alla moto, avrebbe fatto in tempo a ritornare a casa e prendere l'auto. Appena avesse avuto un momento libero, da solo, avrebbe indagato partendo da quel numero di targa, nel frattempo doveva essere pronto per Mark. Si posizionò non lontano dal suo ufficio, a circa mezzo isolato di distanza, accese l'apparecchio e mandò un messaggio a Mark.
Jake – Dì qualcosa, devo fare delle prove per essere sicuro che funzioni tutto. – Mark era solo in ufficio e iniziò a cantare.
"And if I could be king, even for a day– E se potessi essere Re, solo per un giorno
I'd take you as my queen– Ti prenderei come mia Regina
I'd have it no other way– Non avrei altro modo
And our love would rule– Il nostro amore detterebbe la regola
In this kingdom we have made– In questo regno che abbiamo creato
Till then I'd be a fool– Fino ad allora impazzirei
Wishing for the day– Desiderando il giorno
Baby, if I could... change the world– Baby, se potessi cambiare il mondo
I could change the world– potrei cambiare il mondo
I would be the sunlight in your universe– Voglio essere il sole nel tuo universo" (Change the World – Eric Clapton)
Mark – Allora com'è venuta? – gli scrisse.
Jake – Ti amo. – e non poteva che essere quella la risposta, nessuno, mai nella sua vita gli aveva dichiarato il suo amore in quel modo, nessuno aveva messo il suo cuore nelle sue mani come stava facendo Mark.
Mark – Stasera te lo farò urlare, visto che ho dovuto persino cantare per strappartelo dalle labbra. – Mark aveva il cuore a mille, avrebbe voluto correre fuori dal suo ufficio, scendere in strada a cercarlo e fiondarsi tra le sue braccia.
Jake – Ho appena cambiato il tuo nome nella rubrica... vuoi vedere? – Mark scoppiò a ridere.
Mark – Non vedo l'ora. – Jake fece uno screen della rubrica. Mark aprì l'immagine e la voglia di raggiungerlo lo fece fremere, #fottutoprincipeazzurrocook, così l'aveva rinominato quel pazzo del suo ragazzo.
«Mark Vinnie e Svetlana stanno salendo.» gli disse Telma affacciandosi alla porta.
MARK – Si va in scena baby. – Jake iniziò immediatamente a registrare. Mark uscì dall'ufficio per andare ad accogliere i suoi clienti.
«Benvenuti, seguitemi in sala riunioni.» entrarono nella sala, seguiti da Telma, che si sarebbe occupata di redigere il verbale.
«Se siete d'accordo inizierei.» entrambi annuirono e Mark iniziò la riunione.
«Nell'anno 2019, il giorno 20 del mese di febbraio alle ore 10,41 si è riunito presso la sede di New York della C.F.&C. LTD., previa regolare , il Consiglio di amministrazione della Eastwood Quick ltd per discutere e deliberare il seguente ordine del giorno:
1. Modifica dell'amministratore della società
2. varie ed eventuali.
Sono presenti: i membri del Consiglio di amministrazione, e i soci, come da foglio presenze allegato. Assume la presidenza della riunione, ai sensi di legge e dello Statuto, il Signor Vinnie Rivera, Presidente del Consiglio di Amministrazione della Società.
Il Presidente, d'accordo con i convenuti, chiama ad assolvere le funzioni di segretario, per la redazione del presente verbale, la Signora Telma Smith, che presente, accetta.
Se quanto ho esposto viene condiviso dai soci possiamo proseguire.» visto che nessuno eccepì nulla, Mark continuò.
«Con riferimento al primo punto all'ordine del giorno, sono lieto di comunicarvi che la nostra società è disponibile a prendersi carico di tutta la gestione amministrativa della Eastwood Quick ltd, a lei la parola Signor Rivera.» Rivera era in evidente imbarazzo, probabilmente non aveva mai partecipato realmente a nessun CDA e ora non sapeva che pesci pigliare. Inoltre era vestito di tutto punto, ma si capiva benissimo quanto fosse poco avvezzo ad indossare dei vestiti eleganti. Svetlana invece era sulle spine, evidentemente considerava quella riunione una vera scocciatura.
«Ehm... Visto che avete accettato di assumervi l'amministrazione della società, abbiamo pensato che sarebbe il caso che lei, Signor Cook, assumesse anche la carica di amministratore. Possiamo procedere direttamente al voto per alzata di mano?» gli chiese Vinnie cercando nel suo sguardo l'approvazione.
«Io voto sì.» disse Vinnie.
«Anche io voto sì.» disse Svetlana.
«L'assemblea approva. La presidenza della riunione passa ora nelle mani del Signor Cook.» disse infine Telma.
«Bene signori, avete altre cose di cui dobbiamo discutere?» nessuno sollevò altri argomenti.
«Visto che non ci sono altri argomenti, dichiaro conclusa la riunione straordinaria.» Telma si alzò per andare a redigere il breve verbale, per farlo firmare ai presenti.
«Mentre attendiamo che Telma ci porti il verbale da firmare, posso offrirvi qualcosa?» nessuno dei due volle nulla. Svetlana continuava insistentemente a guardare il suo prezioso Rolex. Pochi minuti dopo Telma portò il documento per la firma.
«Signor Cook, se ha bisogno ha i miei recapiti.» lo salutò Vinnie, felice di lasciare quell'ambiente nel quale non si trovava a proprio agio.
«Anche io deve andare, ho appuntamento importante per affari.» disse Svetlana, con un forte accento straniero e una grammatica terribile. Vinnie era già uscito dall'ufficio.
«Se permette Signora Popov, avrei bisogno di scambiare alcune parole con lei...da soli.» Svetlana, si fermò sulla porta, voltandosi ancora più scocciata.
«Mio tempo è contato Signor Cook. Possiamo altra volta, meglio...» ma Mark non era dello stesso avviso, non l'avrebbe fatta andare via così facilmente.
«Credo che le convenga ascoltarmi, signora Popov.» stava sfoderando tutto il suo charme. Svetlana sostenne il suo sguardo per qualche momento, poi sospirò e, ritornata sui suoi passi, si sedette di fronte a lui.
«Meglio se diamo tu, quando fa affari no piace dare lei.» Mark sorrise di sbieco.
«Visto che entrambi siamo molto occupati, andrò subito al sodo. Ho preso le mie informazioni, prima di decidere se prendermi cura della vostra società e, dalle mie informazioni non ufficiali, è evidente che la torta è molto più grossa di quello che volete fare apparire. Sono molto bravo nel mio lavoro, e so come far rimanere la vostra una splendida facciata pulita, ma...tutto questo vi costerà caro, molto caro.» Svetlana sorrise, a Mark si raggelò il sangue. Era una bellissima donna, ma il suo viso era duro, e quel sorriso era come carta vetrata.
«Signor Cook, tu molto bravo nel tuo lavoro, ma no sottovalutare me. Sono in questo business da quando ero molto giovane e no ama i ricatti.» Mark le sorrise avvicinandosi.
«Svetlana, hai frainteso, questo non è un ricatto, questo è un affare, un ottimo affare che tu fai con me, non con la mia società. Tu mi paghi il giusto compenso per mantenere la tua società pulita, e io mantengo nascosta sotto molti strati la parte che non deve emergere.» Svetlana sollevò un sopracciglio.
«I va beni, signor Cook, possiamo fare affare. Fammi sapere quale compenso e come vuoi fare.» Mark si alzò per stringerle la mano, e lei, per tutta risposta l'attirò a sé in maniera del tutto inaspettata.
«Fai solo passo falso e ti taglio palle poi infilo in tua bocca, capito?» era forte anche fisicamente, ma invece di sottrarsi Mark, senza staccarsi da quella posizione, gli sibilò nell'orecchio allo stesso modo.
«La cosa è reciproca, milady.» era certo che le avesse anche lei le palle. Si rialzò e, con stupore, vide Svetlana scoppiare in una grassa risata.
«Tu mi piace! Tu hai palle grosse Cook!» Mark pensò che era il momento giusto per chiederle il secondo favore.
«Ho un'altra richiesta Svetlana.» Svetlana cambiò espressione.
«Non tirare troppo corda.» Mark si sedette vicino a lei.
«Ho un cliente, che ha, diciamo...delle esigenze particolari. È un cliente a cui tengo parecchio, ha agganci politici di cui non posso fare a meno, di cui beneficerai anche tu, credimi.» Svetlana gli si avvicinò.
«"Esigenze?"» Mark sperò di essere stato convincente.
«Gli piacciono i ragazzi, giovani, molto giovani.» Svetlana annuì.
«Quanto giovani?» Mark prese un biglietto e scrisse -18 e glielo porse.
«Si può fare. Tu deve dare me tutti dati di cliente, poi io ti dico.» Mark chiamò con l'interfono Telma, chiedendole di portargli la scheda del signor Nox. Telma non aveva mai sentito quel nome, ma cercò nello schedario. Mentre la scheda si caricava, uscì un messaggio per lei. "Reggimi il gioco, fai finta di conoscerlo, non fare domande.", l'aveva scritta il giorno prima, temendo di dover fornire quei dati senza poterli stampare direttamente. Telma stampò la scheda e la portò in sala riunioni.
«Ecco. La scheda che mi hai chiesto.» Telma consegnò la scheda e fece per uscire.
«Segretaria di Cook!» le disse Svetlana, Telma si fermò sulla porta.
«Tu conosce signor Nox?» Mark trattenne il respiro e, come lui, Jake, che aveva seguito tutta la scena. Jake calcolò mentalmente quanto ci avrebbe messo a raggiungere il suo ufficio.
«Beh, ovvio, visto che seguo io la sua contabilità da cinque anni.» rispose pronta Telma. Ma Svetlana non si sarebbe accontentata.
«Descrive signor Nox.» Telma la guardò perplessa.
«Ha meno di sessant'anni, un po' stempiato, capelli quasi tutti bianchi, occhi azzurri, baffi e pizzetto e veste quasi sempre casual. È sposato, non ha figli. La sua azienda fattura circa sette milioni di dollari l'anno, e si occupa di componenti meccaniche, non mi ricordo bene per cosa.» Svetlana finalmente sembrava soddisfatta.
«Grazie segretaria.» Telma l'avrebbe picchiata volentieri, se continuava a chiamarla in quel modo, ma sorrise e uscì. Per fortuna prima di portare la scheda a Mark l'aveva letta, ma lui le doveva delle spiegazioni, e tante.
«Scusa Mark, ma affari e amore io deve usare prudenza. Ti manda appuntamento per Nox in settimana.» si alzò e uscì dall'ufficio. Mark attese che l'ascensore scendesse e chiamò Jake.
«Sono stato bravo?» Jake bloccò la registrazione.
«Sicuro di non avere mai lavorato nei servizi segreti?» gli rispose Jake.
«Mi merito un grande premio stanotte, preparati.» Jake non vedeva l'ora di dargli il premio, se lo meritava tutto, anche se per un attimo se l'era fatta addosso.
Jake guardò l'ora, erano da poco passate le 11.30, doveva essere in ambulatorio per le due, aveva tutto il tempo per tornare a casa e indagare un po' su quella targa.
Arrivato a casa si fiondò al computer e si collegò con la motorizzazione, il veicolo era intestato a una donna, Ava Brown, anni 67, vedova di John Watson, abitava al numero 259 della 136th street. Dal controllo successivo, all'anagrafe, aveva visto che viveva da sola, e aveva avuto un figlio che si era trasferito nel Maine da tempo, Alfred Watson. Il controllo su Alfred aveva confermato che viveva nel Maine da dieci anni, era odontoiatra ed aveva uno studio suo, sposato con due figli, non poteva essere lui Akashi. Controllò tutti i vicini di casa, nessuno che si avvicinasse al profilo che cercava Jake. Controllò nella comunità della chiesa che frequentava la Signora Brown, la St. Mark's United Methodist Church, ma neppure lì trovò un profilo che si potesse adattare a ciò che stava cercando, Akashi era molto più bravo di quello che si era immaginato. Decise di lasciare perdere, per ora, o avrebbe tardato troppo.
Mark cercò di sbrigare tutto il lavoro per le cinque, voleva andare a casa presto per preparare una bella cenetta per due, inoltre aveva in mente un paio di cose che avrebbe voluto fare nel dopo cena, che avevano bisogno di una certa preparazione. Arrivato a casa cucinò una succulenta insalata di pollo e musse di Kiwi, poi andò in camera a scartare quello che aveva comprato al sexy shop, non scherzava quando gli aveva detto che l'avrebbe fatto urlare.
JAKE – Esco ora dall'ambulatorio. – Mark lesse il messaggio, erano le diciannove e dieci, avrebbe fatto in tempo a farsi una bella doccia.
MARK – Non prendere nulla, ho già preparato la cena. – Jake fu molto contento di quella notizia.
JAKE – Il tempo di una doccia e sono da te. – Mark gli inviò un ok, e si precipitò in bagno.
«Ciao agente speciale in prova Cook.» Jake sorrise, mentre lo catturava prendendolo tra le braccia per baciarlo.
«Stappa il vino, che dobbiamo festeggiare la mia prima missione.» Jake si avvicinò al tavolo, lo stesso dove, solo pochi mesi prima, aveva cenato per la prima volta con lui. Sembrava che fossero passati anni, notò che la foto di Brian non era più dove l'avevano messa quella notte.
«Ecco qua, niente di speciale, ma molto buono e salutare.» si sedettero e iniziarono a mangiare.
«Dove l'hai messa?» chiese Jake, indicando il luogo dove era posizionata la foto di Brian.
«Intendi la foto?» Jake annuì.
«L'ho riposta dove tengo tutti i suoi ricordi.» Jake si fermò appoggiando la forchetta, serio come non mai.
«Non capisco il motivo.» non capiva perché, ma la cosa quasi lo infastidiva.
«Perché ho voltato pagina e, ora ci sei tu. Brian sarà sempre con me, non ho bisogno di averlo sempre davanti agli occhi per sapere quanto l'ho amato.» a Jake si chiuse lo stomaco.
«...o quanto lo ami ancora.» sibilò Jake mentre riprendeva a mangiare. Mark posò la forchetta.
«Sputa il rospo... cosa intendi dire?» Jake stava combattendo dentro di sé. Fino a quel momento Brian era stata una presenza discreta, ma ora, l'assenza di quella foto, lo aveva riportato all'interno della stanza e del loro rapporto come un macigno.
«Dico che probabilmente lo amerai sempre più di quanto amerai mai me.» Mark scosse la testa e non disse nulla riprendendo a mangiare, era furioso. Dopo qualche minuto di silenzio Jake lo incalzò.
«Allora? Sarò sempre il numero due?» Mark si morse la lingua per non fare uscire una risposta velenosa, anche se, lo meritava.
«Tu non ne hai la minima idea vero?» Jake invece stava resistendo alla prepotente voglia di fuggire da lì.
«Non si risponde a una domanda con un'altra domanda.» Jake si rese conto di avere alzato la voce di un'ottava.
«Non ti rispondo, perché non meriti una risposta cazzo!» la tonante voce di Mark lo colse di sorpresa.
«Vaffanculo Cook!» Jake si alzò facendo cadere la sedia, per poi precipitarsi in direzione della porta. Ma Mark fu più veloce e gli bloccò i polsi, sbattendolo contro la porta stessa.
«Cristo Jake! Ti stai comportando come un adolescente! Cosa non ti è chiaro?! Ti ho detto che ti amo, non stavo scherzando. Non puoi mettere sulla bilancia quello che è stato il mio amore per Brian, con quello che provo per te.» Mark, sentendo che Jake non era più rigido, gli lasciò i polsi. Jake si girò verso di lui.
«Allora spiegamelo. Perché io riesco a percepire quanto amavi lui e non so se sono... io non so se sono alla sua altezza e...» Mark non lo lasciò finire, catturò le sue labbra, baciandolo fino a fargli male.
«Brian è stato un amore davvero grande ma, non so come sarebbe andata se ti avessi incontrato. Tu sei completamente diverso da lui, tu sei una calamita per me, non riesco a fare a meno di te, del tuo profumo, delle tue carezze, del tuo modo di essere. E ogni giorno questo cresce dentro di me. Ho bisogno di te, come un alcolizzato ha bisogno della sua bottiglia.» la sincerità di quelle parole, gli fece capire quanto si sentisse ancora insicuro. Lo amava anche lui e questo lo aveva esposto come mai nella vita.
«Voglio fare l'amore, ora.» Mark gli leccò il collo, succhiandolo poi poco sotto l'orecchio.
«Stasera però sei in punizione, perché non sei stato un bravo bimbo...» gli disse Mark, pregustando quello che gli avrebbe fatto di lì a poco.
«Tu...avevi già in mente qualcosa vero?» Mark lo trascinò in camera.
«Spogliati e stenditi sul letto.» Jake eseguì la sua richiesta e si stese sul letto, era già notevolmente eccitato, spogliarsi per lui lo faceva impazzire.
«Ti fidi di me?» gli chiese Mark con una cravatta a penzoloni tra le mani.
«Cosa vuoi fare?» gli rispose Jake eccitandosi ancora di più.
«Farti godere, ma... stasera a modo mio...» "o cazzo!", Jake capì che non gli avrebbe spiegato nulla di quello che era intenzionato a fare.
«Sì, mi fido di te.» Mark gli prese entrambi i polsi, legandoli con la cravatta. Poi prese una mascherina per il sonno e gliela calò sugli occhi.
«Voglio che ti lasci andare completamente a me, questa notte.» i sensi di Jake erano tutti all'erta. Sentì il fruscio della stoffa che scivolava sul corpo del suo amante. Nella sua mente il ricordo del suo corpo nudo. Mark prese il piccolo frustino con la piuma nera in cima. Percorse lentamente i contorni del viso del suo amante, e lentamente scese, per andare a stimolare prima i capezzoli poi il ventre. Jake sentiva il respiro di Mark che diventava sempre più pesante, percepiva la piuma che percorreva il suo corpo, eccitandolo fino all'inverosimile.
«Divarica bene le gambe.» Mark si portò di fronte a lui e, a distanza, lo toccò lentamente sui testicoli, piccoli tocchi che lo facevano sobbalzare. Continuò accarezzando il suo sesso duro, facendo scivolare l'asta del frustino sulla punta. Il freddo del manico del frustino lo eccitò ancora di più, facendo uscire piccole gocce di pre sperma.
«Non puoi venire.» la voce roca del suo amante lo fece fremere. La piuma del frustino scese sul perineo, per poi soffermarsi sulla sua apertura, che palpitava ad ogni tocco.
«Mark... ti prego...» Mark sorrise, era bellissimo vederlo così, fremente di desiderio.
«Girati e mettiti carponi.» Jake si girò, mettendo le mani legate davanti a sé e alzando il sedere. Il gel freddo, spremuto dall'alto, gocciolò in mezzo alle sue natiche.
«Non ti ho ancora punito però...» Jake gemette. Le mani di Mark si posarono sulle sue natiche accarezzandole.
«Mark... cazzo...» la sculacciata arrivò inaspettata, come le due dita che, immediatamente dopo, s'infilarono dentro il suo buco, e mancò veramente un soffio che venisse. Jake s'inarcò spingendosi contro le sue dita. Un'altra sculacciata sulla natica opposta lo fece urlare, come il terzo dito che venne infilato fino in fondo.
«Mi vuoi o devo continuare?» Jake non capiva più nulla, era al limite come mai gli era successo.
«Fottimi Mark, ti prego!» Mark si posizionò dietro di lui e lo accontentò più che volentieri, mettendolo dentro con un solo colpo fino in fondo. Senza attendere che si abituasse, si spinse dentro di lui con violente stoccate, Jake venne quasi immediatamente urlando il suo nome.
«Dillo Jake, ora!» gli urlò Mark quasi al limite. Jake si tolse la mascherina girando la testa.
«Ti amo Mark!» Mark venne dentro di lui lanciando un urlo gutturale, per poi accasciarsi.
«Ti amo Jake.» era tutto perfetto.
Il sonno colse Jake, inaspettatamente, pochi minuti dopo che avevano finito, stretto tra le braccia di Mark, era scivolato in un sonno ristoratore. La sveglia del telefono di Mark suonò per parecchio tempo, prima che lui la spegnesse infastidito. Cercò con la mano il corpo che doveva essere steso al suo fianco, ma trovò solo le lenzuola fredde. Spalancò gli occhi, sentì rumore di stoviglie provenire dalla cucina e sorrise, era ancora lì. Lo raggiunse in cucina e, per un po' rimase ad osservarlo mentre, con la grazia di un elefante, tentava di preparare la colazione.
«Guarda che lo so che sei sulla porta che mi stai guardando.» Jake appoggiò sul tavolo della cucina quelli che avrebbero dovuto essere French toast, ma che, come sempre, erano troppo cotti.
«Amore, dobbiamo parlare di questa cosa. Bisogna che ti regali un timer.» Jake lo guardò con una faccina triste.
«Dammi tempo e vedrai!» gli rispose, poco convinto lui stesso di ciò che diceva.
«Sei in ambulatorio tutto il giorno?» Jake annuì, molto impegnato a divorare il suo toast.
«Sì, verso sera verrà anche Loran a recuperare la registrazione.» Mark si rabbuiò.
«Che c'è?!» gli chiese Jake notando il suo cambio d'umore.
«Loran...non penso che si sia arreso al fatto di averti perso.» Jake gli sorrise sfoggiando entrambe le sue fossette.
«È vero, non si è arreso. E sicuramente dovremo chiarirci ancora, visto che me lo sta chiedendo costantemente, ma per me le cose sono chiarissime, non tornerei con lui neppure se fosse l'ultimo uomo rimasto sulla terra e, sono innamorato perso di un altro perciò...» Mark gli sorrise a sua volta, sentirlo aprirsi con lui con quella naturalezza era bellissimo.
«Attento che ad accendermi ci metto poco...» Jake gli puntò l'indice contro.
«Dopo il trattamento di ieri sera, ci vorrà qualche giorno, prima che il tuo fratellino possa infilarsi di nuovo nelle mie mutande.» Mark scoppiò a ridere «piuttosto ricordati che ti aspetto per le vaccinazioni di Minù, ti ho tenuto come ultimo appuntamento, come ti avevo detto, per le 18,30, ce la fai?» Mark annuì.
La giornata di lavoro di entrambi filò liscia come l'olio, Svetlana gli inviò una mail con la quale gli forniva le coordinate di un hotel di terz'ordine, il numero di una stanza e il nome da fornire alla reception. L'incontro era per le 22 di quel sabato, la stampò, l'avrebbe fatta vedere appena arrivato in ambulatorio a Jake.
Loran si presentò in ambulatorio poco prima delle diciotto.
«Un minuto e sono da te.» era l'unica persona nella sala d'aspetto, perciò non si preoccupò di trattarlo come un cliente. Finì di sistemare l'ambulatorio e lo fece entrare.
«Tieni, questa è la registrazione. Siamo in attesa di ricevere notizie da Svetlana per l'appuntamento di Nox. Tieniti pronto.» Loran prese la busta con la registrazione.
«Jake. Davvero non possiamo parlare ora?» Jake sospirò.
«A parte il fatto che tra pochi minuti arriverà Mark con la sua gatta da vaccinare, no, non possiamo parlare ora. E comunque continuo a dire che non c'è più nulla di cui parlare, rassegnati.» in quel momento entrò Mark che bussò alla porta.
«Vedi...» disse Jake avvicinandosi alla porta per aprirla.
«Mi dispiace, non mi rassegno.» gli rispose Loran avvicinandosi più del dovuto. Jake aprì la porta allontanandosi da lui alla velocità della luce.
«Hey, accomodati, Loran se ne stava andando.» Mark entrò, appoggiando il trasportino con Minù sul lettino.
«Loran, forse è meglio se resti un attimo. Ho qui la mail che ho ricevuto oggi da Svetlana.» disse loro tirando fuori dalla tasca la stampa che aveva fatto. Loran e Jake la lessero.
«Nox ci sarà, preparati per recitare di nuovo dopo questo incontro, stiamo per entrare nella fase più delicata, grazie Mark.» Jake gli lanciò uno sguardo scocciato, che Loran recepì eclissandosi.
Uscì dall'ambulatorio e attraversò la strada, la sua macchina era parcheggiata poco lontano, non notò l'auto che, poco lontano dalla sua, accese il motore appena lui si mise in strada.
Copyright © 2020 Veronica Reburn
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Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.
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ANOTHER DOOR
RomanceUn poliziotto sotto copertura, un operatore finanziario scaltro l'amore, l'azione e un pizzico di BDSM SCENE ESPLICITE ESCUSIVAMENTE PER UN PUBBLICO ADULTO