2. Nero in divisa

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La sveglia suonò molto presto quella mattina. Le prime luci dell'alba si stavano facendo largo all'orizzonte mentre una leggera brezza le sfiorava i lunghi capelli castani facendoglieli svolazzare qua e là. Quell'aria così calma si scontrava con l'agitazione che aveva dentro. Sapeva già che quella che stava per cominciare, sarebbe stata una lunga giornata. Sapeva quando fosse uscita di casa ma non sapeva quando ci sarebbe tornata, non sapeva dove avrebbe passato la notte successiva e non sapeva nemmeno più se quello che stesse facendo fosse realmente una sua scelta oppure era solamente un modo per evadere dalla sua monotonia. Quelle che fino al giorno prima le sembravano certezze inconfutabili in quel momento apparivano più come delle idee fragili ed esili.
Esili come le sue gambe, per quell'occasione aveva scelto di indossare quel paio di jeans neri che tanto le piacevano, che tanto le stavano bene addosso.
Quelle due slabbrature di tessuto facevano intravedere quel tanto che bastava, le mettevano in risalto quel suo bel culetto piccolo ma tondo, sodo e ben proporzionato, in armonia con il resto.
Un top stretto nero accompagnava le sue forme e le lasciava scoperta la schiena, con una pelle così liscia e perfetta che non si vedeva spesso. Al collo portava un sottile collarino in pizzo nero che contrastava con la sua carnagione chiara ma che allo stesso tempo donava al suo collo una incontrollabile malizia. Quel collo da baciare, da mordere, da succhiare.
Zaino in spalla, un panino, una borraccia e degli auricolari che si perdevano nei suoi bellissimi capelli mossi, che, con il sorgere del sole, emanavano riflessi ramati quasi rossi.
Il rosso, un colore che l'avrebbe accompagnata per tutto il giorno, il rosso delle bandiere, il rosso delle sue guance colorate dal sole durante tutto il tragitto del corteo, il rosso del rossetto che aveva messo poco prima sulle sue labbra morbide e carnose, il rosso del sangue che avrebbe visto davanti ai suoi occhi.
Iniziava a fare caldo, dopotutto era giugno inoltrato. Arrivò finalmente al punto di incontro che era stato stabilito nell'assemblea pochi giorni prima. Tra tante compagne e tanti compagni vide i suoi amici di sempre intenti a raccogliere tutto il necessario. Nella sua cerchia c'era anche quello stronzo, poche settimane prima le aveva promesso che per lei, lui ci sarebbe sempre stato, le aveva detto che non voleva nient'altro che lei nella sua vita, peccato che qualche sera dopo lo aveva intravisto nel sottoscala del magazzino occupato, ad una serata organizzata dal collettivo, mentre si stava facendo fare un bel pompino da quella troia della sua compagna di corso dell'università. Effettivamente lei era solo poco più che una ragazzina di 16 anni compiuti e l'altra invece una donna a tutti gli effetti. Doveva aspettarselo. Quello stronzo le aveva mentito, parole tanto dolci e crudeli allo stesso tempo, con quelle le aveva strappato via la verginità e dopo quel momento era come se fosse diventato un'altra persona. Mentre la scopava, la guardava negli occhi e la chiamava "amore" o "piccola", quando ebbe finito si rinfilò il cazzo nei pantaloni e la lasciò lì sul suo letto, ancora con il suo sperma caldo che le aveva lasciato sul corpo, sulle tette, sulla pancia... poi se ne andò con un irriconoscibile "ci vediamo in giro", senza degnarla nemmeno di un misero sguardo.
Non l'aveva immaginata così la sua prima volta, pensava continuamente che non avrebbe dovuto fidarsi delle parole di quel ragazzo più grande di lei appena conosciuto e non avrebbe proprio dovuto concedersi così facilmente. Era stata usata, "mi ha scopato come si fa con una puttana, ero solo la sua stupida voglia passeggera" pensava. Se c'era una cosa che non le andava giù era il fatto che fu solamente una sveltina, lei aveva voglia di sesso intenso, invece quello che le aveva fatto provare era lontanissimo da quello che tanto le aveva promesso prima.
A lei piacevano i preliminari, le piaceva sentire la lingua che le passava sulla figa, le piaceva sentire il cazzo in bocca e vedere che faccia facevano i ragazzi quando con la sua di lingua girava intorno alla loro cappelle così umide, le piaceva sperimentare cose nuove, le piaceva usare l'immaginazione. Tutto ciò non ci fu, ci fu solo un coglione che poteva durare al massimo 5 minuti e che non sapeva nemmeno lontanamente come far provare piacere ad una donna.
Ma stava cercando di non pensarci ora, non poteva permettere di farsi rovinare un altro singolo giorno da quel pezzo di merda.
Sentì i responsabili dell'organizzazione richiamare all'ordine, intorno a lei vide tante facce sconosciute, tutti sapevano cosa fare e in quel momento si sentì un po' a disagio, per fortuna avvertì la sua amica che la tirò per lo zaino e le indico da che parte doveva andare, le affidarono dei volantini e si perse nella grande onda.
Il sole era ormai alto nel cielo, l'aria era piena del gas dei fumogeni, c'era il sole ma sembrava esserci anche la nebbia, per qualche istante si sentì parte di un qualcosa di più grande di lei. Era una sensazione strana, che forse non aveva mai provato ma si sentiva bene. Man mano che si avvicinavano alla piazza centrale iniziò a captare una certa agitazione, si era creato uno specie di passa parola ma lei non riusciva a capire cosa stesse succedendo: alcuni li vedeva preoccupati, altri li vedeva esaltati, altri ancora stavano iniziando a defilarsi. Dopo pochi minuti poche parole volanti arrivarono alle sue orecchie: "infiltrati", "cariche", "scontri", iniziò a capire.
Alzo lo sguardo da terra e notò che ormai al centro erano rimasti in pochi, e stranamente i pochi rimasti erano tutti vestiti di nero, come lei.
Successe tutto in pochissimi istanti, i suoi amici erano spariti, i compagni del circolo completamente persi. L'aria iniziò a diventare irrespirabile, il fumo dei fumogeni venne sostituito da quello dei lacrimogeni, il cuore le iniziò a battere forte, la vista iniziò ad appannarsi sempre di più e quasi per istinto si coprì il viso con un coprispalle di cotone, sempre nero. In pochissimo tempo si trovò nel bel mezzo di una guerriglia, davanti a lei un esercito di divise corazzate, dietro di lei un ammasso disordinato di figure intente lanciare oggetti verso l'altro schieramento. Cercò di scappare, tutte le strade le sembrarono sbarrate, di colpo una mano l'afferrò ma stavolta non era quella della sua amica e così si ritrovò braccata gambe e braccia da uomini grossi il triplo di lei. D'istinto cercò di divincolarsi, ma ben presto le furono di nuovo addosso. L'ultima cosa che vide fu un grosso casco a pochi centimetri dal suo viso poi tutti i suoi pensieri furono svaniti e lentamente le si chiusero gli occhi.
Quando si risvegliò credette di trovarsi nella sua casetta, pian piano i ricordi però iniziarono a riaffiorare. Forse aveva battuto la testa, un piccolo graffio sul labbro superiore le faceva sentire il sapore metallico del sangue in bocca, riaprì completamente gli occhi e si accorse di avere i polsi bloccati da delle manette.
Percepì una presenza dietro di lei, si sentì toccare la spalla. Un uomo in divisa le chiese se stesse bene, lei rispose di sì, lo stesso uomo andò a sedersi di fronte a lei. Non poteva riconoscerlo, quando lo aveva visto per la prima volta il casco gli copriva il viso totalmente, ma quella mano tesa verso il suo braccio le ricordava quella presa di qualche ora prima. Così capì: era lo stesso uomo in divisa che l'aveva afferrata per strada. Certo, senza il casco era tutta un'altra storia. Si accorse che in realtà non era un uomo, ma era un ragazzo che portava al massimo 25 anni. Mai avrebbe immaginato che sotto quel casco si nascondesse un viso simile: un paio di occhi azzurri, una leggera barba incolta e quello strano modo di sorridere gli ricordavano in qualche modo lo stronzo che avrebbe voluto dimenticare.
Le uniche parole che uscirono dalla sua bocca furono : <non è stata colpa mia, vorrei solo tornarmene a casa>. Lui si avvicinò a lei, quasi dolcemente e le disse
<Lo so. Ma prima devo accertarmi di alcune cose>.
Il suo cuore riprese a battere di nuovo, la sua espressione cambiò e una lacrima scese sulla sua guancia. Sentì la mano di lui accarezzarla sul viso, le sue dita erano andate alla ricerca di quella lacrima per poterla asciugare e subito dopo le tolse le manette. <Non devi preoccuparti, voglio solamente capire cosa ci facevi lì in mezzo> le disse il ragazzo.
Gli rispose che era la prima volta che si trovava in una situazione simile e che mai avrebbe voluto che i suoi genitori scoprissero dov'era finita.
<TI PREGO, LASCIAMI ANDARE. COSA VUOI DA ME? IO NON HO FATTO NIENTE> disse lei con la voce tremolante mentre urlava.
Come un avvolgente e caldo vento estivo sentì le braccia dell'uomo che la stringevano, si accorse che la stava abbracciando. Mai si sarebbe aspettata un gesto simile, ma per quanto inaspettato quel gesto la tranquillizzo quel tanto che bastava per fargli asciugare le lacrime dagli occhi. Le sue braccia erano dure, calde, forti, quella sensazione stava diventando piacevole. Aveva il viso appoggiato al suo petto muscoloso e così senza pensarci le venne naturale di rispondere a quell'abbraccio e le sue braccia andarono a stringersi intorno al collo di lui. Staccò la testa e vide che lui la stava fissando, fu un attimo e si ritrovò come le sue mani che la cinsero ai fianchi.
Quello che era nato come un semplice abbraccio si era trasformato in qualcos'altro.
Lui la guardò e le disse : <In realtà l'unico motivo per cui tu sei qui sono quei 2 strappi sulla parte posteriore dei tuoi jeans>. Lei non seppe cosa rispondere, il cuore le andò in gola. Era spaventata ma quegli occhi che non si staccavano mai da lei in un certo senso quasi l'attiravano. Aveva timore ma non riusciva a smettere di guardarlo. Un secondo dopo sentì le sue mani scivolare ancora più in basso, si erano posizionate esattamente all'altezza in cui la carne era esposta e il tessuto non c'era. Le sue mani le stavano stringendo il culo sempre più forte, avvertì un brivido
<Proprio come me lo ero immaginato, morbido e sodo> le disse avvicinandosi sempre di piú.
I due ormai erano separati da pochi centimetri, le labbra di lui si schiusero e si spostarono vicino a uno dei suoi lobi.
<Puoi uscire da qui quando vuoi, sei libera. Ma se vuoi puoi restare. Sono certo non te ne pentirai> le sussurrò.
Era confusa, la paura aveva lasciato spazio alla curiosità e in lei sapeva esattamente come sarebbe andata a finire se avesse deciso di restare in quella stanza. Il tempo per pensare si esaurì e lei non si mosse. Sentì un rumore metallico, vide la cintura di lui scivolare via dai pantaloni, lui la strinse forte e lei avvertì il suo cazzo indurirsi sempre di più. La sua mano andò proprio lì, si accorse che quello che aveva tra le mani era esattamente come lo aveva sempre immaginato, appena la sua mano entrò nelle mutande, lui la prese per il collo e iniziò a baciarla. Le loro lingue erano un turbinio di eccitazione, senti che le sue mutandine stavano iniziando a bagnarsi quando arrivarono le dita di lui che la accarezzarono la figa e poi la penetrarono: era stretta, calda e umida.
I suoi jeans ormai erano alle ginocchia, lui si fermò la prese per le braccia, la girò e con le manette le blocco i polsi, stavolta dietro la schiena. La spinse con la pancia sul tavolo e inizio a laccargliela da dietro, con le dita che le arrivavano sempre più in giù e andavano sempre più veloci. Era esattamente così che aveva sempre fantasticato, le sembrava di sognare.
Si sentiva in paradiso, voleva che lui non la smettesse mai di leccare la sua fighetta stretta e bagnata, ma lui si fermò: di forza la rigirò e le ordinò di mettersi in ginocchio.
Lei ubbidì senza fiatare, con le mani ancora legate sentì lui che gli accarezzava i capelli e glieli portava indietro, le legò i capelli facendole una coda. Lei non aveva il controllo su nulla e questa cosa la eccitava da morire. Non distoglieva un attimo lo sguardo dal cazzo di lui, lo bramava, era desiderosa di poterlo sentire dentro di lei, lui lo tirò fuori e il suo respiro si bloccò per un istante. Solo a guardarlo era diventata un fiume di piacere, le vene rigonfie sull'asta pulsavano ad ogni suo battito, sembrava che stesse per esplodere da un momento all'altro. La sua cappella grande e liscia le faceva ribollire tutto dentro. Lui abbassò lo sguardo la guardò
< Guardami!> le impose.
Aveva gli occhi rivolti verso i suoi, come una cagnetta guarda il suo padrone, dal basso all'alto. Lui allungò una mano verso la sua bocca, le aprì le labbra e con l'altra spinse la testa verso il suo grosso cazzo. Lei lo sentì entrare in bocca e cerco di muovere quanto più possibile la sua lingua desiderosa di farlo godere. Lui lo tirò fuori e la vide che con le labbra tentava di riavvicinarsi, aspettò un istante e glielo infilò in bocca ancora con più violenza.
Dopo una bella leccata le disse di fermarsi e di tirare fuori la lingua. Lei obbedì: lui gli appoggiò le palle sulla lingua e iniziò a farsi una sega mentre le palle gli venivano leccate senza sosta.
Quello che era iniziato come un incubo si era tramutato in pochissimo tempo in un paradiso di piacere. Questo era il sesso che sognava, questo era il sesso che cercava, voleva essere guidata ed educata, punita se necessario, ora però non le bastava più nemmeno tutto ciò, voleva solo una cosa: voleva essere scopata come nessuno aveva ancora fatto.
Presa dalla bramosia si lanciò in un impeto di volontà, mentre glielo stava ancora sbattendo in bocca cercò di alzarsi ma lui subito la fermò. La prese per il collo, l'unico punto in cui conservava ancora un indumento - il suo collarino di pizzo- gli era stato espressamente imposto di tenerlo.
<Allora non hai capito proprio un cazzo. Qui comando io. La vedi questa divisa? Le regole le faccio io> disse con lui con fare autoritario. Il suo cazzo era totalmente ricoperto dalla saliva di lei che gli colava dalle palle.
<Sali sopra di me e muovi quel culo prima che te lo sfondi io> le disse slegandogli i polsi e sdraiandosi a terra.
Non aspettava altro, la sua figa ormai era diventata un fiume in piena. Si girò, allargò le gambe e si mise con le spalle rivolte a lui, gli prese il suo bel cazzo e se lo infilò dentro. Con il corpo scese fino a giù, in quel momento toccò il cielo con un dito. I suoi movimenti erano lenti e profondi, voleva sentire ogni centimetro del suo cazzo che le entrava dentro. Dopo un po' lui la prese per i fianchi e iniziò a schiaffeggiarla ogni volta che lei scendeva verso di lui, poi le afferrò il culo e iniziò a muoversi anche lui, sempre più forte, sempre più deciso. Con un dito le allargava leggermente l'ano e glielo massaggiava, con l'altra mano continuò a schiaffeggiarla fino a lasciarle i segni delle dita. Lei non smetteva di dimenarsi.
L'aria intorno a loro odorava di sesso e di piacere. Quando lui si accorse che la ragazzina stava imparando come si cavalca un cazzo la fermò e le ordinò di mettersi a 4 zampe inarcando la schiena con il muso a terra: voleva dominarla. Una volta dietro di lei si fermò per un attimo a guardare quel suo culetto ancora vergine: questo lo faceva impazzire. Si sputò leggermente sulla mano, la passò sulla sua cappella, allargò le gambe e iniziò a scoparla nel culo. Lei urlò: un dolore che non aveva mai provato perché non le faceva poi così male, era più il piacere che la stava facendo gemere. Lui continuò arrivando sempre più in fondo fino a quando non le spruzzo dentro un'abbondante quantità di sperma caldo che era andato a riempire totalmente il suo culo. Lei nel frattempo aveva perso il conto di tutte le volte che quel cazzo l'aveva fatta venire, non aveva più la forza nemmeno di parlare. Con il trucco totalmente sbavato si girò e vide lui in piedi davanti a lei. Il seme era talmente abbondante che cadde anche sul pavimento, lui la guardò e le fece cenno con la testa:
<Pulisci tutto>
Lei subito capì, si avvicinò a gattoni ai suoi piedi e iniziò a leccare da terra ciò che era rimasto, si rimise in ginocchio e ripulì anche il suo cazzo. Era ancora talmente eccitata che avrebbe succhiato quel cazzo per ore ed ore. Quando ebbe finito il ragazzo stava ritornando l'uomo in divisa che era quando l'aveva visto per la prima volta e mentre si stava riabbottonando la camicia le disse che aveva da fare ancora un'ultima cosa per lui
<Devi lasciare qui le tue mutandine, ora appartengono a me così come lo sei stata tu>
Lei che le aveva appena rimesse se le sfilò e gliele diede, lui le afferrò quasi con avidità le annusò dirigendosi verso un armadietto, quando lo aprì scoprì che lei era stata solo una delle tante ragazzine che erano state punite ed educate da lui. Questo non le importava, non le importava più nulla, la sua mente era ancora anestetizzata da quella serie di orgasmi multipli provati in precedenza. Pagato il pegno, si diresse verso l'uscita:
<Posso andare?> gli chiese con voce flebile.
<Hai sempre avuto la possibilità di andare via, hai scelto tu di rimanere qui quindi non chiedermi se ora puoi andare> le rispose.
<Allora é meglio che vada. Dovrò farmi trovare se non voglio dare spiegazioni> ribattè lei, così si voltò e uscì quasi correndo dalla stanza.
Era stata in prigione, era diventata una prigioniera, ma non dell'uomo in divisa, lei era prigioniera solo delle sue perversioni e dei suoi desideri. In quel momento capì che non sarebbe mai più stata libera.

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