1 - In onore di Loki

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Galassia, Asgard.

Sdraiato sul suo enorme letto, fissava il soffitto a cassettoni, adornato da rifiniture d'oro. La luce entrava dalle finestre arcuate e illuminava tutta la sua stanza.

Era sveglio già da qualche ora, ma non aveva ancora trovato la voglia di alzarsi. Se ne stava lì, a pensare e ripensare a tutto ciò che gli era accaduto.

Ricordi che niente e nessuno avrebbero mai potuto togliergli dalla testa. Ricordi di bugie, scelte sbagliate, conseguenze da aggirare e sotterfugi da attuare.

Il giorno prima aveva ascoltato le parole di suo fratello. Il suo voler andare via da Asgard per un po', per cercare possibili minacce e per proteggere le popolazioni.

Lo aveva ascoltato, fingendosi Odino, mentre diceva di voler rinunciare al trono, mentre gli consegnava quel regno di sua spontanea volontà. E lo aveva visto andarsene via, lontano, diretto chissà dove.

Poteva dire di aver vinto?

In un certo senso si sentiva vincitore. Aveva il suo trono, tutti i tesori di Asgard, Thor era lontano e nessuno sarebbe andato a dargli fastidio per molto tempo.

Non sapeva se questo bastasse per tamponare le sue ferite emotive, per fargli dimenticare la morte di sua madre, l'unica persona a cui avesse mai voluto bene.

Ogni tanto gli capitava di pensarci ancora, a lei, alla sua infanzia, al modo amorevole con cui gli aveva insegnato a controllare i suoi poteri.

Aveva sempre cercato di mascherare il suo dolore e ci era riuscito, convincendo quasi anche se stesso. Dopotutto, era pur sempre il Dio degli Inganni.

Un Dio che quel giorno avrebbe avuto parecchio di cui occuparsi. Aveva un regno da portare avanti, una città da ristrutturare a sua immagine e somiglianza e tante storie da raccontare su come fosse morto in onore del suo popolo.

Insomma, altre bugie da mascherare sotto placche d'oro e generosi banchetti. Almeno in questo sarebbe stato esattamente come Odino.

Si trasformò, prendendo le sembianze di quest'ultimo. Non si sentiva poi a suo agio in quel corpo. Nel corpo di colui che si era spacciato come suo padre. Di chi, più di tutti, gli aveva mentito. Ma non poteva fare altrimenti.

Si accarezzò la barba curata, bianca come la neve, fissando la sua immagine riflessa nello specchio. La benda d'orata gli copriva l'occhio e delle profonde rughe gli solcavano la fronte.

Già gli mancavano le sue sembianze e i suoi lucenti capelli neri, che non avevano nulla a che vedere con quella massa aggrovigliata bianca e grigia.

E poi quei vestiti, di quei colori così banali, esattamente nello stile di Odino. Scosse la testa, ricordandosi del fatto che quello era solo un piccolo prezzo da pagare, rispetto a ciò che aveva guadagnato e conquistato.

Uscì dalla sua camera, lasciando che due ancelle entrassero e iniziassero a sistemare il letto. Camminò, con le mani dietro la schiena, lungo quel corridoio ampio e adornato da busti di statue.

Era diretto nella stanza del trono, pronto a incontrare i suoi sudditi e dar loro ordini sui nuovi lavori che avrebbero avuto luogo. Rivolse un sorriso alle due guardie, vestite di quelle armature argentate e vistose, posizionate fuori dal portone imponente.

Due ante placcate in oro, decorate con disegni geometrici in rilievo, si ergevano davanti ai suoi occhi. Alte e possenti, come quella città gloriosa.

Le due guardie ricambiarono il suo sguardo, poggiando i palmi delle mani su quella porta e aprendola. Ai suoi occhi si rivelò la sala del trono, ampia e regale. Tutto luccicava sotto il tocco delicato della luce. Il pavimento era liscio e perfettamente lucidato, quasi ci si sarebbe potuti specchiare.

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