CAPITOLO 10: Wilde Dschungel

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La nebbiolina perenne in questo luogo, verdeggiante, umido e paludoso, che si sollevava qua e là, come colonne di fumo, in una pentola con la zuppa, nascondeva ulteriormente, le insidie, già mimetizzate nella folta vegetazione e nascoste tra la boscaglia, che cresceva incontrollata lungo il percorso, segnato con uno scarabocchio di macchie di un verde spento, sulle mappe, in dotazione. La puzza di decomposizione si sollevava dagli acquitrini infestati dai caimani, nel periodo delle grandi alluvioni e le zanzare fameliche, banchettavano indisturbate infilandosi negli spazi delle tute da competizione. Avanzavano lenti, seguendo il sentiero impervio pieno di muschio e ciottoli, in quella foresta vergine incontaminata e lontana anni luce dalla civiltà, facendo un continuo zig zag, per evitare le lunghe liane, che scendevano come spesse corde dagli imponenti alberi secolari, ricoperti da muschi brillanti e che osservavano con mille occhi attenti e minacciosi di scimmie urlanti, che li seguivano lungo il loro viaggio, saltando da un ramo all'altro, guardandoli dall'alto verso il basso, ma senza timore. Il cielo perennemente grigio gli regalava continue piogge e strade piene di fango che si sollevava come cioccolato fuso e si incollava sulle visiere rendendo difficoltosa la vista e obbligandoli a proseguire senza. Un caos di suoni di uccelli tropicali e il gracidare stridulo di rane, accompagnavano, come un disco rotto, il basso borbottio dei motori che annaspavano sprofondando nei fanghi puzzolenti e non termali. Numerosi serpenti, strisciavano e penzolavano dai rami sopra le loro teste, mentre cercavano il ponte che gli avrebbe permesso di attraversare la gola, e raggiungere, una dopo l'altra, le x rosse, che rappresentavano i Pit Stop più vicini, dove li attendevano i commissari di gara con i rifornimenti, prima di concludere l'esperienza giungla, arrivando al checkpoint di Kobalthimmel, ad appena, 10 giorni dalla loro attuale posizione, ammesso che fosse giusta. Alexander si sentiva perso da molto, ormai. Le cartine erano inesatte e il groviglio di flora rendeva l'orientamento o la ricerca di punti di riferimento alquanto difficoltosa. Avevano perso un sacco di tempo prezioso.
"Stiamo girando in tondo Adler."
"Eppure deve essere qui, quel maledetto ponte!"
"Ma non c'è."
"Deve averlo spazzato via la piena."
"Fantastico! E ora come andiamo dall'altra parte?"
"Temo che dovremo guadare il fiume o improvvisare."
"Guadare il fiume nel periodo delle grandi alluvioni? Sei pazzo? E' un suicidio."
"Ne sono consapevole, ma non è che abbiamo molte alternative. In più il carburante e l'acqua scarseggiano."
"Mai che mi porti buone notizie tu. Per fortuna qui c'è un ruscello."
"Non ti consiglio di bere quell'acqua verde contaminata, Fräulein, se non vuoi stare male o addirittura prenderti il colera!"
"Grrr..." grugnì raschiando i denti.
Alexander si limitò a guardarla negli occhi. Il cipiglio con cui Adalia l'aveva incenerito con un solo sguardo, lo divertì. Dopo il suo svenimento nel bel mezzo dell'Autobahn, non avevano chiarito, lui non era pronto a condividere i suoi tormenti e lei gli aveva lasciato i suoi spazi, tuttavia l'intesa, la chimica e quello che provava per la ragazza si intensificavano giorno per giorno. Aveva provato a cacciare via quelle sensazioni, quei sentimenti confusi che gli annebbiavano la testa e gli facevano maledettamente male e bene contemporaneamente e lo terrorizzavano, ma ogni volta, i suoi occhi sinceri ed illusori, lo riportavano tra le sue braccia. Lei aveva sostenuto il suo sguardo, col broncio, incatenando quelle meraviglie oltremare, alle sue iridi disorientate. Il cuore, la testa, la vena del collo e pure le mani, pulsano di desiderio alla vista del suo labbro contratto in una smorfia severa, che si rilassò, quando il ragazzo avvicinò cauto, le sue labbra, a sfiorare quelle della fanciulla: arrabbiata com'era in quel momento, la probabilità di ricevere un pugno sul naso non era nemmeno così inimmaginabile. Era un bacio strano, ma non perchè sapeva di fango, ma perchè per la prima volta, gli sembrò che i veti cervellotici, che si era imposta Fräulein, fossero sprofondati nel terreno marcio. Erano le palpitazioni del suo cuore contro il suo petto, il rossore delle sue guance, il trasporto con cui ricambiava quel tocco, a ribadirlo. Un gioco casto di labbra, accompagnato da un gentile sfiorarsi di lingue che si accarezzavano lente ma con desiderio e trasporto, con innocenza e dolcezza, con quel qualcosa che era sempre mancato prima: l'amore.

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