29 • Il dolore trasparente

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Helena sollevò una mano, per sfiorare in punta di dita il raggio di luce smeraldino che filtrava dalla finestra

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Helena sollevò una mano, per sfiorare in punta di dita il raggio di luce smeraldino che filtrava dalla finestra. Era la sostanza che copriva i vetri a restituire quell'atmosfera silvestre, fatata, quasi la dimora dei Graham fosse stata costruita nel cuore di una foresta o sul fondale limaccioso di un lago.

Una volta varcata la soglia di Sala della Magnolia, le radiazioni non erano più un nemico da temere, ma un limite con cui era possibile convivere. Dopo ciò che aveva visto, dopo ciò che aveva passato, la gentilezza di quella tregua le sembrava quasi irreale.

Irreale, come una stanza piena di ritratti e un ragazzo in attesa, in bilico tra fame e desiderio. Aveva lasciato la porta socchiusa per lei, quella notte? Si era preoccupato o si era stretto nelle spalle, dicendosi che dei Selvatici non ci si poteva fidare?

La promessa infranta la feriva a ogni respiro, ma la verità era che, in cuor suo, non era mai riuscita a immaginare un finale diverso. Lei e Kain non potevano continuare a incontrarsi in segreto, non si sarebbero mai davvero conosciuti. Era stato un sogno, un'esperienza strappata alla vita di qualcun altro.

Chiuse il pugno, immaginando di afferrare il sole.

Si poteva provare nostalgia per qualcosa che avrebbe potuto essere?

«Vostra Altezza».

Helena trasalì. Un giovane vampiro attendeva sulla porta, un taccuino usurato tra le dita. Si ricordava di lui: l'aveva già notato la notte precedente, incuriosita dalla somiglianza con Gareth.

«Sono Edric Graham», si presentò, chinando il capo. «Mia madre mi ha detto che vorreste visitare Sala della Magnolia. Sono qui per farvi da guida».

Le parole erano cortesi, ma il tono era freddo, distaccato.

«Per favore, non essere così formale», rispose lei, impacciata. «Nessuno sa chi sono. Puoi chiamarmi Helena, come fanno tutti».

Edric sollevò lo sguardo; e come un riflesso su dell'acqua perturbata da un sasso, la somiglianza con Gareth parve mutare, distorcersi. Possedevano gli stessi lineamenti affilati, gli stessi capelli neri come onice; ma gli occhi di Edric rivelavano una natura diversa, come se non avessero mai conosciuto dolore o ferocia. Il colore, poi, era inusuale persino per un vampiro: né rossi né blu, erano i petali violetti dei fiori di zafferano.

«Sei una regina e lasci che ti chiamino per nome?».

«Preferisco che non si sappia di me».

Il vampiro sollevò un sopracciglio, trafitto da un piercing d'argento. «Non ho mai capito chi sceglie di livellarsi alla media», commentò. «Come se essere straordinari sia un peso, o una macchia da nascondere».

Helena s'irrigidì. «Per qualcuno lo è».

La risposta non parve piacergli, ma si strinse nelle spalle. «Come ti pare», replicò. «Vogliamo andare? La residenza è grande, e io vorrei tornare al mio lavoro».

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