«Buongiorno principessa».
Una voce scanzonata che sembrava prenderla in giro rimbombò nella sua testa. "Principessa" tuonò come l'eco di un fulmine nella valle prima di placarsi e darle sollievo. Ombre sfocate le si proiettavano davanti mentre i suoi occhi cercavano di rimettere a fuoco il mondo e l'orecchio interno continuava a mischiarle il sopra con il sotto come un bambino dispettoso che nasconde i giocattoli ai fratelli più piccoli.
«Resta seduta ancora un attimo» le bisbigliò all'orecchio l'ombra dalle sembianze maschili sorreggendola tra le braccia mentre la riadagiava sul pavimento di pietra sporco di sangue «meglio che recuperi le forze prima di muoverci. Se ci beccano gli addetti alle pulizie sarà meglio poter correre veloci».
Lei stessa si stupì della sua risata spontanea in risposta a quella stupida battuta così fuori luogo in questo scenario di violenza e morte.
«Gildrim, giusto? Dorkun Elhassia, al suo servizio» e simulò un goffo inchino.
Una persona totalmente diversa rispetto al viscido ubriacone che aveva ingannato la sera prima al Gufo storpio, pensò Gildrim riuscendo finalmente a mettere a fuoco il mondo circostante. Dorkun era inginocchiato di fronte a lei e le sorrideva con fare rassicurante e allo stesso tempo spavaldo.
Quello stesso porco che poche ore fa aveva cercato di portarsela a letto, allungando più volte le sue luride mani sul suo corpo e dando vita al tentativo di abbordaggio più squallido e viscido che Gildrim avesse mai visto. Ora era lì, lucido, sorridente, quasi paternalistico che cercava di farla sentire al sicuro.
«Come ti senti?»
E ci stava quasi riuscendo, il maiale.
Lo squadrò cercando di apparire più naturale possibile per non sembrare un compratore in cerca di imperfezioni per poter trattare il prezzo al ribasso. La folta barba scura non curata incrostata di sangue lo faceva apparire più vecchio di quanto i suoi occhi non dicessero, difficili da scorgere attraverso i lunghi capelli neri che gli coprivano il volto. Occhi vigili e complessi, pericolosi, che ben si accompagnavano alle storie celate dietro le numerose cicatrice che coprivano il suo corpo.
Le cicatrici, perché poteva vederle? Perché Dorkun era senza maglietta? Pensò Gildrim continuando a tenere gli occhi saldi su di lui. Si tastò con le mani ancora tremanti e notò che indossava un'anonima maglia beige ben più grande di quelle che era solita mettere.
Pure cavaliere.
«Ehilà, sei ancora con me?» chiese in tono canzonatorio agitandole la mano davanti agli occhi.
«Si, scusami. Ci sono. Ciao» balbettò cercando di tornare alle realtà accorgendosi di essere ancora molto debole dopo lo sforzo effettuato in precedenza «Gildrim Falaahs», e sfoggiò un sorriso così falso che si sarebbe presa a pugni da sola.
«Per quanto tempo ho perso i sensi?»
«Pochi minuti.» e le rivolse di nuovo quel dannato sorriso rassicurante «Lì vicino ti ho messo i pantaloni che appartenevano a quelle macabre opere d'arte qui dietro. Speriamo che almeno un paio ti vada bene. Purtroppo il resto del loro abbigliamento è inutilizzabile quindi spero tu non abbia i piedi troppo sensibili».
Fortunatamente ve ne erano della sua misura, un po' corti da lasciare scoperte le caviglie ma sufficientemente comodi una volta stretti i lacci in vita.
«Hai qualche idea su dove siamo e come siamo finiti qui?» chiese Gildrim mentre finiva di sistemarsi il nuovo capo d'abbigliamento.
«Il dove siamo è facilmente intuibile. Questi grandi massi turchese» disse sfiorando con i polpastrelli le pareti della stanza «venivano usati in tarda era Galenish dagli adepti di Dakerioh per edificare i loro templi e le gallerie usate per sfuggire alle persecuzioni. Ritenevano che il loro colore rappresentasse le due anime di Dakerioh, l'acqua che dona la vita e il verde della vita stessa» continuò con l'entusiasmo di un bambino.
«E questo come ci dice dove ci troviamo?»
«Non dove ci troviamo,» e sfoggiò un sorriso compiaciuto «ma dove potremmo essere con più probabilità. A quel tempo il culto di Dakerioh non era così diffuso come adesso. Inoltre prova a chiudere gli occhi e prestare orecchio, lo senti?»
Gildrim chiuse le palpebre e affinò gli altri sensi. Nel buio si fece strada un fruscio, lontano ma costante. Acqua, forse un fiume. Poi un urlo acuto e sofferente la fece sobbalzare.
«Cosa è stato?»
«Maledizione!» tuonò Dorkun quasi dispiaciuto che Gildrim avesse udito quel rumore «Ha interrotto la mia splendida narrazione. Dammi un secondo e arriveremo pure all'urlo straziante».
Gildrim restò interdetta davanti alla noncuranza mostrata dall'uomo. Non riusciva a decifrarlo. Non sapeva mai chi aveva di fronte, se fosse un alcolizzato, uno studioso, un cretino, un uomo sicuro di sé o un incosciente.
«Come stavo per dire prima di essere interrotto,» continuò come se non fosse accaduto niente «l'acqua che hai sentito scorrere è quella di un fiume. L'unico fiume abbastanza grande da poter essere udito presente nella zona in cui i dakeriti costruirono le loro prime gallerie sotterranee è il Remora. E gli unici insediamenti sul Remora che sappiamo avere chilometri di gallerie sotto al culo sono Phoebe ed Eli. Quindi con un po' di fortuna riusciremo pure a farci una birretta appena finita questa storia».
Era un idiota. Un idiota che sapeva il fatto suo, certo, ma pur sempre un idiota che ora la fissava come un illusionista che si aspetta l'applauso dopo aver fatto sparire un coniglio.
«Invece l'altro rumore?» chiese titubante.
«Giusto. Quasi me ne dimenticavo. Quanto ne sai di tombe dakerite della prima era?»
«Non molto in effetti. Che io sappia non ne sono mai state trovate di tombe della prima era.»
«Molto bene!» esclamò con un sorriso a trentadue denti «Allora prendi una spada da quegli ammassi di carne, stammi incollata alla chiappe e se ti dico di correre voglio vederti filare come una lepre inseguita da cani affamati».
«Cosa? Ma che risposta sarebbe?» urlò sentendosi presa in giro.
«Gildrim,» e per la prima volta si fece serio «se saremo fortunati non scoprirai mai a cosa apparteneva quel grido e se saremo molto fortunati ho preso un granchio enorme ed era solo un rumore amplificato dalle gallerie».
«E se non saremo fortunati?»
«Allora vorrò vedere quella fottuta lepre.»
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Sanasha, Le Cronache di Dorkun
FantasyDue regni in guerra, una terra in rovina e un antico potere, da tempo celato, che sta per essere risvegliato. In questo mondo, ancora bagnato dal sangue dei caduti, un uomo che ha perso tutto è forse l'unico a poter interrompere la serie di eventi c...