Lo ritrovarono così: a terra, mentre tutto sembrava essersi fermato attorno, senza più la sua mano destra. Vi erano ciocche di capelli attorno al corpo, qualche bottiglia piccola di liquore sparse qua e là e un orologio rotto sulla scrivania, accanto al computer che era illuminato di blu inviando codici di errori come "_stabilisci_contatto_".
Non c'erano tracce di sangue ed eppure la mano era stata mutilata. Nessuna lettera, nessuna elegia nei paraggi: era lui solo a terra nello spazio limitato della sua camera.
Il giorno del funerale, non si presentò nessuno; il prete disse una sola e semplice frase per chiudere il suffragio: "L'ha voluto lui."
Ma la mano, in quei giorni, non fu ritrovata.
Era morto dissanguato; ma non c'era sangue.
Era morto addolorato; ma non aveva sofferto.
Era morto da solo. Ed è un peccato. Perché una volta mi disse che "la solitudine è una brutta cosa. Il sentirsi vecchi, arrivati e senza futuro, fa ragionare soltanto sul perdere tempo". Ma, come disse il parroco, "l'ha voluto lui".
Mi piaceva il suo modo d'intendere la parola "toccare". Toccare i cuori delle persone, toccare i sentimenti, toccare lì dove nessuno può mai arrivare. Toccava sempre qualcosa dentro di me ogni volta che parlavamo. La sua vita non era stata che un semplice sfiorarsi l'un l'altro, un riscaldare le cose attorno a lui.
E ha scelto la via più facile. È bastato toccare se stesso per una volta e far sì che tutte quelle connessioni avute prima non erano sembrate che prove tangibili di un qualcosa che, paradossalmente, mi aveva toccato.
E la mano? La ricevetti accompagnata da una lettera insanguinata. Me ne liberai subito, perché grazie al contenuto di quel testo, capii che non aveva mai smesso di cercare il contatto con il prossimo.