PRIMO CAPITOLO

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   Era Gennaio e aveva nevicato fitto di notte. Al mattino tutta la rotondità della piazza Santa Maria degli Affranti era sotto uno spesso strato bianco. All'improvviso il portone del convento di suore, che torreggiava sull'enorme slargo come unica costruzione e intitolato anch'esso a Santa Maria degli Affranti, fu aperto ed emise una schiera di ragazze. Il silenzio ovattato si riempì di voci giovanili, che non vedevano l'ora di perdere il controllo delle corde vocali ed esprimersi liberamente.
Le ragazze erano collegiali, ospiti a pagamento delle suore, ma questo non le esimeva dall'adeguarsi allo stile di vita del convento, la cui prima regola per tutti coloro che vi abitavano, era di mantenere un tono di voce non elevato. In fondo alla piazza, presso una delle strade che portavano al centro, un camion in attesa di scaricare, coperto anch'esso di neve, spalancò una delle portiere e letteralmente espulse due uomini, due camionisti, certo con la bava alla bocca alla vista di tanta fresca gioventù femminile. La neve, che aveva ripreso a cadere, purtroppo non permetteva di essere proprio certi di questo particolare, ma su di esso c'era da giurarci.
Intanto sulla testa delle ragazze si era formato uno strato di ombrelli, due dei quali erano di un particolare modello di plastica trasparente con bordo rosso l'uno e verde l'altro.
Uno dei camionisti ancora più esterrefatto che alla vista delle ragazze sentenziò:
«Tutte le volde che vengo in Toscana trove una novida' !»

   Le ragazze sciamarono ognuna verso i loro istituti scolastici e qualcuna sicuramente verso il "Morri's bar", frequentatissimo dagli studenti che facevano "chiodo" .
Il ritorno delle collegiali all'istituto di residenza era più morigerato: gli entusiasmi del mattino si erano placati tra lezioni e interrogazioni e il pensiero del pomeriggio di studio, a cui dedicarsi sotto lo sguardo attento delle istitutrici non le riempiva certo di entusiasmo.
Una delle istitutrici era suor Franchina.
Le ragazze del gruppo affidato alla sua occhiuta sorveglianza erano particolarmente vivaci e intolleranti nei confronti delle regole imposte dall'Istituto.
Ma un modo per spezzare il pesante impegno di compiti e doveri, era rappresentato dalla sala di ricreazione, grande almeno la metà del piano seminterrato dell'Istituto e dedicata proprio a loro.
Quindi durante le ore di studio, le ragazze una per volta, per non dare nell'occhio di suor Franchina e cogliendo il momento in cui detto occhio da vigile si faceva sonnacchioso,
si dileguavano dall'aula e saltando a due a due i gradini della scala, che portava nel seminterrato,
si rifugiavano nella sala di ricreazione per fumare, chiacchierare e litigare.
La sala era arredata con divanetti di vimini e tavoli provvisti di sedie. La parete di fronte alla porta era occupata da un mobile di noce alto fino al soffitto e lungo quanto la parete stessa. Era un'imponente libreria carica di libri nella parte superiore composta da mensole e chiusa nella parte inferiore da ante scorrevoli.
Tra i divanetti c'erano dei tavolini d'appoggio e su uno di essi perfino un mangiadischi e dei dischi.
Questo luogo di chiacchiere spensierate, interdetto alle collegiali durante le sessioni di studio, poteva essere frequentato dopo cena, che iniziava alle sette.

   Tra il sette e il nove gennaio le collegiali erano già tornate tutte dalle vacanze natalizie trascorse presso le loro famiglie.
La madre superiora dell'Istituto, suor Tarcisia, sebbene avesse un tono dell'umore volto spesso verso il basso, pensò di prolungare il clima gioioso del Natale con una festicciola. Decise allora di stabilirne la data e la sua preferenza cadde sulla domenica dieci gennaio, che era la prima dopo l'Epifania. Dopo aver esaminato la sua idea da vari punti di vista, chiamo' con l'interfono la segretaria, suor Maria Elisabetta, che lavorava nella stanza accanto,
le comunico' il suo desiderio e che facesse venire suor Leonilde, la regina del vitto dell'Istituto.
L'intenzione della madre superiora era di organizzare una cena diversa dalle solite a base di minestrina e stracchino, perciò era necessario il parere di suor Leonilde. Quindi appena tutt'e tre le suore si riunirono fu deciso il menù: crostini di fegatini come antipasto, seguito da risotto toscano, frittata affogata e la "monaca" un antico e squisito dolce con le noci.
Suor Leonilde però fece rispettosamente notare alla superiora, che forse la data del dieci gennaio non era opportuna, non tanto per organizzare la cena,
ma, insinuò, per preparare un eventuale spettacolo che avrebbe potuto precederla. Perciò forse sarebbe stato opportuno spostare la festa alla prima domenica di febbraio per farla coincidere con il primo giorno di Carnevale e per finire disse:
«Madre, ricorda l'assessore alla cultura, che abbiamo invitato per il carnevale dell'anno scorso?»
E con tono nostalgico aggiunse:
«Gli piacquero tanto le mie "chiacchiere".»
« Il dottor Ghezzi, lo ricordo. È stato generoso con l'Istituto.» Rispose la madre superiora.
«In verità, avevo pensato a una festa tra noi, ma sì, mi pare un'ottima idea rinnovare la conoscenza con l'assessore.
Ah! Penso che dovremo coinvolgere in questo progetto anche suor Orsola.»
«Sì, madre, ma perché? Se posso chiedere.»
Disse suor Maria Elisabetta.
«Perché pensavo allo spettacolo, che dovrà precedere la cena.»
«Sì, madre, ma a quale proposito?»
« Ecco, che ne dice, suor Maria Elisabetta e anche lei suor Leonilde di una rappresentazione teatrale sul Natale, che è appena passato?»
«Mi sembra un'ottima idea.
Ha qualcosa in mente?» Approvò suor Maria Elisabetta.
«Le opere teatrali sono divise in atti. Se non ricordo male gli atti possono arrivare anche a cinque. Tra gli atti gli ospiti vorranno sgranchirsi le gambe. Si alzeranno dunque e non possiamo abbandonarli a loro stessi. Perciò dopo il primo atto, sarebbe opportuno invitarli una prima volta nel refettorio e offrire loro un antipasto.
Che ne pensate?»
«Non c'è dubbio che sarebbe molto gradito.»
Osservò suor Leonilde.
«Cercheremo di scegliere un'opera che non sia tanto lunga, ma dobbiamo anche prevedere il caso, che la rappresentazione arrivi a cinque atti e quindi tra il quarto e il quinto atto ci deve essere una qualche forma di ristoro.
E a questo punto interverrà suor Orsola: porteremmo gli ospiti in giardino e siccome fa ancora freddo, potremmo offrire loro una bevanda calda.»
«Un ponce, sì, un ponce sarebbero perfetto!»
Fu suor Leonilde a fare la proposta, subito condivisa dalla madre superiora e da suor Maria Elisabetta.
«Allora è deciso! Suor Leonilde, per cortesia, vada a chiamare suor Orsola e le dica di venire qui. Le dica anche che voglio parlare con l'aiuto giardiniere,  con l'uomo di fatica e il tuttofare.
Dovrò stabilire con loro come e dove realizzare il palcoscenico.»
Concluse infine la superiora.
Quel giorno dal mattino fino all'ora di cena fu stabilito tutto il necessario per realizzare l'evento progettato.
La superiora spesso cupa e proprio intonata alla divisa del suo ordine monacale, costituita dall'abito nero con gonne lunghe e velo appena svolazzante oltre le spalle,
di tanto in tanto era presa da un fervore insopprimibile anche se limitato nel tempo, che la spingeva ad agire e a mettere in pratica qualunque idea le venisse in mente. Quell'anno il Natale le aveva portato in dono la sospensione del suo umore tetro.

È SEMPRE INSOLITO IL LUOGO DEL DELITTO Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora