Due anime simili

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Gli altri erano all'ingresso del parcheggio e avevano tutti gli skate in mano, anche io avevo il mio sotto braccio, anche se non ero felice come al solito, mi sentivo un po' giù, ma i miei amici sapevano sempre come farmi ridere. Sono la mia famiglia, loro ci sono stati per me quando non c'era nessun altro e rimarranno per sempre le parti più importanti della mia vita, non ci diciamo spesso "ti voglio bene" ma ce ne vogliamo tanto.

La cassa di Rick era sotto alla rampa di pietra e la musica era altissima, abbiamo cantato, scherzato, riso e ballato per ore, fino al tramonto.
"Guardate che bello il cielo! Dobbiamo farci una foto ragazzi vi supplico" chi dovrebbe essere se non Steph, lei è ossessionata con questo tipo di cose.
All'inizio eravamo tutti contrariati perché eravamo stanchissimi, ma Stephany aveva un talento nel convincere le persone. Dopo esserci fatti un paio di foto abbiamo fatto una gara fino a casa e ci siamo salutati.

La mia casa è la più lontana quindi l'ultimo tratto l'ho percorso da sola, ero sullo skate e ormai il tetto nero di casa mia si intravedeva da lontano. Un ragazzo era sullo skate davanti a me andava nella mia stessa direzione ma teneva la destra, credo stesse
per svoltare. Mi sono fermata davanti casa e entrando ho visto il ragazzo di fronte a me fermarsi nel casa successiva, l'ultima della via. Strano, non lo avevo mai visto prima.

Appena arrivata a casa non ho aspettato un minuto per buttarmi sul letto con gli auricolari nelle orecchie, immersa fino al collo nei miei pensieri. Erano giorni che non mi sentivo me stessa a pieno, come se mancasse qualcosa, una parte di me. Avevo così tanto bisogno di parlarne con qualcuno, ma tutti i miei amici sono così felici e non ho voglia di buttare loro addosso i miei problemi, ma volevo buttarli su qualcos'altro.

Era sera ormai ma sono uscita comunque, ho preso lo skate e ho iniziato a girare e a fare qualche salto sotto casa mia, quando a un certo punto mi fermai, mi sentivo osservata, il ragazzo dello skate era davanti casa sua e mi guardava.
"Che hai da guardare?" Domandai infastidita
"Sei brava ma quel salto lo fai male." Disse con fare saccente, tanto da farmi innervosire.
"Ti ringrazio per il tuo prezioso parere, ma non te l'ho chiesto"
"Mi hai chiesto perchè ti stessi guardando, il motivo è che non ho potuto non notare le tue ovvie imperfezioni" Disse sempre in modo presuntuoso e arrogante.

"Se sei così bravo allora dimmi quello che sbaglio" Dissi cercando di provocarlo, ma in mia sorpresa si avvicinò pericolosamente al mio viso e, dopo aver atteso qualche attimo, ghignò e prese con facilità il mio skate da terra. Voleva mettermi a disagio, questo l'ho notato, ma quegli sguardi non mi toccarono minimamente.

Appoggiato lo skate per terra ci salì sopra e iniziò a provarlo, probabilmente cercava un altro pretesto per giudicarmi, forse su quanto il mio skate fosse vecchio. Era bravo, dovevo ammetterlo.

Con mia sorpresa non fece nessun commento, si fermò davanti a me, utilizzando sempre una distanza troppo piccola, essendo sconosciuti. Salì nuovamente sulla mia tavola e con una tranquillità quasi impressionante fece quel salto con una bravura mia vista, naturale. E quasi come se fosse la cosa più normale di questo mondo prese in mano la tavola e me la porse, mi guardó negli occhi, passarono secondi interminabili e capii, quelli erano gli occhi tristi. Quello sguardo malinconico e così dannatamente simile al mio era il suo.

A interrompere i miei pensieri fu la sua voce, sorprendentemente forte, tanto da interrompere quel chiasso che era solito vagare per la mia testa.
"Beh? Ora hai visto come si fa no?" quel ghigno insopportabile era di nuovo sulle sue labbra, e non avevo intenzione di ammettere quanto fosse stato bravo.
"Grazie per la lezione" dissi in modo freddo, ma senza smuoverlo neanche un minimo, salii sulla tavola e me ne andai, attraversai la via verso il parcheggio abbandonato. Il buio era sempre più fitto e avevo la sensazione che il suo sguardo, anche se lontano, bruciasse sulla mia pelle. Non sembrava triste, almeno era bravo a non farlo vedere, eppure credo che il mio sguardo lo abbia riconosciuto anche lui.

Il mio piede spingeva forte sull'asfalto e il vento mi spostava i capelli, quella sera il cielo non aveva stelle e la luna era talmente piccola da risultare quasi invisibile, il nero occupava tutto lo spazio che restava, credo che quel nero occupasse anche me infondo. Chissà se quel nero era anche dentro di lui, dentro quel ragazzo misterioso dallo sguardo malinconico, chissà se quel nero faceva così male anche a lui.

A casa non c'era nessuno, dopo tutto non era una grande novità, perciò non ero preoccupata per l'orario, nessuno mi avrebbe aspettato, né si sarebbe preoccupato. Però avevo voglia di tornare a casa, mettermi sotto le coperte e sperare che la notte passi rapidamente, senza fare rumore, senza lasciarmi aspettare. Avevo voglia di tornare alla luce e fingere per un po' di essere felice, ormai fingevo così bene che quasi ci credevo anche io, di essere felice. Curvai alla rotatoria, quella dove avevo salutato i miei amici quello stesso pomeriggio e tornai indietro, lasciandomi alle spalle la debole e unica luce proveniente da quello spicchio di luna, e mi immersi in quel nero che dentro di me nascondevo ogni giorno.

Andavo così veloce che mi bastó un minuto per arrivare davanti casa mia, quasi istintivamente, come facevo ogni giorno, lasciai lo skate appoggiato alla porta e cercai le chiavi nella tasca per entrare, ma una voce mi interruppe.
"Sei triste, non è vero?" Era lui, di nuovo, questa volta la sua voce era più lontana, mi voltai quasi immediatamente per vedere da dove proveniva.
Era seduto sul tetto, accanto al camino e lasciava cadere i piedi dal bordo, aveva le braccia che lo sostenevano e il vento che spettinava i suoi capelli neri come la notte. Era buio ma riuscivo lo stesso a intravedere quello sguardo, quello che mi aveva lasciata così tanto in soggezione per quanto fosse profondo, quello sguardo quasi agghiacciante di due occhi completamente azzurri e grandi. La bocca socchiusa e sulla sua faccia un' espressione di attesa, aspettava che rispondessi.

"Come mai credi di sapere così tanto su di me?"
"Non hai ancora risposto, questo vuol dire che è la verità?" disse concludendo con un altro ghigno, questa volta ancora più saccente e irritante di prima. Eppure non potevo negarlo, ero triste e lui lo aveva notato, i miei amici non lo avevano fatto, di mia madre non voglio neanche parlarne, saranno giorni che non la vedo, ma lui, quel ragazzo così dannatamente irritante e misterioso lo aveva capito.

"Cosa te lo fa pensare?" Dissi cercando di capire quale mio atteggiamento lo aveva portato a questa convinzione.
"I tuoi occhi." Rispose velocemente, quasi come se fosse ovvio, scontato.
"Anche tu hai gli occhi tristi" Mi decisi a dirgli anche se erano passati minuti da quando avevo capito che era lui il proprietario di quegli occhi che mi scavarono dentro e mi fecero sentire meno sola.
Non rispose, guardava in basso e mi sentii spoglia di quel suo sguardo che fino a poco prima non aveva mai smesso di essere incollato alla mia pelle. Così infilai le chiavi nella serratura e le girai, a quello scatto riprese a guardarmi e quasi immediatamente e in modo ancor più rapido delle frasi dette prima mi disse "Allora resta"
Rabbrividii a quella frase, non so se avevo voglia di restare, ma infondo mamma non sarebbe tornata neanche oggi, starà bevendo da qualche parte o sarà fatta nel letto di qualche ventenne ubriaco e non l'avrei rivista probabilmente, quindi pensai che infondo non era una brutta idea

Allora restaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora