Senza dire una parola rimisi le chiavi in tasca e mi girai a guardarlo, volevo leggere qualcosa altro dentro di lui, qualcosa di nuovo.
"Che fai non vieni?" Disse, e mi ricordai di non avere ancora risposto a quella sua inaspettata e forse un po' avventata domanda.
"Come salgo?" Chiesi facendogli capire che avevo intenzione di restare, non so in realtà il motivo di quella decisione, forse volevo essere triste con qualcuno per una volta.Rise, questa volta non era un ghigno, era una risata, breve, quasi dolce oserei dire e quasi quasi mi veniva da ridere anche a me. Sorrisi semplicemente in attesa di una risposta, che tardando ad arrivare mi spinse a fare un altra domanda.
"Allora? Se vuoi che resti mi dovrai pur dire come raggiungerti"
"Sul retro c'è una catasta di roba vecchia, sali lì sopra e arrivi sul tetto, evita le mattonelle marce, potresti cadere e poi dovresti raggiungermi" Lo disse distrattamente, quasi come se fossi io quella che gli aveva chiesto di restare, ma ignorai il suo tono annoiato e seguii le indicazioni che mi aveva dato.Arrivata sul retro della casa mi accorsi di quella catasta di cui aveva parlato, visto da lì il tetto non sembrava poi così alto, era sicuramente più basso del mio. Le tegole erano rosse e il muro della casa credo dovesse essere bianco ma l'intonaco aveva un po' ceduto, forse durante gli anni. Riuscii a salire con facilità, arrampicarmi non era mai stata una grande sfida per me, soprattutto quando ero bambina e mio padre era ancora qui. Quasi misi un piede su una tegola marcia ma riuscii a saltare a quella successiva appena in tempo per non cadere e mi sedetti accanto a qual ragazzo dai capelli corvini.
Mantenni una distanza più che giusta, non ero lontana nè troppo vicina, abbastanza per poter parlare. Ma il silenzio sembrava padroneggiare in quella notte nera come i suoi capelli, che continuavano a spostarsi secondo i tiepidi soffi di vento di una giornata di settembre.
Fu lui a rompere il silenzio e ne ero grata visto che non avevo la minima idea di cosa dire.
"Allora, perché sei triste?" Lo chiese in quel modo naturale che continuava a innervosirmi ogni volta che parlava, sembrava che nulla lo mettesse a disagio, che tutto fosse semplicemente troppo insignificante per poterlo anche minimamente smuovere.
"Credo di sentirmi sola" risposi dopo aver atteso qualche secondo a pensare a ciò che avrei potuto dire senza risultare imbarazzata, né pesante, volevo dimostrargli che anche io potevo essere priva di ogni preoccupazione o vergogna.
"Cazzate" Disse brutalmente, come se avesse già capito tutto di me da un semplice sguardo, come se quella domanda fosse priva di interesse, come se conoscesse già la risposta.
"Allora dimmelo tu, perché sono triste?" Dissi infastidita dal fatto che non mi aveva mai lasciato parlare dalla prima cosa che ci siamo detti, aveva sempre la risposta pronta e questa cosa mi faceva incazzare. Ma mi pentii quasi subito di aver perso il controllo, lui non lo aveva mai fatto, era sempre rimasto tranquillo, fastidiosamente tranquillo.
"Essere soli non è un problema se non hai problemi con te stessa"Quella constatazione mi entrò dentro come una lama e fece così male che quel nero dentro di me mi sembrò ancora più nero di prima. Quelle parole taglienti riuscirono a squarciare ogni mia convinzione, ogni scusa che utilizzavo per giustificare la mia tristezza, ogni cazzata che raccontavo a quella parte di me che minacciava di esplodere.
Si avvicinò a me, come se avesse visto il buco che avevo nel petto, la ferita che mi aveva procurato. Credo che a modo suo volesse quasi chiedermi scusa per essere stato così netto e privo di tatto. La distanza tra noi era così piccola da sembrare quasi invisibile, come la luna che quella notte si sentiva meno radiosa delle altre volte, come quello strato di asfalto che era così sottile da perdere il suo colore, ma che comunque rimaneva abbastanza solido da permettermi di utilizzarlo per montare sulla mia tavola e perdermi nei miei pensieri. La distanza che c'era tra noi era quell'unica luce che separava due anime nere, tristi e incapaci di restare sole.
"Non mi hai ancora detto il tuo nome" Mi decisi a dire, intenta a spostare l'attenzione da quella frase di cui ancora si sentiva il rimbombo.
"Neanche tu hai detto il tuo" La malinconia si ritrasformò in quel nervosismo che il suo modo di parlare mi procurava ad ogni frase.
"Mi chiamo Ashley"
"Io sono Liam"
"Invece qual è il motivo della tua tristezza Liam?" Ero davvero curiosa di sapere se avrebbe avuto una risposta immediata anche a questa domanda.
"Io non sono triste, io non sento niente" Era incredibile come qualsiasi cosa dicesse riuscisse sempre a spiazzarmi completamente.
"Cazzate" Dissi cercando di procurargli tanto fastidio come lui lo aveva procurato a me, ma anche questa volta non riuscii lo stesso a procurargli una reazione diversa da un'altra odiosa espressione di indifferenza.
"Sentiamo allora, Ashley, quale sarebbe il motivo di quella che reputi la mia tristezza" Era la frase più lunga che avesse pronunciato da quando lo avevo incontrato ma quel tono di saccenza era in ogni singola parola.
"Non hai nessun motivo per cui provare qualcosa" dissi con tono tranquillo, quasi cercando di comprenderlo, di andare incontro a quel nero che malgrado tutto mi affascinava.Passarono minuti e da parte sua non ci fu risposta, non che quello che dissi ne richiedesse una, ma credevo che anche in questo caso avrebbe avuto qualcosa da dire. Invece sì limitò a guardare il cielo, avrei davvero voluto poter ascoltare il chiasso che aveva in testa, tutte quelle voci che lo portavano a nascondere ogni cosa con atteggiamenti fastidiosi.
Mi limitai ad aumentare la distanza che c'era tra noi, non volevo intralciare quella che sembrava una lunga e dolorosa immersione in innumerevoli ignoti e tormentati pensieri. Forse volevo pensare anche io un po'. Credo che entrambi ci dimenticammo di essere su quel tetto alle 11 di sera, completamente soli e avvolti in un nero fitto e spaventoso.
Non so quanto tempo passò ma dopo quelli che mi sembrarono venti minuti si girò verso di me, tirando su i piedi e incrociando le gambe, feci lo stesso. Mi immersi in quegli occhi così tristi e lui fece lo stesso nei miei occhi color nocciola, che non erano sicuramente belli quanto i suoi, seppur ugualmente tristi.
"Sei l'unica" mi disse, utilizzando, con mia sorpresa, un tono pieno di dolcezza.
"L'unica?" chiesi invitandolo a finire quella frase che mi aveva tanto lasciata in sospeso.
"Sei l'unica che ha degli occhi più interessanti del cielo"
"Non devi aver visto molti occhi allora" dissi cercando di riaccendere in lui quel pizzico di ironia che manteneva in tutto quello che diceva
"Ne ho visti a milioni" disse concludendo con un tono incompleto, aveva altro da dire, ma mi lasciava in sospeso, come aveva già fatto altre volte.
"Non ho mai visto il mare, ma da quel che ho sentito credo che i tuoi occhi non siano poi così diversi"
"Cosa intendi?" chiesi incuriosita da quel modo contorto che utilizzava per dire le cose
"Credo che se il mare fosse qui lo guarderei molto di più di come guardo il cielo, mi hanno detto che il mare fa rumore, che il mare rilassa, che il mare diverte. Ti andrebbe di essere il mio mare?" il suo tono era leggero, quasi sussurrato e la sua voce era comunque leggermente rauca e profonda. Quello che disse amplificò tutto, e non feci a meno di sorridere."Strana domanda, ma credo che mi piacerebbe essere il mare per qualcuno" dissi con un leggero sorriso sulle labbra, e mentre parlavo, i suoi grandi occhi di ghiaccio guardavano le mie labbra con il solito modo malinconico di ogni suo sguardo. E credo che dopo poco iniziò a sorridere anche lui.
"E tu l'hai mai visto il mare?" Mi chiese con un interesse che non avevo mai udito in nessuna altra domanda che mi porse durante quella serata.
"Si, una volta da piccola, ma ricordo poco e niente"
"Parlami di quel poco" disse con qualche goccia che mi sembrò speranza
"Ti prego" aggiunse.
"Ricordo che mio padre mi schizzava sulle gambe e io ridevo e lo schizzavo a mia volta, poi ricordo che il sole era rosso, era un bel tramonto. Ricordo che l'acqua era gelida ma non mi importava e ricordo che la schiuma che si creava sulla sabbia all'arrivo delle onde spariva talmente in fretta da non permettermi di toccarla" Cercai qualcos' altro da aggiungere ma non trovai nient altro che potessi dire, così fu lui a parlare.
"Tuo padre non c'è più non è così?"
"Come fai?"
"Cosa?"
"Come leggi tutto questo in me"
"I tuoi occhi dicono tante cose"
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Allora resta
Storie d'amoreSperavo non finisse mai, quel breve lasso di tempo in cui ero felice, in cui pensavo di essere felice. È finita prima di quanto mi aspettassi, senza preavviso si è chiuso il sipario, proprio quando avevo acceso i riflettori. E dietro a quegli enormi...