Abruptum - Parte Seconda

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Quando Arrigo tornò all'accampamento diede un calcio alle braci per ravvivare la fiamma. In mano aveva dei fiori e delle bacche, così succose che avrei voluto assaggiarle; ma chissà se l'avessi fatto cosa avrebbe pensato il mio amico riguardo le sue leggende sugli Dei. Lanciò tutto nel fuoco in silenzio, mentre io asciugavo il sudore dalla fronte bruciata dal Sole. Come avevo previsto non successe nulla, perciò, anche quel giorno, lo passammo a cercare invano un'apertura in cui entrare.

La sera venne condita da grosse nubi grigiastre che si stagliavano nel cielo; talvolta rimanevano alte, talaltra si abbassavano fino a toccare quasi le nostre teste

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La sera venne condita da grosse nubi grigiastre che si stagliavano nel cielo; talvolta rimanevano alte, talaltra si abbassavano fino a toccare quasi le nostre teste. C'era tanta nebbia e un alito continuo di vento freddo. Arrigo si consolava con le fiamme avvicinando le mani rugose per poi strofinarle animatamente.

Improvvisamente dal bosco udimmo un flebile lamento, un sussurro, un sibilo. Qualcosa che tutt'ora non riuscirei a descrivere come meriterebbe. Era un suono strano, simile al canto degli uccelli notturni che spesso assomigliano a voci umane; ma quello era metallico, vibrava, come se provenisse da un luogo non definito. Arrigo scattò in piedi con un bastone ardente fra le mani. «Hai sentito?»

«Sì», risposi lasciando cadere il taccuino. «Cos'era?»

Si girò verso di me e vidi nei suoi occhi il fuoco scintillare: «Non lo so», e che non sapesse di cosa si trattasse, lui, che del bosco conosceva pure gli insetti, era inusuale.

«Non hai mai sentito un animale far questo suono?» domandai, cercando di allontanare i cattivi pensieri per rimanere aggrappato alla realtà.

«No».

«E allora andiamo a vedere!»

«Il bosco è troppo buio... E' pericoloso muoversi là dentro in un ambiente così scosceso».

Notai quanto stesse mentendo: «Hai paura, Arrigo? Del bosco?»

Nel momento in cui posi quella domanda, un ululato eterno crebbe fra i castagni muovendo i loro rami in un fruscio prepotente. Una ventata fredda si avventò su di noi, sibilando qualcosa di incomprensibile. Sembrava che gridasse, sembrava una presenza enorme che stava inveendo contro due poveri esploratori sputandogli in faccia il suo alito glaciale. Quelle potenti scariche d'aria scuotevano il bosco come se non avesse radici. Arrigo lentamente sedette di nuovo, ma stavolta me lo ritrovai accanto, in modo che non desse le spalle all'oscurità. «Ho paura», confessò.

«Anch'io», ammisi.

«Se iniziasse a piovere dobbiamo andarcene».

«Giammai!» dissi con rabbia. «Come possiamo muoverci in un ambiente così scosceso di notte, con il suolo bagnato?»

«Se rimaniamo qui i fulmini ci colpiranno».

Ero stufo delle sue superstizioni, perciò tirai fuori il coraggio che da sempre mi era mancato e decisi di addentrarmi nel bosco andando incontro al vento. Il mio amico mi guardò perplesso, quasi incredulo. Sicuramente non avrebbe scommesso un soldo sulla mia camminata in mezzo all'oscurità. Ma avanzai, lentamente, mentre l'aria gelida mi spettinava i capelli facendomi lacrimare. Presto sprofondai nell'abisso più buio in cui mai ero capitato. Cercai la torcia nelle tasche, raspai nello zainetto... Poi il mio piede scivolò e capitombolai al suolo rotolando giù per una parete erbosa. Il mio grido soffocato fu udito immediatamente da Arrigo, che prese la falce e corse in mia direzione gridando più forte del vento. Per un attimo credetti di esser morto. Non vedevo niente, la schiena doleva, il braccio destro bruciava, sicuramente graffiato dai rampicanti spinosi molto comuni in quei boschi. Mi guardai attorno ma vedevo solo buio, come se fossi finito in un'altra dimensione. Solo il toccare lo zainetto, perciò una forma conosciuta e familiare, riuscii a ricondurmi verso la realtà. Cercai quello che finora non avevo trovato e accesi la torcia puntando in più direzioni. Ero circondato da rampicanti, rovi e rocce. Non c'era nient'altro che questo. Mi alzai, dolorante, mentre il braccio cominciò a gocciolare sangue. "Ben fatto", pensai, "dovrò fare un bel discorsetto ad Arrigo: sono stanco di sentirlo parlare di leggende, sacerdoti e superstizioni! La religione e tutto ciò che ne consegue non fa per me!" Mi girai cercando un appiglio per risalire mentre la voce profonda di Arrigo mi raggiunse dall'alto. «Stai bene?» urlò.

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