Il pavimento tremava in sussulti rumorosi, i mobili sembravano aver preso vita propria sbattendo contro le pareti giallastre lasciando cadere lampade e foto.
In piccole schegge di vetro i quadri si frammentavano sul parquet e la paura mista a confusione si impossessò del tuo corpo trasmutando la tua espressione; le sopracciglia corrugate e le membra scosse dai brividi, quasi conscia la tua anima di ciò che sarebbe accaduto di lì a poco.Da tempo alla televisione si sentiva parlare di quella che la gente definiva come un'imminente terza guerra mondiale, un susseguirsi di notizie allarmanti che però dopo pochi giorni cadevano nel dimenticatoio accantonate e derise da uomini in giacca e cravatta.
- È dalla guerra fredda che se ne sente parlare, non accadrà mai, il rischio non c'è. -
E poi nuovamente c'è chi accavallava ipotesi contrastanti: ci sarà, è lontana, è vicina.
Il mondo aveva dato segnali sempre più tangibili, una escalation di crimini sempre più violenti, la malvagità umana aveva preso il sopravvento rimischiando le carte in tavola.
La storia tende a seguire il suo corso in un ciclo di distruzione e rinascita.Prima la crisi economica, i disastri ambientali, la non incuranza delle leggi, scontri, anarchia.
Nessun paese era immune, nessuna città, nessun uomo.
Dubitavi, non credevi.
Una guerra è un qualcosa troppo distante da te, tu ne sei immune, non vivi in un paese povero o macchiato dal sangue di innocenti, un paese rivoltoso.
Tu sei nata nella parte bella e buona del mondo, sei fortunata ma hai sbagliato, un punto della questione non lo hai centrato.
Non importa quanto tu sia distante, quanto poco ti importi della geopolitica e delle lotte, qualcuno più in alto di te, che non sa dove abiti, quanta vita tu ancora abbia davanti, ha in mente altro.
Pensieri dettati dall'egoismo, dalla smania di egemonia, possesso, nazionalismo e poco importa che tu ci rimetta, sei troppo piccola per prender parte a quella scacchiera che detta le sorti del pianeta, tu ci fai solo parte, subisci vittorie e sconfitte senza poter urlare e far sentire la tua voce.Era il 2033, una mattina d'ottobre, il sole tiepido solleticava il tuo viso e al tuo fianco un ragazzo conosciuto la notte prima in un bar di Busan.
Il suo respiro era pesante, in un sonno profondo e con le labbra schiuse.
La forma del cuscino sulla sua guancia destra, gonfia e rossastra.
Il petto nudo che ore prima avevi sfiorato e baciato curiosa, la schiena graffiata, le tue risate e i suoi sorrisi si erano posati sulla pelle sudata, ora asciutta.A malapena ricordavi il suo nome, sapevi fosse uno studente universitario proprio come te, era simpatico, avevate parlato per un po' e tra un bicchiere e l'altro eravate finiti a casa tua, altri bicchieri, una notte tra le lenzuola, ubriachi ma felici, consapevoli che quella sarebbe stata solo una bravata della vostra gioventù che con gli anni avreste dimenticato e poi ricordato con amarezza.
Le sue ciglia scure si impigliavano tra i capelli castani della sua frangia.
Era davvero carino, questo pensasti finché un rumore assordante non ti fece fischiare i timpani, un boato che ti portò a stringere gli occhi e a portarti le mani intorpidite sulle orecchie, il capo chinato che si scontrò con quello dello sconosciuto che si svegliò bruscamente sobbalzando sul letto.Dopo poco l'onda d'urto fece suonare gli allarmi delle auto nel vicinato, un frastuono assordante che fece scoppiare i vetri delle finestre.
Tremolante ti alzasti, lo sconosciuto recuperò i suoi vestiti e tu facesti lo stesso facendo attenzione a non tagliarti i piedi nudi sul tappeto sotto al letto pieno di schegge.
Un nodo alla gola ti fermava dal dire qualcosa, non riuscivi a capire, eri confusa, allibita, cosa stava accadendo?- Cosa diamine è stato? -
La voce rauca del ragazzo arrivò ovattata soppiantata da quel fischio disturbante che ti rendeva gli occhi lucidi.
Riuscisti solo a scuotere la testa negando, recuperasti le ciabatte e corsi fuori dalla camera, il salotto era in condizioni pietose ma poco importava.
Le ginocchia cedevano dalla paura e dallo sconforto, non c'è nulla di più terribile del non sapere cosa ci sia fuori dall'uscio.Il ragazzo ti raggiunse, aprì la porta al tuo posto.
In lontananza, in un posto lontano chilometri da Busan, una fiamma si alzava nel cielo grigiasto, un fumo nero simile a fuliggine aveva coperto le nuvole rendendo impossibile distinguere le forme degli edifici da quelli in piedi e quelli crollati.Aerei passarono sopra le vostre teste, così veloci che bastò un battito di ciglia perché svanissero.
Il quartiere era disastrato, i cani abbaiavano, i bambini piangevano disperati e continui boati giungevano da tutte le direzioni.
Non riuscivi a crederci eppure qualcosa dentro di te urlava che fosse possibile, che tutto era giunto al termine senza che tu lo volessi.
Una stretta ti accalappiò il fianco, la mano di quel ragazzo ti teneva ferma.
In un primo momento non riuscisti a capire se fosse lui ad aver bisogno di sostegno o fossi tu quella che ne aveva una dannata necessità.Alzasti lo sguardo incontrando il suo viso, ti osservò e quella lieve espressione rammaricata, quasi consapevole, sembrò darti conforto.
Come a volerti dire che non eri sola, c'era lui con te, anche non sapendo il tuo nome, lui era lì nella tua medesima situazione.Così come cento, mille e milioni di uomini e donne svegliati in una tiepida mattina d'ottobre con la consapevolezza che sarebbe stata l'ultima che avrebbero vissuto.
Bastò una luce accecante per porre fine ai pensieri e spazzare dalla faccia della terra la vostra esistenza.
Non vi erano più sogni e traguardi, né tristezza o felicità ma un'unica macchia di terra arida che prima poteva dar frutti e ora solo morte.