Capitolo 3

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Una volta apparsa dietro un piccolo chiosco, da cui proviene un odore sgradevole di cibo al vapore, non ci metto molto a capire dove mi trovo, o perlomeno il continente: ovunque io guardi, sia in questo parco sia per strada, ci sono quasi solo asiatici. C'è una grande affluenza, come se fosse l'ora di punta, eppure camminano tutti tranquillamente in questo giardino geometrico. Non è molto grande, forse per fortuna, è uno spazio verde sul porto e proprio a questo punta. In mezzo c'è un'aiuola circondata da un viale ciottolato con la scultura bianca di un parallelepipedo che si torce su se stesso al centro – arte contemporanea, mai piaciuta.
È tutto così dinamico, eppure così ordinato.
Potrei essere ovunque nell'Asia, ma quando alzo lo sguardo verso la città noto alcuni grattacieli alzarsi verso il cielo ambrato con un aspetto talmente moderno che perfino Milano si sogna. Perciò nella mia mente si formano tre opzioni: Cina, Giappone o Corea del sud. Devo solo capire di quale delle tre si tratta.
Mi allontano dal chiosco puzzolente e inizio a incamminarmi in questo luogo ancora sconosciuto, lanciando degli sguardi anche alla popolazione del posto: l'aspetto è simile a quello di tutti e tre gli Stati – o forse sono io a non riconoscere le differenze – ma qui i visi sono più tondi, anche quando la persona non è grassa, non sono affilati come ho sempre visto nelle persone di questa etnia. Ciò rende il loro aspetto più dolce e meno austero.
Lungo il viale intorno alla statua incrocio alcuni ragazzi con delle magliette di un qualche anime giapponese che non conosco, a parte una dove c'è Miku, la ragazza con i lunghi codini verdi che vedo rappresentata ovunque e che non mi è mai andata a genio. Ciò mi fa già intuire il Paese, ma ho bisogno di un'ultima conferma: la scrittura. Nonostante non capisca gli ideogrammi, a meno che il traduttore di Paolo non me lo permetta, li riconosco da una lingua all'altra, soprattutto il coreano.
Dopo aver attraversato quel piccolo spazio verde mi trovo davanti a delle strisce pedonali, dove però non ci sono cartelli stradali a darmi un indizio. Magari se abbandono questo posto e vado verso il centro avrò delle risposte: mi basta qualunque cosa e voglio capirlo da sola, senza barare e guardare il telefono.
Una volta che l'omino sul semaforo si illumina di verde attraverso la strada fino a raggiungere un isolotto centrale, dove mi ritrovo ad aspettare ancora che il passaggio successivo sia libero. Nel frattempo, però, perdo tempo a guardarmi intorno, notando la pulizia in ogni centimetro d'asfalto, cosa impossibile da concepire in Italia. Mentre provo a cercare una qualche imperfezione, come alcune carte buttate per terra, la coda dell'occhio viene catturata da un cartellone pubblicitario animato dall'altra parte delle strisce che si è tinto improvvisamente di verde e rosso. È un video di una donna che torna sfinita dal lavoro e si ricarica di colpo con delle mentine, ma ciò che mi colpisce è la fine dove finalmente appaiono: le scritte. Gli ideogrammi sono simili a quelli cinesi, ma più semplici e meno squadrati. E quando ne riconosco uno in particolare tutto si collega alla perfezione.
Sono in Giappone.

La ricerca dell'hotel su Trip Advisor mi informa di essere a Yokohama, quindi non a Tokyo come speravo, però non è una gran delusione: visitare questo Paese non è mai stato uno dei miei sogni principali, era più uno dei viaggi da fare almeno una volta nella vita e ora sono qui, da un momento all'altro, senza aver speso denaro, tempo ed energie per lunghissimi viaggi aerei. E anche se non è la capitale, va bene così. L'unica cosa da prenotare è l'albergo, ma con tutti i soldi datemi dal master posso concedermi un po' di lusso. Tuttavia tengo un po' a freno l'eccitazione, ricordandomi che non è una visita di piacere: devo trovare una persona specifica tra milioni. Paolo si fida di noi Ryod e non voglio essere l'unica a deluderlo.
Prenoto in un hotel vicino al mare e al centro, ma nonostante dal sito non sembrasse qualcosa di esagerato, una volta lì mi si parano davanti auto sportive o di marche costosissime, alcune con addirittura l'autista. Non pensavo di esagerare così.
La camera è a metà altezza dell'edificio e non è grandissima, non come una suite, però il panorama che mi si presenta dalle grandi finestre dall'altra parte della stanza è mozzafiato: l'intera città coi suoi grattacieli e le sue luci si staglia ai miei piedi, mentre sopra di essa il cielo è ormai quasi del tutto nero. Poco fa non era neanche mezzogiorno e ora sono le otto di sera.
Guardo il depliant che mi hanno dato alla reception, la copia scritta in italiano, su cui sono indicate e illustrate tutte le attività dell'albergo compresi gli orari del ristorante, attualmente aperto. Non mi piace mangiare da sola, ma non sono sicura di ordinare il servizio in camera. Non che non riesca a cenare o non riesca a farmi venir fame, ma secondo il mio stomaco ho appena fatto colazione, perciò mi convinco ad aspettare almeno un po'.
Lascio quel foglietto bianco e blu sulla scrivania, vicino alla quale abbandono anche la valigia e su cui appoggio lo zaino, per poi gettarmi a peso morto sul letto. Sul soffitto non ci sono lampadari, ma solo dei faretti come quelli a casa del master che illuminano tutto di una luce dorata, rendendo l'atmosfera più accogliente. E ampia, troppo ampia. Allungo le braccia aprendole su tutto il materasso, rendendomi conto di quanto sia grande e... io minuscola. Non solo sul letto, ma in tutto questo ambiente e in questa città, che appena mi volto verso la vetrata si spoglie del velo di meraviglia rivelando ciò che è davvero: una metropoli, la più popolata del Giappone come la definisce Google.
E io sono qui, piccola e da sola.
Non dovrei preoccuparmene, anche gli altri lo sono ovunque sian capitati, sia Lisa che Raffaele. Raffa... Spero vada tutto bene, spero che Liz abbia ragione e io non abbia motivo di preoccuparmi per quella ragazza bionda, non lo sopporterei comunque. La gelosia fa male, ma è quando sai che l'altra persona è libera che ti logora sul serio: perché non hai alcun controllo.
Vorrei fosse qui, in questa stanza e su questo letto, a incoraggiarmi davanti a questa missione impossibile, a tenermi la mano, abbracciarmi oppure a fare ciò che abbiamo fatto in tutti questi mesi, quasi ogni giorno – e nonostante ciò non mi ha ancora chiesto di fidanzarci, chiunque l'avrebbe fatto.
Vorrei fosse qui e vorrei avere i suoi occhi ambrati a poca distanza dai miei, invece che fissi sull'immagine del profilo della sua chat di Whatsapp. L'ultimo messaggio risale a ieri pomeriggio, un link di un video secondo lui divertente che mi ha mandato e che non ho aperto. Non credo lo farò, non sono dell'umore.
Il pollice sfiora la tastiera digitale, ma tutti i messaggi che potrei mandargli ora appaiono pesanti, oppressivi, e io non voglio esserlo: Lisa dice che lo sono già abbastanza alla Villa. E forse ha ragione. Inoltre non ho idea di dove e che ora sia da lui, se notte o giorno, e se starà mangiando o starà dormendo recuperando le ore di sonno o se sarà già alla ricerca della sua Guardiana. Conoscendolo, sono le tre opzioni più plausibili.
Devo trattenermi. Dallo zaino prendo il cavo del caricatore e l'adattatore universale, lo aggancio alla presa più lontana dal letto, quella sulla scrivania, e, nonostante non sia scarico, collego il cellulare.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 28, 2021 ⏰

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