Safe Zone - parte 3

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Non sono programmato né per avvertire ansia né per provare preoccupazione, ma, tra i codici stipati nella matrice positronica, i file collegati al riconoscimento di tali emozioni nell'essere umano si attivano, e nel tentativo di rendermi piacevole al rapporto con gli Utenti, ne replicano gli atteggiamenti quel tanto che basta per attirare l'attenzione di Biggs.

Al suo sguardo so di dover rispondere.

«Di Safe Zone ne esistono di due tipi: per la quarantena, quelle mediche, per l'armamentario e il controllo, quelle militari» esordisco. «In quale delle due state cercando di entrare?»

Chi mi ha creato lo ha fatto con lo scopo di farmi servire gli Utenti. Provvedere ai loro bisogni, salvaguardare la loro salute, obbedire ai comandi. Ma sono stato anche modificato per prevenire danni collaterali: devo sapere cosa vogliono ottenere, perché entrare in una Safe Zone militari sarebbe un vero e proprio suicidio. Valente o nolente, della loro sicurezza sono chiamato a rispondere.

«E io che ne so?» glissa Biggs.

Wedge mi guarda come se avessi detto una sciocchezza. «Mediche?»

Biggs accenna un sorriso. «Ne ho sentito parlare! È quella che ha portato i mutanti, vero?» commenta, con un po' di enfasi sulla parola mutanti. «Vuole la leggenda che era una congrega di pazzoidi che ha creato i mutanti per vincere la guerra contro le macchine.»

Scuoto il capo. Sono ormai ben consapevole di quanto le storie tramandate fin dalla prima generazione di Utenti siano state distorte e ben lontane dalla realtà. Tuttavia, un programma nel mio codice comportamentale mi impedisce di controbattere. Taccio. Non sapranno mai la verità, e, a dirla tutta, saperla non gli gioverebbe comunque.

Ci muoviamo adagio nella rete intricata costruita dalle macchine edili. Se il ricordo della Città per com'era soggiace ancora sepolto da qualche parte, so per certo che, ormai, solo io ne ho memoria. Di un tempo dove le strade erano libere. Dove esisteva il cielo. Qui c'è solo catrame, cemento, e dedali fatti di calcestruzzo.

«Prima hai detto di avere un padrone» cinguetta Biggs. «Davvero le macchine ne hanno uno?»

Il database si attiva in base a uno stimolo automatico, ma la risposta è criptata, coperta e protetta da un software. Sono costretto a dire una mezza verità: «Le prime, quelle come me, sì.» Si è mai sentito di un androide che mente?

«A comprarmi è stata la signora Theresa» riprendo. Le sopracciglia arcuate di Biggs mal nascondono un certo grado di scetticismo. «Tuttavia, la mia vera proprietaria è la signorina Claudia.» Ricordati di prendere le medicine, segnala il promemoria. Era importante. Lo è ancora.

«Come sarebbe a dire che ti hanno comprato?» sbotta Wedge, intento a spostare un piccolo blocco di cemento. Il passaggio che si apre sotto di essa, fin dove la scala di ferro potrà mai condurre, suggerisce che i due Utenti non sono nuovi a quella scorciatoia. «Ma poi Theresa non è un nome da femmina?» replica con gli occhi sgranati. «Vieni da una delle Logge?»

Immagino si riferisca a una delle comunità di umani composta prevalentemente da elementi di sesso femminile. La banca dati trova una corrispondenza: la Loggia delle Streghe. Le ho incontrate, molto tempo fa.

Faccio cenno di diniego. «La mia proprietaria ha cessato ogni funzione vitale da molto tempo.» Una scarica elettrica attraversa i nervi cibernetici del mio cervello. Faccio in tempo a fermare la proiezione olografica dei miei dati mnemonici.

«Non hai detto che erano due? Che fine ha fatto l'altra?» mi incalza Biggs.

«La signorina Claudia è ancora viva». Nei recessi profondi della città.

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