IV ATTO

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Nota: anche questi, come nel caso del II Atto e III Atto, erano in origine un solo capitolo: l'ho diviso ma posto insieme. 

Altro salto temporale: 1941, in piena guerra, con tutte le sue conseguenze.

IV ATTO

Con lo scoppio della guerra Satoru avrebbe iniziato a dire "poi arrivò la guerra" ogni volta che voleva indicare un "prima" e un "dopo" perché con essa queste due dimensioni divennero ben separate, simili a compartimenti stagni che solo saltuariamente e per qualche anomalia riuscivano a comunicare. La guerra arrivò attesa, ma colse lo stesso impreparati. Venne col freddo che saliva come una nebbia, rivestendo di un opaco madore ogni cosa, le facciate delle case e i visi delle persone; venne col suo carico di sentimentalismo e paura, di tragedia e banalità.

 Riproducetevi e moltiplicatevi, recitava uno slogan tanto in voga in quegli anni. Ogni volta che lo sentiva si immaginava orde di uomini e donne che si incontravano sui prati scoloriti dalle bombe e si accoppiavano come animali sotto il cielo grigio.

Venne chiamato alle armi all'inizio dell'autunno del '41. Anche Aki era stato dichiarato idoneo, ma ancora non aveva ricevuto la chiamata. In tutti quegli anni che si conoscevano non era cambiato di una virgola: aveva ancora l'aspetto liscio di un cinedo, quell'ambiguità dei tratti smorzata dal sorriso spavaldo. A volte quel sorriso sembrava doloroso da indossare.

La notte prima della partenza per la base aerea della marina di Tsuchiura la passarono insieme. Satoru aveva preso una camera in un albergo nel quartiere di Ginza, una camera spoglia e anonima, che aveva raggiunto in tram e col berretto calato. Quegli incontri clandestini si erano fatti più assidui da quando aveva smesso di frequentare il teatro. Per vederlo ora doveva accontentarsi di quelle poche ore strappate alla quotidianità e alla convenienza e ogni volta si faceva più incipiente la sensazione di perderlo – ma con lui era sempre stato così, fin da quando lo aveva conosciuto: lo sentiva come neve che si sgretola tra le dita.

«Tuo zio si è arrabbiato?» gli chiese Aki, mentre si spogliava. 

Lui lo spogliava: Aki iniziava solo a svestirsi, lentamente, come avesse tutto il tempo del mondo, e così Satoru, preda dell'impazienza, di un impeto che non aveva nella vita vera – o erano forse quelle ore la vita vera? – finiva per lui, denudandolo e scoprendolo, per sentirlo, tra le mani, nel petto, ancora sempre troppo lontano.

Era venuto vestito da donna come a volte faceva per evitare problemi o occhiate indiscrete. Indossava il suo kimono rosso senza ornamenti, quello che non metteva mai in scena.

«Perché dovrebbe? È felice che vada a servire il mio paese.»

«Per il matrimonio» fece l'altro, a malapena un bisbiglio. Guardava le luci che premevano contro il vetro della finestra, il profilo che si stagliava nella penombra della stanza come un miraggio nella notte sporca.

«È stato ragionevole.»

«Quando la sposerai?» La sua voce era fredda quanto la notte, quanto le mani che non lo cercavano. «In un periodo di congedo?»

«Non lo so.»

Satoru non lo sapeva davvero: si era fidanzato un paio di mesi prima con Fumiko Imaki, figlia di un magistrato, intimo amico di suo zio. L'anno prima aveva superato un concorso per diventare funzionario pubblico nella magistratura e aveva conosciuto Fumiko proprio alla festa che suo zio aveva fatto in suo onore. Era successo tutto molto in fretta, sotto lo sguardo attento e impaziente di suo zio. Sua madre lo appoggiava con trasporto.

«Hai ventisei anni e siamo in guerra» gli diceva, le volte che andava a trovarla. «Non vuoi avere la benedizione di un figlio, di una famiglia?»

Satoru rispondeva che sì, certo, voleva una famiglia. Era quel che ogni uomo di sani principi avrebbe dovuto volere.

Mono no awareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora