Capitolo 1

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Seguo con lo sguardo le gocce di pioggia fare a gara sul finestrino dell'auto. È tutto così deprimente ultimamente, non mi riconosco più. Sono sempre stato un ragazzo rumoroso, aperto e spontaneo, ma da quando mia madre ha lasciato il suo ennesimo marito per inseguire un nuovo ennesimo fidanzato, mi ha trascinato in una nuova città da un giorno all'altro senza preavviso, iscritto ad una nuova scuola e fatto dire addio ai miei amici e alla mia casa, dicendo che saremmo andati a vivere a casa di questo tizio, Matthew, che nemmeno conosco. Mi sono sentito come se non valessi un cazzo in questa famiglia, come se la mia opinione fosse meno di niente, ma ovviamente sono stato costretto ad acconsentire, ed ora io, Louis Tomlinson, uno dei ragazzi più popolari di Doncaster, mi ritrovo in una fottuta macchina, insieme a mia madre e le mie sorelle verso Manchester, con i miei amati The Fray nelle cuffie e la voglia di scappare nel cuore.

Quella che mi ritrovo davanti non è una casa, è una fottuta reggia. Questo Matthew deve star messo proprio bene per quanto riguarda i soldi. Mia madre parcheggia e scarichiamo i bagagli. Un uomo dai capelli bianchi, occhiali da sole e con parecchi tatuaggi sulle braccia ci viene incontro e saluta mia madre con un bacio sulle labbra. «Io sono Matthew, piacere di conoscervi, banda»

Banda? Mi ci vuole un po' per afferrare il tocco d'umorismo nel nomignolo e faccio una smorfia scocciata. A prima vista sembra un tipo abbastanza figo, ma lo boccerei solo per la confidenza che si è preso. Le mie sorelle sembrano apprezzarlo. Fizzy e Lottie pendono dalle sue labbra. Oh andiamo, potrebbe essere vostro padre! O peggio, vostro nonno! Solo il pensiero mi fa venire i conati di vomito. Le piccole Daisy e Phoebe invece sembrano essere incuriosite dai disegni sulle sue braccia, lo fissano come se fosse un murales con le gambe e la capacità di parlare.

«Entrate pure ragazze...e Louis, giusto? Tua madre mi ha parlato tanto di te, l'uomo di casa, eh?» dice sorridendo e lasciandomi una pacca sulla spalla, io ricambio il sorriso, anche se forzato. «Già» annuisco con un'alzata di spalle, afferro la mia valigia e salgo gli scalini che portano all'ingresso della casa. Entro e il pavimento di marmo è così liscio e pulito che le mie converse nere scivolano e, nel vano tentativo di riacquistare l'equilibrio prima di precipitare con le natiche sul freddo pavimento bianco, la valigia cade e il telefono prende il volo, trascinando con sè anche le cuffiette. Sento una risata proveniente da sopra le scale, di fronte all'ingresso. Un ragazzo dai capelli ricci mi fissa con un ghigno sul volto.

Che cazzo hai da ridere, frocetto?

«Chi hai chiamato frocetto, cazzone?»

Merda, l'ho detto ad alta voce. Perchè non sto mai zitto?

«Chi sei?» domando, incapace di trovare qualcos'altro da dire per uscire da questa situazione dannatamente imbarazzante.

Il riccio scende lentamente le scale, mantendendo il contatto visivo con me e, lentamente, si avvicina a me, ancora seduto sul pavimento col telefono ai piedi praticamente distrutto e lo sguardo nelle sue pupille verdi, che non riesco a smettere di seguire. Quando finalmente mi è davanti, protende una mano verso di me e mi aiuta a sollevarmi, ma la sua presa è troppo forte per il mio peso e in un attimo mi ritrovo scaraventato addosso a lui. Il suo viso è a pochi centimetri dal mio, sento il suo respiro sulle labbra. È più alto di me ma riesco a vedere fin troppo bene i suoi occhi e sento tutti i miei organi interni iniziare una rivolta e il battito accelerare. Dannata omosessualità, certe volte vorrei riuscire a contenerti in un angolino buio della mia mente e lasciarti lì.

«Sono Harry, il figlio di Matthew» risponde, staccandosi improvvisamente, divertito dalla mia evidente reazione a quella vicinanza improvvisa. «E tu sei?» domanda poi, restando con quel mezzo sorrisetto sulle labbra.

«Io sono Louis. Louis Tomlinson, il figlio di Jay» dico imbarazzato fissandomi la punta delle mie converse piene di scritte. Leggo e rileggo la scritta Rage&Love sulle punte e ripenso a quando lo scrissi, ascoltando la mia canzone preferita, Jesus of Suburbia dei Green Day, insieme al mio vecchio gruppo di amici. Quanto mi mancano quei coglioni, ma soprattutto quanto mi manca quel bastardo di Stan.

«Perchè contempli il pavimento?» la sua voce interrompe i miei pensieri nostalgici e riporta la mia attenzione su di lui.

«Allora, renditi utile. Qual è la mia camera?» domando serio cercando di reprimere la ragazzina con gli ormoni a mille che è dentro di me e mi grida di saltargli addosso, buttargli le braccia al collo e leccargli la faccia. No aspetta, leccargli la faccia? Siamo in 50 sfumature di grigio, per caso? Certo che però lui come Christian Grey ci starebbe proprio bene...Louis, ma insomma! A che diavolo pensi? Autocontrollo, cristo santo! Hai diciannove anni, la crisi ormonale l'hai già passata da un pezzo!

«Seguimi, ti faccio strada» dice dandomi le spalle e dirigendosi verso le scale. Raccolgo la valigia ed il telefono, che ha una grossa crepa sullo schermo e sembra non accendersi.

«Porca merda!» impreco senza rendermene conto. Harry si volta verso di me con un'espressione confusa. Sembra avere un punto interrogativo stampato in faccia, ma è fottutamente bello anche così, diamine.

«Il...Il mio telefono. È andato» spiego, indicando l'oggetto ormai defunto.

«Te ne procurerò uno nuovo, non preoccuparti, piccolo»

Piccolo?! Che diavolo gli prende?

Avanza dandomi le spalle, come se non fosse accaduto nulla, sale le scale lentamente e, quando ci ritroviamo davanti ad una camera con la bianca porta chiusa, mi fa segno di entrare ed io obbedisco, mentre lui si allontana nel corridoio, entrando in quella che probabilmente è la sua camera.

Apro la porta. La camera ha le pareti nere. Fantastico, una stanza deprimente per migliorare ancora di più il mio umore, ma grazie! La moquette è bianca e smorza leggermente il colore delle pareti. La luce che arriva dalla finestra è abbondante e filtra attraverso le tende bianche. Noto le tante lampade posizionate in posti diversi e come un bambino, immagino il divertimento nell'accenderle tutte e far finta di essere un calciatore famoso che gioca sotto le luci abbaglianti dello stadio dei Doncaster Rovers, e al pensiero sorrido sinceramente. Mi butto sul letto enorme a due piazze, decorato con tanti piccoli cuscini e mi stiracchio. Porto le mani dietro la testa e fisso il soffitto. Ci sono tantissime citazioni di grandi poeti e pittori su tutta la superficie. Il nome di Lev Tolstoj attira la mia attenzione più di ogni altro. "Scese, evitando di guardarla a lungo, come si fa col sole, ma vedeva lei, come si vede il sole, anche senza guardare." 

Leggendo la citazione nella mia mente, non faccio altro che pensare al mio nuovo fratellastro e, lentamente mi addormento, con la speranza di sognarlo, nonostante sia solo a qualche camera di distanza da me.

Robbers || Larry.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora