chapter one

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New York.

12.45 p.m.

Il sole è nel suo punto più alto, ma nella grande mela è ricoperto da nuvole.

Harry è ancora sotto le sue calde coperte.
Un viziato come lui preferisce passare il sabato mattina nel letto, quando non va a scuola.

Che poi chi non lo biasima?

Stare sotto le lenzuola a dormire fino a mezzogiorno è la cosa più bella che esista.

Bussano alla porta, ma ovviamente nessuno riceve risposta e la persona entra nella stanza.
Nota il buio al suo interno e va dritta a scostare le tende per fa entrare la luce esterna.
Poi va verso il letto e inizia a chiamare Harry, aspettando.

«Signorino Harry, il pranzo è pronto. Si svegli prima che tornano i suoi» dice la domestica.

Harry mugola qualcosa di incomprensibile e si porta le lenzuola sopra la testa.

Deve per forza alzarsi?

«A che ora tornano?» chiede il riccio.

«Fra un'ora esatta, ma credo che stasera ripartono» ecco.
Era sempre la stessa storia.
I suoi genitori non stavano mai a casa, partivano il due gennaio e tornavano solo qualche giorno di mezzo, si prendevano le ferie per quindici giorni estivi, ma era come se non fossero mai presenti. Poi partivano di nuovo e tornavano per le vacanze di Natale e ovviamente dopo ricominciava il tutto.

Harry non si ricordava quando fosse l'ultimo Natale passato felice, senza che i suoi badassero di più al lavoro che a lui.
Forse aveva cinque anni? O giù di lì.
Non riceveva nemmeno regali da quell'anno, sia per quanto riguardasse Natale e sia per il suo compleanno.
Anzi per il primo febbraio gli arrivava una lettera con su scritto "tanti auguri, da mamma e papà", ma questo fino ai dodici anni.
Poi ricevette il suo primo cellulare, come regalo di scusa delle lunghe assenze e quindi da quel momento gli scrivevano tramite esso.
Era tutto così triste e in quell'enorme appartamento di Manhattan si sentiva solo.
Cioè non era proprio del tutto solo, aveva la domestica e quasi ogni giorno c'erano Niall e Josh a fargli compagnia.
Fortuna che aveva quei due.

Harry si alza dal letto andando verso il bagno.
Si stiracchia e si strofina gli occhi con quella sua delicatezza.
Fa ciò che deve fare e scende per andare in sala da pranzo.
Si siede al suo posto, ovvero alla destra del capotavola e aspetta di essere servito.
L'anziana donna gli porta il pranzo e si mette davanti la porta della sala, attendendo qualche ordine.

Il riccio mangia nella sua solitudine e nel suo silenzio, con gli occhi puntati fissi al centro tavolo di fiori che detesta.
Quei fiori sono di un azzurro che lo nauseano.
Detesta quel colore.
Meglio il nero, pensa.

Si alza dalla sedia e torna in camera.
Trova un pantalone di tuta e una t-shirt abbandonata sulla sedia di chissà quale giorno.
Indossa il tutto, prende uno di quei specie di marsupio, che si mettono in vita per chi fa jogging e infila le chiavi e il cellulare.
Scende le scale trovandosi davanti a lui due persone.
Lo guardano con una piccola attenzione.
Harry, invece le scruta.
L'uomo ha un pò di barba, grigia ai lati e man mano verso il bianco al centro. I capelli brizzolati dei suoi cinquant'anni. Le labbra e il colore degli occhi simili ai suoi, fanno capire che hanno un legame.
La donna alla sinistra dell'uomo, porta gli occhiali da vista pendenti sul collo. I capelli neri che le ricadono perfetti.
I suoi occhi che a volte ti fanno raggelare, se non fossi abituato.
Strette tra le mani, hanno le valigie che lasciano davanti all'ingresso, già pronte per la sera.

«Ciao tesoro» rompe il silenzio la donna, andando incontro al figlio.
Apre le braccia per poterlo stringere, ma lui non ricambia.

Oramai è diventato freddo con loro da anni.
Non riesce ad avere nemmeno più un argomento di discussione.

ever since New York //LarryDove le storie prendono vita. Scoprilo ora