Omen

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"Tutto bene, signorina?" sentii una voce dire dalla mia sinistra.

Mi voltai. Un uomo di colore elegantemente vestito, con un berretto in testa, probabilmente il portiere del lussuoso palazzo davanti al quale mi trovavo, mi stava scrutando con un'espressione a metà tra il preoccupato e l'infastidito. Capivo perfettamente il perché: indossavo una consunta giacca di jeans, una t-shirt dei Nirvana, dei pantaloni logori per le troppe volte in cui li avevo indossati, e i miei capelli, elettrici a causa dell'umidità, erano a malapena coperti da un berretto da baseball. Inoltre, fissavo insistentemente, da almeno cinque minuti, le targhe sulla parete di marmo dell'atrio, e i nomi sul citofono.

Mi sentii solo lievemente in colpa. L'anonimato aveva delle regole, e una di queste era di cercare di essere il meno riconoscibile possibile. Per quanto il mio "travestimento" non si allontanasse poi molto dai miei gusti in fatto di vestiti.

"Uhm..." balbettai, cercando una via di scampo "Sì, sì, tutto bene, grazie"

"Ha bisogno di aiuto? Sta cercando qualcuno in particolare?"

"No..." iniziai a dire, sentendo il rossore prendere possesso delle mie guance. Poi però ci ripensai. "Cioè, volevo dire... sì. Cercavo Mr. Callagahan".

Mi fissò sospettoso, ovviamente.

"Non è un po' troppo giovane per recarsi da un divorzista, mia cara?".

Sfoderai il mio sorriso più convincente, fingendo di trovare la sua una battuta divertente.

"No, mi sono spiegata male" finsi di ravvivarmi una ciocca ribelle, mentre in realtà mi asciugavo una goccia di sudore "Mi manda mia madre, doveva ritirare una pratica ma essendo indisposta..." e alzo le spalle in maniera allusiva, cercando di rendere più convincente la balla che mi stavo inventando con i non-detti.

Non era ancora del tutto convinto, ma non poteva certamente darmi della bugiarda.

"Chi devo annunciare?" chiese, prendendo in mano il telefono.

"Il cognome è Smith" Dio,pensai nel frattempo, è il cognome più comune degli Stati Uniti, fa' che abbiano almeno un cliente che si chiama così!

"E il nome?" mi chiese, mentre il telefono emetteva il segnale di linea libera.

"Mi chiamo Julia" inventai, fingendomi finta tonta.

"No, non il tuo. Volevo sap..." troppo tardi, avevano risposto "Sì, c'è qui una ragazzina venuta per conto della madre. Smith. Cerca Callagahan"

Passarono alcuni interminabili secondi di silenzio stampa. Poi il portiere mi fece un cenno con la mano verso uno degli ascensori, sfoderando il sorriso smagliante più finto che avessi mai visto.

"Prego, ventunesimo piano"

"Grazie". Sorrisi di rimando, cercando di sembrare il più naturale e innocente possibile.

In ascensore ripassai mentalmente le battute che avrei recitato per la segretaria ed, eventualmente per l'avvocato.

Non avevo detto a nessuno di quella follia - perché di follia si trattava - e questo era il motivo per cui avevo dato un nome falso: non potevo rischiare che, se per caso si fosse scoperto che avevo ficcanasato nelle pratiche di divorzio, qualcuno riferisse ai miei che ero stata qui.

Ma non mi fidavo neppure della deduzione frettolosa di Natalie.

No, non era vero, e lo sapevo benissimo. In realtà volevo vedere con i miei occhi. Volevo vedere, nero su bianco, la richiesta di divorzio, altrimenti non avrei mai creduto davvero che questa cosa stesse accadendo a noi.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 26, 2015 ⏰

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