Mi svegliai l'indomani mattina con quello stato di ansia perenne addosso che ti consuma dentro. Mi sforzai di fare le solite cose nell'attesa di rivederti. Un cornetto alla crema e un caffè per colazione, e poi subito in doccia. Lasciai che l'acqua bollente scivolasse sulla pelle ammaccata. Goccia dopo goccia, iniziai a sentirmi più rilassata, come se quel gettito d'acqua rappresentasse il mandar via tutte le mie paure. Con l'asciugamano avvolto sulla vita, mi diressi verso la mia stanza e presi a gettare sul letto tutti i vestiti che non avrei indossato mai, poiché acquistati senza un reale motivo e non corrispondenti affatto ai miei gusti. Optai per un pantalone a vita stretta e una maglietta smanicata – seppur immaginavo facesse freddo -, ma la giacca addosso avrebbe protetto il mio corpo. Mi vestii in fretta e furia e indossai le mie Nike preferite, regalo di mia nonna per il mio ventisettesimo compleanno. Aprii la porta, controllando un'ultima volta di aver preso tutto, e finalmente uscii di casa. L'aria gelida mi sferzò il viso con così tanta violenza che dovetti esitare per non ritornare a casa e mettere qualcosa di più pesante. Controllai meccanicamente l'orologio e mi resi conto di essere leggermente in ritardo. Camminai senza fermarmi, puntando dritto, senza guardare le vetrine dei negozi. Tutti i suoni attorno a me ovattati, quasi fossero stati lontani anni luce, quasi ci fossi solo io al centro della strada. Mi ci vollero dieci minuti buoni per arrivare al parchetto e cercare il tuo volto in quello dei passanti, guardando ora a destra, ora a sinistra, in attesa del tuo arrivo. Continuai a controllare l'orologio, e proprio quando iniziai a pensare che non saresti arrivata, ti mostrasti in tutto il tuo splendore, con quella giacca rossa, le scarpe col tacco e gli occhiali da sole – si, perché i tuoi occhi erano un regalo da non mostrare a tutti – ricordo di aver pensato.
Mi sorridesti da lontano, ti sorrisi da lontano. E più ti avvicinavi più credevo non fosse vero che eri proprio lì, e adesso venivi a sederti accanto a me. Ti feci spazio sulla panchina, allontanandomi quanto più possibile perché potessi sentirti comoda.
"- Ciao."- mi dicesti.
"- Ciao."- ti risposi. E fu l'inizio di tutto, fu la genesi di qualcosa che ancora adesso sento bruciare dentro, come fosse la prima volta.
"- Volevo ringraziarti ancora per il libro."- dicesti esitando un attimo –"è incredibile di quanto sia bello perdersi nella lettura."
"-Ho sognato nella mia vita, sogni che son rimasti sempre con me, e che hanno cambiato le mie idee; son passati attraverso il tempo e attraverso di me, come il vino attraverso l'acqua, ed hanno alterato il colore della mia mente." – ripetei a memoria citandone uno dei passi più importanti.
"- tu sogni mai?"- mi chiedesti d'improvviso.
Ci pensai un attimo. Non ero il classico tipo di persona che si sveglia la mattina e si ricorda quello che ha sognato. Cioè, intendo dire, so di averlo fatto, ma non riesco a ricordare nulla.
"- Amo la sensazione che mi da sognare. –", risposi, ed è era vero.
"- Io invece ricordo tutto quello che sogno, e mi fa stare bene." –
Trattenni l'istinto di estrarre una sigaretta dalla giacca e invece rimasi ad ascoltarti.
"-Il motivo per cui ti ho detto che non posso esserti amica ... "- continuasti, - "non voglio farti del male."-, dicesti asciugandoti una lacrima con le dita.
"Potresti farmi tutto il male del mondo, eppure non sarebbe mai abbastanza" – pensai, e invece rimasi in silenzio. Non volevo interrompere il filo del discorso.
"- Voglio dire... non so come spiegare, ma sin dal nostro primo incontro ho pensato che potesse nascere un'amicizia speciale, ho sentito una specie di compatibilità, un senso di fiducia per cui so di poterti dire tutto."-
"- Anche io ho provato le stesse cose."- ti dissi – "e credo che non capiti tutti i giorni di trovare qualcuno compatibile con te. –" continuai.
"- È proprio questo il punto."- dicesti, aspettando che alcuni ragazzi ci passassero davanti e lasciassero nuovamente posto solo alle nostre voci. –"ho paura che tu non sia compatibile con me, ma con il mio dolore. Voglio dire... che il tuo dolore sia compatibile col mio. Non può esistere un'amicizia basata sul dolore comune."- dicesti tutto d'un fiato.
E ricordo chiaramente di aver dubitato, solo per quell'istante, e di aver scacciato quel dubbio subito dopo.
"- Credo che questa sia una scusa. Come puoi essere compatibile col dolore dell'altro? Vorrei fossi mia amica per passare del tempo insieme, conoscerci di più, perché in due la vita assume un senso diverso."- ti dissi.
"-Io non lo merito un senso diverso. "- dicesti, scoppiando a piangere.
E mi trattenni dallo stringerti le mani, asciugare le lacrime che scorrevano incessanti, abbracciarti per trasmetterti tutto quel calore che meritavi di ricevere. E invece rimasi lì, senza fare niente, col capo chinato, mentre tu mi salutavi dicendo che era necessario che andassi via.
Rimasi immobile, con un rimorso che mi avrebbe accompagnato per i giorni seguenti. Il cielo iniziò a ingrigirsi, le nuvole all'orizzonte si fecero sempre più vicine, rimasi lì, in attesa che accadesse qualcosa, che mi scrivessi un messaggio per comunicarmi che stavi meglio, che ti eri ripresa. E invece il vuoto.
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Amare stanca
RomanceRicordo come fosse ieri la prima volta che ti ho vista, e già allora avrei voluto dirti che ti ho aspettata come si aspetta la primavera coi suoi colori cangianti e pieni di vita; ecco cosa sei stata per me: vita che ti penetra sin dentro le ossa, t...