Capitolo 7

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29 Giugno 2018

"I passeggeri del volo diretto a Milano sono pregati di recarsi al gate per l'imbarco"

La voce metallica proveniente dai corridoi dell'aeroporto, rimbombò all'interno della piccola saletta di quel lounge privato in cui era stato accompagnato in attesa di poter salire sul suo volo diretto a Los Angeles.

Aprì gli occhi quasi di scatto ridestandosi da un torpore emotivo che lo aveva accompagnato per tutto il suo percorso fino all'aeroporto. Era stata probabilmente una reazione istintiva al dolore che gli aveva lacerato il petto nell'esatto momento in cui aveva lasciato Louis ancora disteso ed addormentato nel letto.

Aveva indugiato più del dovuto, lasciando che gli occhi si soffermassero su ogni parte della sua schiena scoperta fino a giungere alle fossette di Venere dove il lenzuolo sgualcito iniziava a coprirlo. Si era perso ad ammirare i suoi muscoli distesi, come il suo corpo esile ma tonico si muovesse a ritmo dei suoi respiri e la forma perfettamente imperfetta dei suoi capelli castani ancora scompigliati dal sonno e dalla notte appena trascorsa.

Si era imposto di non chiudere gli occhi neanche per un secondo: neanche quando sembravano non riuscire più a contenere tutte le emozioni liquide che si stavano accumulando nelle sue palpebre ancora stanche. Sentiva il bisogno di continuare a guardare, ancora ed ancora, fino ad imprimere ogni singolo dettaglio nella sua mente come un fotogramma indelebile.

Aveva soppresso l'istinto di avvicinarsi ancora, accarezzarlo, lasciargli un ultimo bacio sulla nuca e magari sussurrargli che non era un addio. Che non erano destinati a dirsi addio, solo lunghi e dolorosi arrivederci.

Non lo aveva fatto però . Nonostante ogni parte del suo corpo lo stava quasi pregando di avvicinarsi ancora una volta a quello disteso ed inerme del castano, la sua mente gli aveva riportato alla mente fotogrammi sconnessi dei giorni appena trascorsi alternandoli a quelli fatti di dolore e sofferenze degli anni precedenti. E la paura più cieca ed irrazionale aveva preso pieno possesso delle sue facoltà mentali.

Stava facendo la cosa giusta.

Aveva cercato di tenerlo a mente mentre si era incamminato all'indietro verso la porta.
Aveva continuato a ripeterlo mentre l'aveva aperta ed aveva notato il corpo del castano venir mosso da un sussulto leggero, come se avesse smesso di respirare.
Lo aveva ripetuto ancora una volta socchiudendo la porta di quella stanza che lo aveva visto amare ed essere amato dopo tanto tempo, mentre la prima di molte lacrime silenziose aveva iniziato a bagnargli il viso.

Continuava a ripeterlo anche in quel preciso istante : abbandonato senza forze su quella poltrona troppo comoda e colorata per appartenere ad un aeroporto.

Harry aveva bisogno di chiarezza e l'unico modo che aveva per farlo era allontanarsi dalla fonte di ogni sua debolezza.
Aveva bisogno di capire chi fosse diventato, chi avrebbe voluto essere e come avrebbe dovuto tenere a bada quell'uragano di emozioni che puntualmente si risvegliava ogni volta che si trovava a contatto con il liscio.
Perche il problema vero e proprio, per Harry, non erano i sentimenti che provava ma i ricordi e le paure che essi sprigionavano.

Non si sentiva ancora pronto, ancora abbastanza forte per intraprendere di nuovo un viaggio in quel blu totalizzante. Harry stava provando ad incollare ancora i pezzi dallultima volta, e temeva che anche un leggerissimo accenno di pioggia sarebbe riuscito a spazzare via tutto quello che era riuscito a mettere a posto nell'ultimo periodo.

Per questo lasciare Louis in quel letto risparmiando ad entrambi un saluto doloroso, abbracciare i suoi amici in maniera frettolosa senza dare loro spiegazioni e lasciare l'Inghilterra per tornare alla sua vita in America il più presto possibile, era la cosa più giusta da fare.

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