QUANDO i capelli sono perfettamente arricciati e sciolti sulla schiena, infilo due mollette sulle tempie per non farli ricadere sul viso.
"Vuoi i miei trucchi?" chiede Octavia.
Mi guardo di nuovo allo specchio. Ho sempre avuto gli occhi un po' troppo grandi, ma preferisco truccarmi poco: di solito solo un filo di mascara e burrocacao.
"Magari un po' di eyeliner?" dico, incerta.
Lei sorride e mi porge tre matite: una viola, una nera e una marrone. Me le rigiro in mano, indecisa tra il nero e il marrone.
"Il viola starà benissimo con i tuoi occhi», osserva, e io sorrido
ma scuoto la testa.
"Hai degli occhi fantastici, vuoi fare a cambio?" scherza lei.
Octavia ha dei bellissimi occhi verdi: perché mai dovrebbe invidiare i miei? Prendo l'eyeliner e traccio una linea il più sottile possibile, guadagnandomi un sorriso orgoglioso da parte di Octavia.
Il suo telefono vibra. «Jasper è arrivato», mi avvisa. Prendo la borsa,
mi sistemo il vestito e infilo le espadrillas bianche, che Octavia osserva senza commentare.
Jasper ci aspetta lì sotto: dai finestrini aperti della macchina esce musica heavy rock a tutto volume. Mi guardo intorno: ci fissano tutti. Resto a testa china, e quando alzo gli occhi vedo Lexa sul sedile del passeggero. Evidentemente era piegata in avanti e non me n'ero accorta.
"Signorine..." ci saluta Jasper.
Lexa mi guarda storto mentre salgo in macchina e mi ritrovo seduta proprio dietro di lui.
«Clarke Griffin, lo sai che stiamo andando a una festa e non in chiesa, vero?» mi dice, e nello specchietto vedo il suo ghigno.
«Per favore, non chiamarmi Clarke Griffin. Preferisco Clarke.»
Come fa a sapere il mio nome? Sentirmi chiamare Clarke Griffin mi fa pensare a mio padre, e preferirei non doverci pensare.
"Certamente, Clarke Griffin."
Mi appoggio allo schienale, indispettita. Scelgo di non insistere; non vale la pena sprecarci del tempo.
Guardo fuori dal finestrino per tentare di distrarmi dalla musi ca troppo alta. All'arrivo, Jasper parcheggia sul ciglio di una strada costeggiata da grandi case che sembrano tutte uguali. Il nome della confraternita è dipinto in lettere nere sulla facciata, ma non riesco a leggerlo perché è coperto da viti rampicanti. La grande casa bianca è decorata con nastri di carta igienica e da dentro proviene un rumore assordante, come nella migliore tradizione delle confraternite studentesche.
«È enorme, quanta gente ci sarà?» mormoro.
Il prato è gremito di studenti con bicchieri rossi in mano, alcuni stanno ballando. Mi sento un pesce fuor d'acqua.
"Parecchia. Sbrigati", risponde Lexa, poi scende dalla macchina sbatte la portiera.
Varie persone salutano Jasper dandogli il cinque e stringendogli la mano, ma Lexa viene ignorata. Mi stupisce che nessun altro di quei ragazzi sia coperto di tatuaggi come lei, Jasper e Octavia. Forse, dopotutto, stasera riuscirò a farmi qualche nuovo amico.
"Vieni?" mi chiede Octavia con un sorriso, scendendo dalla macchina.
Annuisco, e mi sistemo il vestito.