IV

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- Non scegliere prede di infima grandezza se è il rimorso a guidare il tuo istinto, perché dopo la fame pretenderà da te il triplo. -
Della preponderante dizione con il quale il padre gli aveva imposto le nozioni della prima caccia conservava le massime particolareggiate dall'ineluttabile rilevanza rivolta alla reproba pulsione che asseriva l'inutilità della mente nel volersi governare da sé.
Soltanto il nutrimento sostanzioso della vita strappata dalla carne che si dibatteva in nome della sopravvivenza, tenera e inzuppata di sangue, era in grado di scacciare lo spettro della consunzione senza che la fame lo attanagliasse come invece succedeva ingerendo meri palliativi.
Con ciò non significava che le falangi affusolate della sua natura esoterica fossero riuscite a ottenebrare il riguardo per le altrui esistenze, non quando con gli animali nerboruti soliti abitare le zone più isolate del vasto colle di sua proprietà poteva ugualmente oppugnare il ribollente discettare dell'odiato parente.
Non eccedeva in niente, a meno che questo non fosse unicamente legato al suo fabbisogno più grande, ma aveva stabilito regole precise sugli orari, il come e le aree dove sostentarsi, nonostante le malsane voglie degli adolescenti nel correre rischi inutili per un selfie sul ciglio di qualche burrone spesso e volentieri avessero suscitato un disappunto più propenso a servirsi dei loro baldanzosi colli piuttosto che a rispedirli ai propri cari con una multa per violazione di domicilio.
Con il sudore della caccia appena conclusa e le vene rimpinguate, accompagnò il deglutire di un nuovo boccone dilaniato a morsi dalle ossa dell'orso.
Era così stupido e forse del tutto inutile da parte sua, evocarne l'ultimo lamento, dopo averlo messo alle strette, costretto a una lotta che, in fondo, era inevitabile fra due predatori, ma dopotutto l'aveva scelto perché grosso, vecchio e piegato dalla solitudine.
Allo sfuggevole baluginare della fibra carnosa dinanzi un chiarore lunare ottuso da nubi passeggere, l'ennesimo schiocco ai danni della carcassa lacerata si arrestò dal venire ulteriormente consumato, in una vivida percezione che ne disserrò le labbra glabre sino a strapparne un respiro dai contorni impalpabili.
Fremette all'improvviso, in una nuova scia ferrosa che colò rubizza insieme alle sorelle languendo il profilo sporgente del pomo d'Adamo, ma non certo per il freddo, ormai distante perfino nel saperne scarmigliare la frangia tanto si era resa indifferente nel posarsi sulla sua pelle.
No.
Potè chiaramente avvertire la differenza nella voce che lo riportò con la mente lungo i corridoi della sua magione, ribellarsi all'eco di parole erose da una memoria ancor più usurata al fine di temprarsi di un'appartenenza che nella sua improvvisata seppe attirarlo a sé ancor prima che il richiamo fosse del tutto instillato.
Un qualcosa giunto a lui al punto da indurlo a rispondergli senza che neppure se ne fosse reso pienamente conto.

La cornice grattata di un quadro alla cui tela assente si sostituiva uno specchio d'acqua nera che con braccia tentacolari la afferrava e la inghiottiva non aveva mai dettato dei sotterfugi per avvicinarla sicchè era sua implicita legge dominare quel limbo avvoltolato dall'infinita permanenza delle ombre.
Ogni suo preannunciarsi stabiliva un momento, perle di un filo sciolto che il caos manovrava per mano della loro medesima inerzia.
Non era tanto l'ordine con il quale congiungerle a incarnare la fatica più grande, quanto la verità che puntualmente le si mostrava con scarnita misura.
Ma stavolta il cambiamento è percettibile nella sua immediata trasparenza.
Per la prima volta le iridi si animano, mettono a fuoco, rotolando lungo un bordo iridescente.
La voce si arrampica su per la gola, sfilacciandosi in sorrisi e parole con un Lui di cui avverte la vicinanza, tanto da sentirla sua come tutto ciò che fino a quel momento le si era negato.
I suoi lineamenti, appena rilevati, li vede emergere gradualmente dalle distinte nebbie oniriche e condensarsi in una sagoma umana, ma per quanto si sforzi di scrutarla con le reminiscenze ad agganciarsi fra loro, questa rimane esattamente dov'è, risultando ancora una volta sconosciuta.
Fissandola inconsciamente, cristallizzata in un'obbligata immobilità, con il presente scostato dal potersi imporre su di lei, le palpebre infine si disserrano, al che dovette stringerle in reazione al sottile contorno di abbacinanti sprazzi che lentamente allargano i loro confini, fondendosi in un'unica macchia.
Una dolce brezza stormisce le bianche corolle degli asfodeli slargatasi dal pavimento pittato di nero, fra gambi che si strofinano contro il dorso dei piedi nudi, inzaccherandoli di scie terse nel loro lucore.
- Una dedica a vostra madre? -
- Alquanto banale, oltre che lugubre, me ne rendo conto... -
- Perché mai? -
- Secondo antichi saperi, la realtà greca ha vincolato gli asfodeli al mondo dell'oltretomba: pochi sono i luoghi a cui le ombre dei defunti è permesso di aggirarsi senza disturbare i vivi e i campi che sono ricolmi di questi fiori sono fra i più noti. Come ho detto, alquanto banale come scelta... -
- Se lo fosse non credo vi sareste prodigato tanto per far dono a vostra madre di un giardino così splendido. -
Ancora una voce, ancora una risposta, un copione di cui si sente padrona e al tempo stesso spettatrice mentre tutto sfrigola velocemente fra lenzuola di vapore, troppo, annerendosi di colpo, travasandola da uno scenario all'altro, caleidoscopici nei solchi fluorescenti dentro cui sbatacchia impotente sino a quel balcone che nuovamente la vede bucare il vento con il suo precipitare.

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