II

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Il brulicare di Londra venti piani al dì sotto del suo stagnava nella medesima e inarticolata concitazione con il quale soleva destarsi, con le mete dei passanti a conferire ai marciapiedi un moto ondoso nell'intrecciarsi fra loro, chi più velocemente e chi con più zelante serenità.
Fosse dipeso dall'anima pia di sua madre, Izuku non avrebbe mai abbracciato l'ardire di una follia come abbandonare la garantita sicurezza di un paesino perfettamente inquadrato nella totale mancanza di criminalità, sicchè saperla sotto la tradizionale ala della cultura d'ufficio vicino a casa ne preveniva l'ansia materna, e tuttavia il suo resoconto più che dettagliato sulla moltitudine di pericoli che una giovine prossima ai vent'anni come lei avrebbe potuto contrarre in una città tentacolare nelle mastodontiche vetrate atte a rifletterne le arterie ingolfate dal traffico, non era bastato far valere le sue preoccupazioni di genitrice dinanzi alle ben più significative giustificazioni dell'erede in merito, impugnante la ferrigna ragionevolezza a volersi realizzare con un incarico molto più remunerativo e costruttivo per la sua carriera.
Certo, era occorsa la promessa di chiamarla tutte le sere e il liturgico impegno di venire a casa almeno un weekend al mese per acquietarne l'ingenita apprensione, ma anche condannando i polpastrelli a un ininterrotto tamburellare su una tastiera che doveva aver visto tempi migliori, Izuku Midoriya non avrebbe rimpianto nulla di quei tre anni all'insegna dell'indipendenza.
Anzi, due.
Negli ultimi dodici mesi, la ridondanza di sogni disserrati da un'immaginario cassetto si era permeata di una sfumatura gradualmente consumatasi nella sua attuale esasperazione a non congiungersi con alcun sonno ristoratore, oltre che a non comprenderne la natura in ogni suo ritornello, in ogni suo affondo, da cui zampillava una profonda nostalgia, astrusa e al contempo inintelligibile nel negarle il fondo ricercato.
Che poi, definirli sogni suonava alquanto forzato: la consistenza in gioco si adattava perlopiù a una tavolozza impiastricciata, schizzi definenti un contorno elusivo nelle voci carpite.
Eppure in quel dire onico si slacciava molto più che un narrativo affetto colloquiale: vi era un'intesa, di avvolgente tepore, coltivata nei riguardi di un'intimità lentamente divenuta amore per come ogni suo inabissarvisi dentro la inducesse automaticamente a vivere un frammento in maniera diversa dal precedente, di intensità verosimile malgrado la semplicità con il quale a poco a poco le si rivelava.
Come risultato, gli effetti corroboranti della prolungata insonnia non avevano tardato a rivendicare la proprietà dei suoi lineamenti, giocando sulle sue sensibilità, gli occhi in primis, illividiti dal malaticcio pallore che il fondotinta stemperava a malapena; per le emicranie, invece, si era dovuta organizzare con potenti antidolorifici onde sopportare meglio anche la prolungata simbiosi con il computer.
A fianco di esso, troneggiava una piccola torre di cartelline monocolore con solo un post-it fluorescente a recitare la diversità delle pratiche contenute.
L'ultimazione della più recente ne stava vedendo gli occhi rimbalzare dalla carta alla schermata, motivati dall'impeccabile acribia a non mescere le informazioni in un groviglio che avrebbe richiesto uno sforzo ulteriore ai suoi già provati neuroni.
Stava giustappunto meditando di prenderne un'altra aspirina dal blister - la seconda dacchè era giunta in ufficio -, i gomiti a puntellare le braccia di modo che le mani fossero libere di chiudersi a coppa attorno il viso, quando l'aroma bollente di caffè appena preparato le si strofinò contro il naso.
- Intingici gli occhi anziché berlo. Magari è la volta buona che ti svegli. -
L'amichevole stoccata di Shinso le strappò il primo sorriso della giornata, corrisposto da una copia ben più spiegazzata.
A differenza sua, di discendenza giapponese unicamente per nome e connaturata formalità sicchè degli antenati radificatisi in Inghilterra secoli addietro permaneva un'annacquata erudizione, quella di lui si esibiva con l'accentuata proverbialità di chi aveva abbandonato la madre patria da non meno di qualche anno.
Durante il primo approccio aveva subito fatto vanto di maniere troppo riservate perché ella ne ignorasse la natura natura predisposta agli onorifici nipponici e altresì ruvida per certi aspetti, pertanto erano stati il clima di competenza integerrima e la genuina pervicacia immessa negli incarichi congiunti a sbozzare il ginepraio iniziale, innalzandolo ad apripista per quell'affiatamento annoverante addirittura qualche drink dopo l'orario d'ufficio.
Era stato proprio lì, nel mezzo di un tranquillo sorseggiare suggerito per stemperare la canicola estiva, che Shinso le aveva narrato di come fosse stata la proposta lavorativa del suo vecchio mentore e loro attuale superiore, il Signor Aizawa, a suo tempo trasferitosi a Londra, a esortarne l'imbarcazione verso una terra completamente diversa dalla propria.
- E' andato tutto bene in riunione? - Chiese quest'ultima.
- Hai davvero la faccia tosta di chiedermelo' - Il giovane le scoccò un'occhiataccia fumantina che, reputare offesa, sarebbe equivalso pressappoco a un eufemismo. Una novità se si considerava il di lui aspetto, da cui si evinceva che ogni plausibile meraviglia rasentasse un'addomesticata sorpresa, piatta e per nulla loquace; il pizzico di disordine che ne governava le ispide ciocche violacee scoperchiavano le biglie nere sostituitesi alle pupille, che dell'insonnia padroneggiavano sadismi ben più caustici di quelli sofferti da lei - Come vuoi che sia andata? Uno schifo. Esattamente come avevo predetto. -
- Non può essere stata così catastrofica -, cercò di rabbonirlo.
- Facile dirlo quando non si è stati coinvolti -, borbottò quello di rimando.
- Se tu mi delucidassi al riguardo potrei darti un giudizio più obiettivo. -
Le labbra scolorite dell'amico si arricciarono in un sbuffo.
Non avendo idea, men che meno la forza di imbastire un'approfondita disquisizione, masticò la questione con grossolana sciorinata che si tradusse con "Un tizio vuole disfarsi del suo castello".
- Un castello? -
- Sì. Sai, quei grossi affari di pietra che andavano di moda nel medioevo: con i ponti levatoi, le camere merlettate e i fossati dove gettare i visitatori poco graditi...Per farla breve, qualche settimana fa il proprietario ha contattato l'agenzia esprimendo la decisione di cedere il proprio per andare a stabilirsi altrove. Fino ad ora è stato il Signor Aizawa a mediare gli accordi con il cliente e il compratore, concludendo anche l'acquisto della nuova abitazione per il primo... -
- Ma? -
- Trattandosi di un edificio antico e pertanto munito di delicato ciarpame, la politica della Plus Ultra prevede che un'impiegato affianchi il cliente nella gestione degli aspetti tecnici e burocratici che, per forza di cosa, devono essere trattati e visionati con un incontro faccia a faccia. Per anzianità e competenze maturate se ne sarebbe dovuto occupare il Signor Hizashi ... -
- Ma considerato il febbrone da cavallo che lo tiene bloccato a letto, il Signor Aizawa ha dovuto vagliare fra i suoi migliori elementi un sostituto che rendesse onore alla nostra agenzia -, ne concluse la collega.
- Non ci provare a indorare la pillola! Parliamo di un castello! Un castello! - Eruppe il ragazzo in un'iraconda manifestazione di schietta frustrazione - Non è certo una faccenda liquidabile in un paio di giorni o in una settimana! -
- Se è per i tuoi gatti che sei preoccupato posso prendermene cura io -, si offrì giuliva lei.
- Ridi, ridi pure...Tanto non sei tu quella che deve andare dall'altra parte del continente, nella terra di chi-sa-dove, magari in mezzo ai lupi, per un maniero del cavolo -, bofonchiò l'ormai vittima designata, con la mano a gettare malamente la pratica sulla propria scrivania.
Così in bella vista fu un'esortazione a spulciarne le peculiarità, una curiosità che Izuku non tardò a soddisfare con il braccio allungatosi per afferrare la cartellina, leggendo i primi dati anagrafici e i successivi allegati.

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