Guerra

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«Siamo in guerra.»
Il tintinnio delle posate sui piatti terminò immediatamente, anche le lenticchie sembravano non trovare più la strada per il mio stomaco, rimanendo sospese nella trachea, o forse era solo la mancanza d'aria, il senso di soffocamento che mi diede quella notizia, che mi diedero questa sensazione. Guerra. Una parola piccola e stupida, l'avrei definita inutile se solo non avessi saputo tutto il carico di disperazione che portava con sé.
Mia madre spalancò gli enormi occhi castani e si voltò verso papà impallidita.
"Stai zitta", pensavo, "stai zitta!"
Ma niente, lei parlò.
«In guerra, contro chi?»
Mio padre le rivolse un'occhiataccia, unico segnale del fatto che non apprezza voci femminili a tavola, soprattutto non apprezza interessi femminili su questi argomenti.
«Il Regno del Fuoco» risponde solo lui.
Osservai mia madre seduta di fronte a me al tavolo, e notai sul suo viso quella che doveva essere la mia stessa espressione. Persino i quadri della sala da pranzo si voltarono verso mio padre orripilati.
Guerra. Che modo idiota di chiamare uno stupido trucidarsi.

«E contro chi? Perché?»

Mia madre non riusciva a stare in silenzio, sembrava non conoscere ancora suo marito. Lui per tutta risposta la osservò gelido, prima di riprendere la sua cena. Non una spiegazione, niente.
Guardai il mio piatto spaventata, le lenticchie mi osservavano di rimando, sarebbero rimaste lì.

Il Regno del Ghiaccio non era mai stato un luogo amichevole e ospitale, e soprattutto non era mai stato un luogo pacifico. Guerre su guerre si alternavano da quando ne avevo memoria e ormai per me erano semplice routine. Non ero io ad andare a combattere, tutto ciò che accadeva sul campo di battaglia era talmente distante da me da sembrarmi un racconto. Nonostante ciò, il tono di mio padre mi fece tremare.
Era irato come non mai, non ci aveva detto alcun dettaglio sulla guerra, ma sentivo che qualcosa l'aveva toccato sul vivo.

«Ma insomma Reshard, vuoi rendermi partecipe della sorte del nostro paese?»

Strinsi forte gli occhi preparandomi a qualche schiaffo, mia madre non voleva proprio imparare. Stranamente però, mio padre decise di borbottare qualcosa in sua risposta.

«Siamo in guerra contro il Regno del Fuoco. Non ti interessa altro.»

Mia madre sobbalzó.

«Il Regno del Fuoco? Ma siamo sempre stati alleati! Cosa è accaduto? Perché proprio contro di loro?»

«Thae! Non è roba che interessa una donna!» eccolo, quasi attendevo la sua esplosione. Scostò la sedia dietro di lui, mentre mia madre grazie al suo potere scompariva dalla mia vista e, non potendo sfogare su di lei la sua ira, mandò a chiamare Reka.

Reka era una semplice inserviente, abitava nel palazzo insieme agli altri domestici e come tutti loro si dedicava a qualsiasi faccenda fosse necessario fare. Era una ragazzina piccola e anonima, non sapevo perché mio padre chiamasse lei ogni volta che aveva necessità di calmarsi o sfogarsi, credevo avesse il potere di tranquillizzarlo.
La vidi arrivare dopo poco correndo, con lo sguardo basso e la voce flebile, udibile a stento. Tremava, chissà da dove stava arrivando, come si poteva intuire dal nome, nel Regno del Ghiaccio faceva davvero freddo.
Mio padre calò il suo sguardo su di lei, studiandola, e un attimo dopo già sembrava più paziente.

«Reka, avviati nella mia stanza. Arrivo subito.» Si voltò poi verso un altro domestico ordinandogli di convocare generali e ufficiali nella sala da biliardo, proprio ciò che aspettavo!

Mi alzai anch'io e mi diressi veloce nella mia stanza. Sentivo il pesante abito pomposo strusciare sulle pellicce che adornavano ogni centimetro di quel palazzo e mentre quasi correvo, impaziente di saperne di più, sussurrai delle parole alla mia dama di compagnia.

«Branska, senti cosa sta dicendo mio padre.»

Dalla sala da pranzo dovevo attraversare un'intera ala della reggia prima di giungere alla mia camera. Il palazzo era enorme, arrivava a toccare quasi ogni punto del Regno del Ghiaccio, si diramava su di esso come un polipo, i cui tentacoli erano ulteriori corridoi ricoperti di legno e pellicce. Frequenti erano i camini lungo il percorso e frequenti le vetrate ghiacciate che davano all'esterno.

L'esterno.

Il luogo che sognavo visitare più di ogni cosa, ma che mi era proibito per il troppo freddo. Eppure la gente ci viveva lì. Quando riuscivo a oltrepassare la stretta sorveglianza che mio padre mi riservava ogni giorno, correvo nei corridoi che davano al centro del Paese, a spiare tra la vita dei popolani, della gente libera. La loro era una vita dura, era evidente persino a me, eppure quasi li invidiavo.
Anche quella volta guardai fuori da una finestra, il vetro era ghiacciato quasi fino alla cima, ma riuscii comunque a intravedere l'esterno. In quel punto c'erano i giardini del palazzo, ampi terreni bianchi decorati da sculture di ghiaccio. Erano poetici.
Non mi persi però nella contemplazione e ripresi il cammino, giungendo finalmente alla mia camera.
Branska era seduta su una poltrona ricoperta di pellicce e coperte, il viso concentrato e imperlato di sudore. Mi sedetti sul letto in attesa, gettandole di tanto in tanto uno sguardo spaventato.
Dopo poco si accorse della mia presenza e rinvenne.

«Vostro padre ha convocato ministri e uomini di guerra per discutere sulle strategie di battaglia.» La voce era un sussurro, come temesse di poter essere udita a sua volta, dimenticandosi che quello del super udito era solo un suo potere. «Sono disperata! Una guerra, mia dolce padrona! Una guerra!» Si portò una mano sulle labbra spalancando gli occhi lacrimosi.

«Branska, continua: di cosa ha parlato mio padre?»

Lei sospirò, mi studiò, sospirò ancora.

«Ciò che sto per dirvi non sarà piacevole.»

«Non fa niente, devo sapere.» La vidi mordersi le labbra e guardarsi intorno come in cerca di aiuto.

«Il Regno del Fuoco ha rifiutato la richiesta di vostro padre. Aveva chiesto trecento anime, non so bene per cosa... Qui di servitù ce n'è a bizzeffe. In ogni caso, ha richiesto trecento persone e ha ottenuto una porta in faccia, ma non solo. Vostro zio Morlod è stato ucciso in battaglia.»

«Zio Morlod!» Sbarrai gli occhi atterrita.
Ora la guerra era reale davvero.

Non riuscivo a capire perché mio padre avesse bisogno di trecento anime, non aveva minimamente senso. E per quella folle richiesta aveva perso suo cognato, mio zio. Mi strinse il cuore al pensiero di come l'avrebbe presa mia madre.

«Però, ecco...» Guardai Branska e la spronai nuovamente a continuare, sembrava quasi temere di parlare. «Vostro padre ha parlato di un pezzo di spada: vicino al cadavere di vostro zio è stato ritrovata la scheggia di una spada, il re è sicuro di poter rintracciare il suo proprietario. E non solo, vostro padre si vantava del sangue ritrovato invece sulla spada di Morlod. È convinto che l'omicidio di Morlod sia stato già vendicato da Morlod stesso, dunque state tranquilla, padroncina, non c'è più alcun assassino in giro.»

La osservai riflettendo: l'assassino dunque aveva una spada scheggiata e una ferita. Sarebbe davvero stato facile trovare un uomo con quelle caratteristiche nel bel mezzo di una guerra?

The Ancient Ballad Of A Knight and A QueenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora