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Percorrevo spesso quella via secondaria della città. Il rombo dei motori, le urla dei bambini; tutto sembrava amplificare il caos nella mia mente. Oramai le stagioni si erano susseguite fino a completare il loro ciclo e per quanto il tempo a mio disposizione fosse stato tanto, nulla di nuovo era emerso per il caso Omega.

Il lavoro procedeva a rilento; scandito dalla quotidianità delle mansioni affidatemi e accompagnate dal perenne sentimento di nervosismo causato dall'incapacità di ricordare nulla riguardo il passato. Nulla. La mia vita sembrava ora una tela bianca, ma che non riuscivo a riempire con colori nuovi senza pensare a quel simbolo, alla lettera Omega. Era diventata la mia ossessione, il soggetto attorno al quale ruotava la mia vita. Una lettera tanto semplice da replicare quanto difficile da comprendere fino in fondo.



Ma caso volle che quella strada secondaria, per quanto tranquilla e banale mi fosse apparsa fino a quel momento, quel giorno divenne una delle vie più importanti della mia vita.

Aveva piovuto molto quella mattina, il profumo della pioggia permeava l'aria. Il cielo era ancora cariche di nubi e forti folate di vento mi fecero stringere ancora di più all'impermeabile troppo sottile e non adatto a quelle temperature. Amavo la pioggia, amavo guardare il cielo rabbuiarsi come la mia mente ed amavo guardare le pozzanghere di fango immaginandomi una me bambina che le saltava con una gioia indescrivibile. I miei sogni ad occhi aperti non erano però destinati a durare ancora per molto. Qualcosa attirò la mia attenzione.

Un gemito roco di sofferenza.

Mi fermai sul posto con la schiena ritta e orecchie ben attente a captare l'origine del lamento. Una parte di me mi urlava di non ascoltare, di far finta di nulla giustificando il rumore come il prodotto di uno strano scherzo del vento, ma l'altra, che ebbe il sopravvento, mi incoraggiava a prestare maggiore attenzione e a ricercare da dove provenisse.

Mi incamminai molto lentamente, curandomi di non produrre alcun rumore possibile che potesse distrarmi.

Un altro gemito. Più vicino proveniente dalla mia sinistra.

Mi voltai con fare curioso notando un varco nel muro che fiancheggiava la strada. Mi affacciai notando che l'ingresso dava all'interno di quello che sembrava una bottega fallita da tempo.

L'interno era in penombra, illuminato flebilmente dalla poca luce atmosferica che si infiltrava da piccole aperture prive di serrature. Misi piede all'interno mossa dalla curiosità mista ad adrenalina e dopo qualche attimo mi parve vedere un'ombra mutare forma dal quale provenne un altro gemito.

Con passo poco deciso, titubante sul da farsi, mi avvicinai verso l'angolo dal quale proveniva il lamento.

Un uomo.

In quel lembo di oscurità era accasciato un uomo e a causa della scarsità della luce mi dovetti avvicinare di molto per osservare meglio le sue condizioni. Più ero vicina e maggiore era l'odore di sangue che andava anche ad attaccarsi alle suole delle scarpe tanto era sparso sul pavimento vicino a lui.

"Signore mi sente?" ma non ricevetti nessuna risposta.

Mi abbassai alla sua altezza e con fare delicato appoggiai una mano sulla sua spalla scuotendolo richiamandolo ancora. Avrei voluto chiamare l'ambulanza o rischiarare la stanza con la luce del telefono, ma purtroppo questo era totalmente scarico. Non potevo di certo lasciare morire un uomo in fin di vita.

"Signore la prego mi risponda" domandai ancora insistendo sulla presa delle spalle.

Mosse con sofferenza il capo aprendo debolmente gli occhi che appena distinsero la mia figura, si fissarono con confusione nei miei. Si era spostato giusto quel poco per vedere meglio il suo volto ora appena delineato dalla fioca luce esterna.

Qualcosa scattò in me. Non mi era nuovo quel volto.

"Purtroppo non riesco a vedere bene quali siano le sue condizioni e non ho neppure un telefono funzionante per chiamare. Come si sente?" la mia domanda mi suonò alquanto stupida sentendo il pungente odore di sangue.

L'uomo però non rispose stringendo gli occhi come a sopportare un dolore lancinante e nell'immediato dopo le palpebre si distesero stanche seguite dal capo orami privo di conoscenza che si accasciò sul lato.

"No, no la prego" Provai a scuoterlo nuovamente senza successo. Decisi di agire come meglio potevo.

Corsi velocemente fuori dalla bottega raggiungendo la macchina poco distante che parcheggiai di fronte al vecchio edificio. Uscita dall'abitacolo mi precipitai all'interno dell'ambiente dove ancora giaceva senza conoscenza lo strano uomo. Con tutta la forza presente nelle braccia lo trascinai fuori a peso prendendolo sotto le ascelle e lo caricai in macchina. Purtroppo quella via secondaria era poco frequentata e non c'era anima viva che passasse per i dintorni. In quel momento realizzai del perché, forse, era così poco utilizzata.

Lo caricai in macchina nei sedili posteriori e guidai il più veloce possibile verso l'ospedale più vicino, che però distava molti minuti dall'attuale posizione.

Ero quasi giunta a destinazione quando sentì dei versi provenire dal passeggero, si era svegliato.

"Non ti preoccupare, ora starai meglio. Ti sto portando in ospedale" Dissi cercando di farli capire cosa stesse accadendo.

"No Ospedale" sentì rispondere con un sussurrò dall'uomo ferito.

"Come?" sperai di aver sentito male, ma quel giorno l'udito sembrava tutt'altro che tradirmi.

"No Ospedale, ti prego No" ribatté più sicuro.

Per quanto potessi costringerlo con la forza, qualcosa nella sua voce sembrava aumentare le certezze di averlo già incontrato prima. Forse era lui il tassello mancante per comprendere il mio passato.

Seguendo l'istinto e la bramosia di scoprire qualcosa che da tempo non mi dava tregua, decisi di portarlo con me a casa.

Dark SecretsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora