Capitolo due

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Avrei voluto ricordare il mio primo viaggio in aereo come una bella esperienza, ma la nausea non mi ha abbandonato nemmeno per un istante. Per tutto il viaggio ho pensato a come sarebbe stato il mio incontro con Hunter Sidonio Johnson, il misterioso figlio di Amber, e al fatto che sicuramente dover condividere la propria casa con due sconosciuti non gli vada molto a genio. Considerando che non si è mai interessato a noi dubito che diventeremo amici. 

Atterrati in aeroporto ringrazio il cielo di essere arrivata sana e salva, ma cambio idea davanti alla vastità della struttura che ho di fronte. 

"Tranquilla, Amber dovrebbe essere qui da qualche parte," dice mio padre vedendomi un po' scossa. 

Annuisco poco convinta e lo seguo all'interno dell'aeroporto, dove cerchiamo di non perderci sperando di trovare Amber il prima possibile. All'uscita del terminal la troviamo ad attenderci con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia. Appena mio padre la vede le corre incontro, e i due si stringono in un abbraccio interminabile. Quando si separano lei sembra accorgersi della mia presenza e viene a salutarmi; è sempre stata molto gentile con me. 

"Questo è mio figlio Hunter, - dice indicando un ragazzo dietro di lei -  sono contenta che finalmente abbiate la possibilità di conoscerlo."

Hunter, dopo due anni e mezzo il ragazzo ci degna della sua presenza. La luce artificiale dell'aeroporto crea un gioco di riflessi sui suoi capelli mori, e mentre si sposta il ciuffo con un gesto annoiato noto con stupore i vari tatuaggi sulla sua mano. I suoi grandi occhi grigi mi squadrano dalla testa ai piedi e mi sento subito in soggezione. Dopo aver salutato mio padre con una vigorosa stretta di mano si avvicina a me e il suo sguardo è freddo come il ghiaccio, ma cerco di non farmi intimorire. 

"Ciao," dice lui quasi sputando le parole. 

"Piacere, Olivia," gli porgo la mano accennando un sorriso amichevole.

Lui fissa la mia mano per qualche secondo, poi la stringe, ma capisco che lo fa solo per essere cortese. 

"Credo che sia arrivato il momento di tornare a casa, che ne dite?" dice Amber tentando di allentare la tensione. 

Durante il viaggio in macchina Amber e mio padre continuano a parlare senza sosta, mentre Hunter ascolta la musica guardando fuori dal finestrino. I nostri genitori provano a inserirci nella conversazione, ma Hunter li ignora e io riesco solo a dire qualche parola. Non vedo l'ora di arrivare a casa per potermi chiudere in camera a leggere un libro, perché mi è già chiaro che io e Hunter non potremo mai essere amici. In fondo lo capisco, per lui sono solo un'estranea con cui deve comportarsi al minimo della decenza, non dobbiamo per forza diventare amici. Non do peso alla cosa, sono abituata a stare da sola. 

Sento il rumore della portiera che si apre e distolgo la mente da quei pensieri. Dall'esterno la casa sembra ben curata e noto un grazioso giardinetto con molti fiori colorati. 

"Ti piace?" chiede Amber notando il mio sguardo. "Ho sempre avuto la passione per il giardinaggio".

"Si, è molto bello," rispondo e spero che un giorno anch'io troverò qualcosa in cui essere brava.

"Ho sentito che molte coppie a Los Angeles fanno giardinaggio," dice Amber voltandosi verso mio padre. Sorrido notando che è arrossito un po'. 

"Perché non fai vedere a Olivia la sua camera e l'aiuti a portare su la sua valigia?" 

Hunter alza gli occhi al cielo, ma accetta controvoglia e mi accompagna verso la mia nuova stanza. Lo seguo su per le scale e nessuno dei due rivolge la parola all'altro; arrivati davanti alla porta, Hunter posa la valigia e scompare dietro l'angolo del corridoio. La stanza è spaziosa ma non la sento mia, mi ci vorrà un po' per abituarmi a tutto questo. Ripenso alla mia casa a Grape Creek e mi chiedo se tornerò mai lì, da mia madre e dai miei ricordi. 

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