𝑪𝑯𝑨𝑷𝑻𝑬𝑹 𝑶𝑵𝑬

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Era un soleggiato pomeriggio estivo, la calura faceva si che le persone cercassero rifugio nei luoghi freschi e all'ombra. Nelle case i ventilatori o condizionatori erano accesi per cercare di diminuire la soffocante presenza del caldo. Una delle estati più calde.

Ophelia era come sempre bloccata nella sua fresca camera. Quattro mura che la facevano sentire al sicuro ma allo stesso tempo le facevano sembrare di essere in gabbia. Strano da dirsi, lei non è mai stata una che usciva volontariamente, e spesso, di casa. 

Era li, seduta sulla sedia della scrivania mentre fissava il tavolo bianco, immersa nei suoi pensieri.

Ethan... Ethan... Ethan...

Le rimbombava in mente il nome del misterioso ragazzo che la notte precedente le si era seduto accanto. Si ricordava ogni singolo tratto del suo viso, I capelli bruni, gli occhi scuri ma affascinanti, le labbra rosse e il colorito roseo sulla pelle morbida delle guance. 

Sbatté le palpebre mentre si alzava dalla comoda sedia e si avvicinava alla mensola dall'altra parte della stanza. Avvistò il suo obbiettivo, il libro che aveva ieri sera, il libro che avevano ieri sera. Toccò il dorso dello scritto con leggerezza, come se avesse paura di rovinarlo, e pian piano lo sfogliò. Dentro potevi trovare i vari appunti della ragazza, pensieri profondi e note di contrasto con alcune delle poesie che riteneva non veritiere; d'altronde aveva tutto il diritto di esprimere la sua opinione su quelle splendide opere. In silenzio iniziò a leggere, tentando di distogliere l'attenzione da Ethan, ma  non funzionò. Si chiedeva perché il pensiero di lui continuasse a perseguitala. Non le era mai successo di ripensare a una persona, soprattutto se non la conosceva nemmeno. Per una ragazza come lei poi...

Decise di mettere della musica per distrarsi, quella funzionava sempre. La musica era sempre stata una parte fondamentale per Ophelia, era la sua valvola di sfogo, era la cosa che la faceva sentire protetta e capita. La sua relazione con la musica era una cosa unica per lei, quando la vedevi girovagare per i corridoi di scuola o per strada le poche volte che usciva, indossava spesso, se non sempre, un paio di cuffiette. Si estraniava dal mondo esterno, creando una barriera tra lei e le persone, fra lei e la sofferenza. Anche se soffriva di più stando sola, senza che se ne rendesse conto, o forse, semplicemente, non accettava quell'idea. Come le emozioni negative che vi fanno star bene e male allo stesso tempo, e poi quando vi ricollegate alla realtà capite quanto in realtà vi stiano solo addolorando.

La canzone che stava ascoltando si stava ripetendo in loop mentre la accompagnava in una dolce danza su note leggiadre. La canzone finiva e neanche un secondo dopo riiniziava facendola coinvolgere sempre di più, finche non le si chiusero le palpebre, facendola cadere in un sonno leggero.

Si svegliò al suono di una voce che la chiamava, era sua madre che la avvertiva della cena.- Ophelia, svegliati subito - disse la donna mentre entrava nella camera della ragazza senza nemmeno bussare. Ophelia non capiva il senso di invadere la privacy altrui, "se la porta è chiusa si deve bussare " le ripeteva sempre la donna, anche se poi era la prima a non rispettare le sue stesse regole.  

Sua madre era una donna sulla cinquantina, aveva una capigliatura corta e bionda, gli occhi azzurri e l'espressione severa sempre stampata sulla sua faccia ben tenuta. Doveva ammetterlo, era una donna bellissima. Si chiamava Leda.

- La cena è pronta, muoviti - disse con durezza la madre mentre Ophelia con riluttanza e rassegnazione eseguiva i suoi ordini.

 Non aveva mai avuto un bel rapporto con sua madre, lei la bacchettava e la teneva sempre in riga, "nessuno sbaglio e nessuna punizione" ecco qual era il suo mantra. Ophelia aveva provato a farle capire il suo punto di vista nell'avere una rigida istruzione comportamentale e di dovere verso una ragazza sedicenne, ma era tutto inutile.

My Soul is Yours and Yours is MineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora