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Il Derbyshire mi è sempre piaciuto... Non che io abbia viaggiato chissà quanto, però qualche scampagnata in famiglia mi è stata d'insegnamento per capire qualcosa di più della mia terra e dei miei compaesani. Gente a modo, disponibile, anche se, per carità, c'è sempre il soggetto di turno un po' ambiguo cui fare attenzione.

Anche adesso, in un momento di pausa dai campi, mentre passeggio, mi salutano , con più o meno entusiasmo, alcuni passanti. Resto sempre colpita dalla gentilezza altrui, non è qualcosa da dar per scontato. Ho imparato, tralaltro, a non illudermi di ricevere sempre del bene... È naturale per ogni persona essere un po' sottotono e rispondere acidamente a chiunque le si presenti davanti, me in primo luogo.

Mi perdo spesso a pensare, non solo riguardo alla mia vita o a quella di chi conosco, anche in merito a storie surreali (ancor meglio se intrise di romanticismo).

Sebbene mi piaccia la mia vita, che non cambierei mai con quella di nessun' altra persona, sicuramente meno agiata, in parte mi sento intrappolata dalla solita routine di famiglia. Ecco perché mi ritrovo spesso ad evadere con la mente.

Immagino il momento della mia vita in cui sarò indipendente dai miei genitori e vivrò in una mia dimora (possibilmente vicino ad un piccolo laghetto o altro corso d'acqua) con l'uomo più vicino alle mie aspettative e almeno due pargoletti.
Però realizzo che, se continuo così, nella solita normalità, non avrò mai modo di dare una svolta a tutto... E comunque ho pur sempre diciassette anni, comprendo che non potrei mai aspirare a chissà quale libertà.

Sento un po' di frastuono di cespugli e calpestio di foglie secche.

"Rose, sei tu?".
D'istinto mi volto ed è lui, Robert, il solito fratello maggiore premuroso e protettivo.
"Sono le undici, i nostri ti cercano: c'è bisogno che ti prepari urgentemente per il pranzo".

"Come mai così in anticipo? A mangiare dovremmo essere solo in quattro, no?".
Rispondo, rammentando che i nostri fratelli siano ospiti (autoinvitati) dei nostri zii del South Yorkshire.

"A quanto ho inteso, nostra madre ha una certa fretta, non saprei dirti altro se non di darci una mossa... Ha pagato la signora Forbes per poter usufruire di qualche consiglio da parte della sua governante e dell'aiuto della servitù".

Dopo venti minuti circa siamo davanti al cancelletto di casa, ed è vero: nostra madre è davvero indaffarata. Sento la governante (a noi estranea) sgridare la servitù per la tovaglia e i tovaglioli scelti.

Mi appresto ad entrare in casa, cercando mia madre. La trovo nella camera padronale, con qualche decina di vestiti riversi sul letto e nastri qua e là.

"Rose! Diamine, quanto ritardo!", mi richiama in tono piuttosto seccato.
Cerco di spiegarle che non mi aspettavo di certo di ricevere ospiti, ma riprende immediatamente a parlare: "Su, prendi quel vestito e corri a prepararti".

"Si può sapere chi è a destare tanta frenesia per il proprio arrivo? Sono qui da qualche minuto e mi trovo nel mezzo dei preparativi della festa dell'anno! E poi, perché avremmo dovuto spendere denaro per la servitù? Non bastavano le nostre abilità per preparare il necessario? ". Finalmente posso chiedere spiegazioni.

"Hai ragione, tutto questo frastuono mi sta danno alla testa e non sai ancora quel che accade... Ci è arrivata una missiva, stamani, per cui tuo cugino Travor e i suoi genitori, tuoi zii, son diretti a Nord e passano qui per soggiornare un paio di giorni". Racconta, mentre si dirige verso la sua toilette.
Poi aggiunge, strillando: "Per la cronaca, la servitù ci è d'aiuto a sistemare tutto l'occorrente dei prossimi giorni. Santa pazienza, preparati e sistema quei capelli".

Nostro cugino Travor. E i suoi genitori. Resto sorpresa al mio posto, immobile.
E noi dovremmo preoccuparci così tanto di accogliere loro!?
Non sono bastati gli episodi passati? Ogni volta in cui ci siamo riavvicinati, c'è sempre stato accenno a qualche discussione.
Il motivo? Quel dannato podere lasciato in eredità, da mio nonno, a mia madre e suo fratello, Mr. Barker, per nulla intenzionato a lasciarla a sua sorella; sebbene avesse ricevuto tutto il denaro patrimoniale, come da testamento. Del resto, mia madre è nota per i suoi modi impacciati, e mio zio se n'è più volte approfittato. Grazie al cielo, mio padre, dai toni più severi, lo ha rimesso ben volentieri al suo posto.

Il dannato podere cui ho accennato non è altro che un palazzo seicentesco , abbandonato a se stesso, circondato da terre su terre; forse sarebbero state queste la fonte di maggior profitto, per chi ne sarebbe stato detentore.
Mio zio, infatti, ha sempre sottolineato quanto fosse intenditore di scambi agricoli, bestiame, colture di stagione più in voga, migliori semi italiani da importare e piantare; proprio per persuadere il padre a lasciargliene il monopolio. Ma, mio nonno non è mai stato intenzionato a lasciargli tanto potere, dividendo quella proprietà fra i due figli.

E poi c'è mia madre, o, per meglio dire, mio padre, che intende vendere parte delle terre, così da guadagnarne qualcosa nell' immediato...senza troppi affari o investimenti rischiosi (dopotutto, mantenere una famiglia tanto numerosa non può permettere di certo una falla di bilancio).

In tutto ciò, mi rendo conto di aver messo la sottoveste al contrario... Sempre colpa della mente viaggiatrice. Mi accingo a toglierla e rimetterla ancora. Indosso poi il vestito, infilandolo dalla gonna, il corsetto (messo sempre alla bell'e meglio) e qualche nastro. I capelli non so gestirli: mi limito a intrecciare una mezza coda con nastri dello stesso colore, turchese, del vestito.

Mi preparo ad uscire dalla stanza, guardo l'orologio: sono le dodici e un quarto. Supponendo che sia ancora presto per l'arrivo degli ospiti, dati i preparativi ancora in corso nelle camere a loro riservate, scendo le scale e mi dirigo in salotto.
Meta? Pianoforte.
Suonare è liberatorio, ora più che mai, metabolizzando sempre più la possibilità che si parli noiosamente di terre e, ancora, del podere , sinonimo di celate provocazioni e immediate discussioni.

Cosa suono? Qualcosa di tardo secolo scorso: Beethoven? Non credo sia il momento più adatto per qualcosa di tanto nostalgico e malinconico... Così opto per qualche spartito di Vivaldi, classe 1678, ricco di energia: a pennello con la situazione che mi circonda.

Non ho neanche il tempo di suonare dieci battute, perché la governante inizia a sbuffare, seguita da mio fratello, che mi fa cenno di smettere, per il bene delle sue orecchie e per quelle di tutti.
Sbuffo a sproposito anch'io, chiudo il pianoforte, sistemando dapprima la stoffa a protezione dei tasti.

Mi volto, d'improvviso cala il silenzio e poi, ancora, la servitù si predispone in linea accanto alla lunga tavolata.

Il campanello suona, gli ospiti sono finalmente arrivati.

La rosa del DerbyshireDove le storie prendono vita. Scoprilo ora