2.Chapter Two

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«Perdonami per averti lasciata sola, ieri sera. Ero ubriaca, e... ho perso il controllo con il barista. Mi dispiace tanto. Non hai risposto alle mie chiamate, stai bene? Fammi sapere al più presto, sono preoccupata. Prometto che mi farò perdonare. Edith x».

Un mal di testa terribile prese possesso del mio corpo dal momento in cui, una volta sveglia, lessi il messaggio della mia migliore amica sullo schermo del telefono.

Portai una mano sulla mia fronte e feci una smorfia di dolore quando decisi di mettermi seduta sul letto, spostando il mio ammasso di muscoli doloranti molto lentamente.

Non sapevo a cosa si riferisse Edith, il martellare continuo che percepivo alla testa mi impediva di pensare ragionevolmente e con lucidità: non ricordavo nulla della sera prima.

Passai una mano tra i miei capelli scuri, portandoli all'indietro, contemplando la mia stanza perennemente in disordine dalle pareti di un giallo pastello: la scrivania posta dinanzi al letto era un completo disastro, libri di letteratura erano poggiati in ordine sparso sul legno bianco, mentre il grande armadio dalle ante aperte situato al mio fianco era gremito di vestiti invernali.

Ed era appena cominciata l'estate.

Sbuffai sonoramente, decidendo di alzarmi dal letto per procurarmi qualcosa che avrebbe potuto farmi passare quell'atroce mal di testa, ma d'un tratto, lo sfregamento delle coperte contro la coscia mi fece sussultare dal dolore.

Aggrottai la fronte e, ormai in piedi, posai lo sguardo sulle mie gambe semi coperte da un corto vestito nero, che durante la notte si era sollevato ulteriormente, notando una piccola e rotonda scottatura dello spessore di un pennarello, una matita, oppure... una sigaretta.

In un attimo, i ricordi della sera prima piombarono nella mia mente come piccoli flashback: la grande sala da ballo, la scomparsa di Edith, l'alcol che in breve tempo aveva preso possesso dei miei sensi, il frastuono della musica che fuoriusciva dalle casse...

Il tenebroso sconosciuto.

Ballando incurante di ciò che accadeva intorno a me, avevo urtato la sua sigaretta, che aveva bruciato la mia coscia. Ricordavo però non ci fosse stato altro a mandare più a fuoco la mia pelle, quella sera, del suo sguardo su di me.

«Ci rivedremo, Charly, te lo prometto. Ti troverò».

Non avevo idea di cosa significassero quelle parole, ma a dire la verità avrei dovuto semplicemente smettere di pensarci.

Ogni cosa era accaduta per pura casualità la scorsa notte: probabilmente quel ragazzo avrebbe voluto solo divertirsi, ma la comparsa di mio fratello aveva rovinato i suoi piani, perciò le sue parole erano state il modo più rapido e convincente di uscire di scena per trovare un'altra con cui concludere i suoi sporchi interessi.

D'altronde, non c'era altro da aspettarsi da un ragazzo conosciuto in una discoteca di quel calibro.

Presi un lungo respiro, tentando di rimuovere dalla mia mente il ricordo del magnetico sguardo di quello sconosciuto su di me, e decisi di dirigermi verso il piano inferiore alla ricerca di qualcosa che avrebbe potuto placare l'emicrania, e di mio fratello.

La sua comparsa insieme a Warner in quel locale mi aveva raggelato il sangue nelle vene: ero convinta che me ne avrebbe dette di ogni, vedendomi in quello stato...

Invece era stato paziente e stranamente dolce, nonostante avessi fatto qualcosa alle sue spalle, e mi era stato accanto finché non mi ero addormentata, stremata.

Io e Nathan avevamo solamente una regola sin da quando eravamo bambini: non tenerci mai nascosto nulla.

Eppure, la sera precedente l'avevo trasgredita, tradendo la fiducia di quella che reputavo la persona più importante della mia vita: perché sì, nonostante le proibizioni e l'iperprotettività infondata che da sempre mostrava nei miei confronti, mio fratello era sempre stato tutto, per me...

Trapped In A LieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora