L'inizio di un incubo

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"Vieni qui tesoro." Mi ripeteva una voce lontana ma, tuttavia, piuttosto chiara. "Su, non aver paura."

"Cosa vuoi da me?" chiesi nel tentativo di mostrarmi decisa e cercando in tutti i modi di non far trasparire tutta la mia paura.

"No, dolcezza. Non girarti così con me." Il suo corpo si avvicinava sempre di più e la sua mano abbozzò una carezza sul mio viso. La mia reazione fu automatica: allontanai brutalmente la sua mano guardandolo con odio e disgusto.

"Amore, su, non rendere tutto più complicato. È solo un piccolo bacio." Disse con aria tutt'altro che innocua.

"Mi fai schifo. Sei ubriaco. Lasciami in pace." Con le lacrime che ormai scorrevano lungo le mie guance come fiumi in piena, cercai di liberarmi dalla sua presa che aumentava maggiormente dopo la mia inflessibile opposizione.

"Sarai mia, piccola. Solo mia." Affermò lui con decisione, stringendomi energicamente i polsi per impedirmi di scappare.

"No. Questo non accadrà mai." Con la voce rotta dal pianto, cercai di urlare e di divincolarmi dalla sua forte presa. Raccolsi tutta l'energia residua permettendo alle mie gambe di sferrare un calcio verso le sue parti basse.

La sua stretta diminuii gradualmente ed il ragazzo si piegò in due per il forte dolore , concedendomi l'opportunità di fuggire. Tuttavia non poteva essere tutto così semplice, difatti, non appena mi apprestai a fuggire, qualcosa trattenne il mio piede sinistro fisso per terra: la sua mano. Questo non mi permise di mantenere l'equilibrio e facilitò la mia caduta che fu quasi immediata.

"Dove credevi di scappare, stronzetta?" un leggero ghigno si fece spazio sul suo viso, illuminato dalla fioca luce del lampione che si trovava su una traversa più avanti. Mi raggiunse gattonando e, posizionandosi sopra di me, si assicurò di tener ferme le mie braccia per vietarmi qualsiasi movimento. Il mio corpo si paralizzò di colpo sotto di lui. Non riuscii a muovermi in alcun modo. La sua presa era molto forte e pian piano, diventava sempre più dolorosa. Il suo peso cominciò a farsi sentire ed il dolore, ormai, mi stava lacerando.

"Guardami e dimmi che mi ami." Dalla sua bocca provenne un respiro carico di uno stomachevole odore di alcool.

"Non sei chi credevo che fossi. Sei disgustoso!" Cercando di svincolarmi dal suo corpo, decisamente troppo pesante per me in quel momento, alzai gli occhi rivolgendoli al cielo. Era una bella serata d'estate. Il cielo era sereno e colmo di stelle luminose. Mi chiesi come fosse possibile tutto quell'orrore sotto un cielo così bello. Un'ultima lacrima rigò il mio volto ed il pensiero si rivolse ai tempi in cui giocare ed essere felici erano gli unici pensieri che inondavano la mente. Un tempo quel cielo mi avrebbe protetta dal male, ma quella era la prova che crescendo, tutti i castelli che da piccoli avevamo costruito, sarebbero stati destinati a crollare come fossero stati costituiti di sabbia.

"Non mi interessa quello che pensi. Sei solo una povera illusa." Piccoli baci vennero lasciati dalle sue ruvide e screpolate labbra sul mio collo, per poi scendere giù, su tutto il corpo.

"Non vivrai a lungo per poterti concedere a qualcun altro." La sua mano si posò sul mio seno stringendolo leggermente e poi scese giù, soffermandosi su ogni minima curva.

"Sarai solo mia."

Mi alzai repentinamente con il viso madido di sudore e i capelli appiccicati sul volto come colla. Il respiro era veloce e affannato e la testa mi faceva male.

Ci misi poco a comprendere quello che stava succedendo, d'altronde faceva parte della mia quotidianità. Controllai la sveglia che segnava le 05:30 del mattino o, per meglio dire, dell'alba.

Avevo un irrefrenabile bisogno d'acqua e dovevo assolutamente rinfrescarmi.

Scesi le scale in punta di piedi, cercando di fare il minor rumore possibile per non svegliare nessuno. Raggiunta la cucina, mi diressi verso il frigo, cercando la bottiglia dell'acqua.

You could be my only cureDove le storie prendono vita. Scoprilo ora